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Attenti a quei soldi

Servirebbe anche in Italia una autorità che abbia come specifico obiettivo la protezione del risparmiatore sull’esempio degli Stati Uniti? È una delle domande a cui cerca di dare risposta l’ultimo libro di Luigi Guiso (Università Bocconi Editore). Ne proponiamo qui un capitolo.

Guiso

Perché è necessaria un’agenzia a difesa dei risparmiatori

Il fallimento di quattro piccole banche locali è un fenomeno circoscritto, ma rischia di avere ripercussioni più vaste se contribuisce ad aumentare la sfiducia dei risparmiatori.
Come possiamo consentire ai risparmiatori italiani di mantenere la fiducia nel nostro sistema bancario? Il primo passo è riconoscere la ragione della sfiducia. La sfiducia è la risposta agli inganni finanziari direttamente sperimentati o osservati tramite i media. Tale sfiducia rischia di essere accresciuta dalla consapevolezza che in Italia nessuna autorità è preposta specificamente alla protezione del risparmiatore. Non lo è Consob, che accanto alla «tutela degli investitori», annovera la «stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario».
Ancor meno lo è Banca d’Italia, che ha come mandato principale la stabilità del sistema bancario. Ciò non vuol dire che a queste due istituzioni, in particolare alla Consob, non siano stati assegnati vari compiti a difesa dei risparmiatori.
Ma significa che entrambe non hanno la difesa dei risparmiatori nel loro Dna. Un innesto di Dna richiederebbe un cambio della loro missione fondamentale, ma questo sarebbe pericoloso. Il buon funzionamento dei mercati finanziari e la stabilità del sistema bancario sono obiettivi essenziali, che non possono essere eliminati e vanno anzi rafforzati. Ecco perché è necessaria una nuova istituzione unicamente dedicata alla difesa dei risparmiatori.
Questa è la conclusione cui sono arrivati gli Stati Uniti dopo la crisi del 2008, quando dovettero affrontare un simile crollo di fiducia. Crearono un’autorità per la protezione finanziaria dei consumatori (Consumer Financial Protection Bureau, Cfpb), la cui funzione è di «rendere le regole più efficaci, farle rispettare in modo coerente ed equo, e di (…) mettere i consumatori nelle condizioni di prendere un maggiore controllo sulla loro vita economica». A tal fine il Cfpb fa sì che «i prezzi siano esibiti in modo cristallino, che i rischi siano ben visibili e che niente sia sepolto nelle postille di moduli e prospetti cosicché nessun venditore di prodotti finanziari possa usare pratiche abusive, scorrette o ingannevoli. In altre parole, è l’autorità che introduce e soprattutto fa rispettare le regole di trasparenza che oggi sembrano tanto presenti nella forma quanto assenti nella sostanza. Avessimo un Cfpb ben funzionante non staremmo oggi a discutere di chiarezza dei prospetti. L’obiettivo della semplicità e della comprensibilità di quanto comunicato al risparmiatore è nel Dna di questa istituzione.
Avere un singolo obiettivo rende un’istituzione più efficace e più politicamente responsabile. Più efficace, perché è più facile gestire un’organizzazione quando c’è un singolo e ben identificato obiettivo. Più politicamente responsabile, perché l’identificazione della responsabilità è immediata, rendendo impossibile quello scaricabarile tra istituzioni cui si assiste quando le funzioni sono condivise o sovrapposte. 

Basta una nuova autority o serve altro?

