Sembra esserci una interessante continuità nella storia del cristianesimo: fin dagli inizi e ancora oggi tra i praticanti ci sono più donne che uomini. Diverse le spiegazioni, dalla biologia ai fattori sociali. La differenza di genere nella religione e la presenza femminile nel mercato del lavoro.
Più donne in chiesa
“Così come sotto la croce di Cristo vi erano tre Marie e un Giovanni – ha scritto, nel 1691, il medico e pastore protestante Cotton Mather – anche oggi, fra i devoti, vi sono più donne che uomini”. Mather, che ebbe tre mogli e divenne una delle maggiori autorità religiose americane del tempo, era rimasto colpito da questa straordinaria continuità nella storia del cristianesimo, dopo aver osservato che nella chiesa da lui frequentata, delle quattrocento persone che si comunicavano, solo cento erano uomini. Uno squilibrio che esiste ancor oggi.
Ignorata o almeno trascurata dagli studiosi e dagli osservatori italiani – che pure, nell’ultimo ventennio, si sono occupati di molti aspetti delle diseguaglianze fra uomini e donne – la questione del divario di genere nella religione ha continuato a suscitare l’interesse dei sociologi, gli psicologi, gli scienziati politici e i demografi di altri paesi, che hanno raccolto e analizzato una gran massa di dati. Come ha scritto una delle maggiori esperte in materia, la sociologa inglese Grace Davie, da tutti questi dati risulta “indiscutibilmente” che “ci sono più donne che uomini nelle chiese europee”. Le ricerche finora condotte ci consentono di estendere questa generalizzazione a tutti i paesi nei quali domina la religione cristiana e di dire che il gender gap non riguarda solo la partecipazione alla messa e alle funzioni religiose, ma anche le credenze in Dio, nell’aldilà, nel paradiso e nell’inferno, l’importanza che si attribuisce alla religione e la frequenza con cui si prega. Così, ad esempio, negli Stati Uniti, sono praticanti regolari (si recano almeno una volta alla settimana in un luogo di culto) il 40 per cento delle donne e il 32 per cento degli uomini, pregano tutti i giorni il 64 per cento delle prime e il 47 per cento dei secondi, considerano “molto importante” la religione il 60 per cento delle une e il 47 per cento degli altri.
Biologia o fattori sociali?
Gli studiosi hanno proposto spiegazioni diverse del gender gap nella religione. Alcuni lo hanno ricondotto, in tutto o in parte, a cause fisiche o fisiologiche, agli ormoni, ai geni o a predisposizioni biologiche. Altri hanno rilevato invece che, se questo fosse vero, il divario di genere nella religione sarebbe universale, mentre varia certamente nello spazio e, probabilmente, anche nel tempo.
La tabella 1 prende in considerazione otto paesi occidentali, nei quali domina la religione cristiana, e riporta le differenze e i rapporti fra le percentuali delle donne e quelle degli uomini che vanno in un luogo di culto almeno una volta alla settimana; pregano almeno una volta al giorno; considerano la religione “molto importante”.
In tutti questi paesi, le donne sono più religiose degli uomini. Ma la differenza è assai contenuta in Germania, paese nel quale donne e uomini vanno in chiesa con la stessa frequenza (8 o 9 per cento), pregano quotidianamente il 22 per cento delle prime e il 14 per cento dei secondi, attribuiscono una rilevante importanza alla religione il 22 per cento delle une e il 19 per cento degli altri. Il gender gap è invece maggiore in altri paesi e raggiunge i livelli più elevati in quelli del Mediterraneo, la Grecia, l’Italia e la Spagna.
Tabella 1
Differenze e rapporti fra la percentuale di donne e quella di uomini che (a) vanno in un luogo di culto almeno una volta alla settimana; (b)pregano almeno una volta al giorno
Fonte: elaborazioni su dati Pew Resarch Center
Neanche fra gli studiosi che privilegiano i fattori sociali vi è pieno accordo riguardo alla spiegazione di questa differenza. Per alcuni, la religione è un insieme di norme, credenze, categorie interpretative, simboli e pratiche che servono a far fronte all’insicurezza e alla vulnerabilità economica e sociale e acquista maggior rilievo negli strati più deboli della popolazione. Se le donne sono più religiose degli uomini è appunto perché sono più insicure e vulnerabili. Per altri, è il ruolo di primo piano che viene attribuito alle donne nella nascita e nella morte a farle sentire più vicine alla religione. Per altri ancora, il divario è effetto del ritardo con cui le donne sono raggiunte dal processo di secolarizzazione, che investe prima gli uomini, assai più presenti nella vita economica e in quella politica. Ne consegue che, man mano che le altre diseguaglianze di genere verranno meno, diminuirà, fino a scomparire del tutto, anche il gender gap nella religione.
È un’ipotesi che sembra trovar conferma in alcuni recenti dati sul rapporto fra il divario di genere nella religione e la presenza femminile nel mercato del lavoro. La figura 1, che riguarda quarantuno paesi nei quali domina la religione cristiana, mostra che vi è una relazione inversa fra le due variabili e che quanto maggiore è la percentuale di donne sulle forze di lavoro (nell’asse orizzontale) tanto minore è la differenza fra la percentuale delle donne e quella degli uomini che pregano ogni giorno (nell’asse verticale).
Ma la differenza di genere che ci interessa è dovuta probabilmente anche ad altri fattori sociali. È cambiata, e in che misura, nel corso del tempo? Lo vedremo in un’altra occasione, esaminando i dati sull’Italia dell’ultimo ventennio.
Figura 1
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Giuseppe
A me non tornano due cose:
1-ammetto la mia ignoranza sull’occupazione femminile africana, probabilmente semplicemente sbaglio ad interpretare il titolo dell’asse delle ascisse, ma davvero in Tanzania 8 lavoratori su 10 sono donne, quando (fonte: https://esa.un.org/unpd/wpp/Download/Standard/Population/) sono all’incirca il 50,3% del totale? Se il dato fosse corretto, da cosa dipende tale disparità?
2- se dovessi interpretare il grafico, quindi senza altri dati, io direi che più le donne lavorano meno pregano più degli uomini, perchè se in Congo sono prossime allo 0 allora vuol dire che cade l’assunzione di ‘paesi nei quali domina la religione cristiana’. Al contempo se pregano, sia uomini che donne, con la stessa percentuale (che quindi rende 0 la differenza) allora è un dato che praticamente non vuol dire niente così da solo. Sarebbe stato più interessante, credo, riportare in ordinate la percentuale di donne che pregano sul totale delle donne.
Cordiali saluti