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All’indomani del caso Madoff, e in piena crisi finanziaria, Paul Krugman, scrivendo sul New York Times e dando voce al sentire comune di molti investitori, poneva la domanda paradossale: «Che cosa differenzia ciò che ha fatto Wall Street dall’affare Madoff?» Beh – diceva Krugman – «Madoff ha semplicemente saltato alcuni passaggi, appropriandosi direttamente dei soldi dei suoi clienti piuttosto che incassare salate commissioni mentre si esponevano gli investitori a rischi che non erano in grado di capire». Una congettura-provocazione basata su indizi e su pezzi di evidenze indirette.
Poco tempo dopo, la provocazione di Paul Krugman riceveva supporto dalle dichiarazioni di Greg Smith – il «pentito» di Wall Street.
Direttore esecutivo a capo della sezione di Goldman Sachs sui derivati in azioni per l’Europa, il Middle East e l’Africa, Smith scelse nel 2012 di lasciare l’azienda perché stanco di contribuire a perpetuare una politica che – approfittando di ogni situazione di conflitto di interesse – anteponeva il profitto dell’impresa agli interessi dei clienti. Come quelle di tutti i pentiti le sue parole vanno pesate e le motivazioni circostanziate, ma alle sue dichiarazioni bisogna prestare attenzione. Primo, perché era un insider di rango, e quindi informato del modo in cui si conducevano gli affari nei segmenti di mercato in cui lui aveva operato.
Secondo, perché le sue dichiarazioni rivelavano atteggiamenti diffusi nel mondo degli intermediari nel concepire i clienti come «polli da spennare». Li chiamavano muppets, pupazzi: l’idea di fondo era che si potesse fare dei clienti ciò che si voleva, usando le maggiori informazioni per vendere qualunque prodotto fosse conveniente per l’azienda anziché per il cliente. La ragione di questo scadimento secondo Smith andava ricercata in un calo della tensione morale all’interno dell’azienda e, di riflesso, nel mondo della finanza, in uno scadimento della leadership aziendale che aveva compromesso una antica cultura basata sul principio per cui Goldman Sachs era famosa, «Our clients’ interest always come first» – gli interessi dei nostri clienti vengono sempre per primi.
L’azienda prese ovviamente le distanze dal «pentito» dichiarandosi del tutto in disaccordo con le affermazioni di Smith «contrarie allo spirito con cui la banca tratta la clientela».
Se c’è da dubitare di un pentito, forse si può prestare più credito a un rinomato ricercatore, uno dei padri fondatori della moderna finanza d’impresa – Michael Jensen, professore a Harvard – che negli anni recenti ha dedicato tutta la sua attenzione a mettere in risalto il pericoloso scadimento negli standard etici prevalenti nel mondo del business e della finanza.
Per Jensen siamo di fronte a una carenza di integrità, intesa come la non disponibilità a negoziare sui principi e i valori a qualunque costo. Il punto che emerge da queste indicazioni è che il sistema di valori su cui l’impalcatura finanziaria, almeno in parte, si regge è deteriorato e il suo deterioramento ha provocato un vero e proprio «scivolamento» del mercato. A tal punto che lo sfruttamento dei conflitti di interesse a spese dell’investitore, particolarmente quello meno accorto, è ormai diventato una forma di equilibrio, una situazione da cui sembra che nessun operatore abbia interesse a muoversi.
Ciò solleva quesiti importanti. Ad esempio: perché la pressione competitiva, che pure si è accresciuta notevolmente, non sembra in grado di mitigare questo problema? Come si fa a ripristinare un equilibrio in cui comportamenti disonesti nei confronti del cliente non siano la norma, ma l’eccezione espulsa dagli stessi altri operatori che partecipano al mercato?
Possiamo farlo con maggiori iniezioni di regolamentazione? E se sì, di che tipo? Vietando certi prodotti o piuttosto mettendo filtri molto stretti nella selezione di chi partecipa a questo mercato in cui l’integrità sia il primo requisito?
Non c’è una risposta semplice. La creazione della autority ad hoc per la difesa del consumatore proposta sopra dovrebbe avere esattamente questo compito: fornire risposte a queste domande, identificando gli strumenti per prevenire frodi, comportamenti ingannevoli e pratiche ingiuste nel mercato, con l’obiettivo di far sviluppare mercati destinati a servire davvero i clienti, anziché essere luoghi dove questi debbano aver paura di avvicinarsi.

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Luigi Guiso, Attenti a quei soldi. Difendere le proprie finanze dagli altri e da se stessi, Egea, 2016; 168 pagine 15 euro; 6,99 epub.

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Meno potere alle lobby con la riforma del Senato

  1. L’Italia è il paese delle Autorità…un’altra?…non serve a nulla. Fin quando…non saltano i massimi vertici di Banca d’italia e Consob…quando succedono queste gran…ogni altra autorità è superflua. I consumatori dovrebbero essere tutelati dalle Associazioni dei Consumatori…con cause intentate davanti alla Magistratura contro…le altre Autorità,.

  2. Marco Trombetta

    Un’altra autority? Cominceremmo a discutere su chi la deve guidare, chi deve nominare i componenti, quale sono le sue relazioni/competenze rispetto a quelle giá esistenti etc..Forse in teoria ha anche senso, peró in Italia sarebbe una mossa molto pericolosa…Se le banche non fallissero molti problemi non esisterebbero..Una buona supervisione bancaria e una buona supervisione dei mercati finanziari é la migliore garanzia per i risparmiatori…dov’era la Banca d’Italia quando la struttura finanziaria delle banche diventava ogni giorno piú pericolosa? E se qualcuno mi dice che non sapeva, beh allora e proprio meglio non creare un’altra autority!!!! Non so perché, peró temo proprio che soffrirebbe anche lei di cecitá….

  3. Henri Schmit

    Trovo la parola consumatore inappropriata. Si tratta di piccoli INVESTITORI o risparmiatori non professionali e quindi indifesi. Mi sembra che sia la categoria sia la tutela esista già. In particolare la regolamentazione in applicazione della direttiva mifid, ma non solo. Non capisco perché le disposizioni chiarissime a tutela della categoria menzionata non possono essere fatte rispettare dalle autorità già esistenti, consob e banca d’Italia, e dall’ordine giudiziario, che esiste proprio per questo scopo, cioè risolvere controversie fra parti applicando le leggi vigenti (ottime perché fatte dall’odiata Europa) e condannare gli autori di reati accertati che si arricchiscono a spese degli investitori ingenui che credono che in uno stato di diritto le truffe sono sanzionate. Perché nuove leggi? Perché nuove autorità? Non conviene dare se necessario – da dimostrare- a quelle esistenti poteri più adeguati? La proposta dell’articolo può essere letta come un alibi destinato a scagionare le autorità esistenti nelle recenti vicende di truffa finanziaria da parte di operatori vigilati.

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