Il successo della voluntary disclosure potrebbe rappresentare una svolta per il recupero coattivo di crediti tramite pignoramento di beni esteri. L’accesso alle banche dati delle pubbliche amministrazioni agevola la scoperta delle attività estere che prima potevano essere occultate.
La collaborazione volontaria aiuta i creditori
Il programma di collaborazione volontaria, introdotto nel nostro ordinamento con la legge 186/2014, si è rivelato un efficace strumento di lotta all’evasione fiscale, che ha consentito l’emersione di capitali illecitamente detenuti all’estero da contribuenti italiani e ha permesso un recupero di gettito erariale di circa 3,8 miliardi di euro. Peraltro, in considerazione delle novità introdotte dalla riforma del processo civile del 2014, la denuncia spontanea di capitali esteri occultati al fisco potrebbe rivelarsi una carta vincente per tutti i creditori alle prese con un’azione esecutiva contro quei debitori che, per sottrarsi alle pretese creditorie, lamentano una insufficienza di beni nel proprio patrimonio, nascondendo una cospicua parte delle loro attività all’estero. L’escussione di beni all’estero è da sempre attività difficoltosa per il creditore, molte volte scoraggiato nella ricerca di beni utilmente pignorabili ubicati fuori dall’Italia, non solo in ragione della non immediata procedura di esecuzione di un credito italiano in uno Stato estero (che spesso richiede la consulenza di professionisti locali e ha costi elevati), ma soprattutto a causa della difficoltà di stanare dove realmente tali attività sono detenute. La normativa in materia di monitoraggio fiscale impone al contribuente di indicare nel quadro RW della dichiarazione dei redditi tutte le attività finanziarie o investimenti patrimoniali detenuti all’estero. Tuttavia, la possibilità di scoprire dove il patrimonio estero è effettivamente detenuto è limitata al caso di fattispecie penali e richiede l’utilizzo di una rogatoria internazionale. Pertanto, poche chance rimanevano al creditore che fosse privo di informazioni sufficienti a identificare le attività estere del debitore (nome dell’istituto creditizio o ubicazione dell’immobile, per esempio). Il nuovo art. 492 bis codice di procedura civile consente al creditore la “Ricerca con modalità telematica dei beni da pignorare”. Verificato il diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata, il presidente del tribunale dispone l’accesso in via telematica ai dati contenuti “nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni (…) e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico e in quelle degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti”.
Più facile ottenere le informazioni
La norma permette al creditore munito di titolo esecutivo di ottenere:
- copia dell’ultima dichiarazione dei redditi del debitore;
- elenco degli istituti di credito con i quali il debitore intrattiene rapporti finanziari;
- elenco degli atti del registro;
- copia della documentazione relativa alla posizione previdenziale del debitore.
Tramite l’accesso alle banche dati delle pubbliche amministrazioni, il creditore potrà avere un quadro completo del patrimonio del debitore e, in particolare, potrà venire a conoscenza di eventuali attività estere riportate nel quadro RW. Questa possibilità sarà dirimente laddove, come accaduto spesso in passato, il debitore cerchi di negarsi al creditore non offrendo la propria collaborazione nella ricerca di beni pignorabili e, in particolare, omettendo di riferire di proprie attività estere. Infatti, in caso di insufficienza dei beni assoggettati a pignoramento, l’ufficiale giudiziario invita il debitore a indicare ulteriori beni (per esempio, conti correnti occulti) utilmente pignorabili. L’omessa o falsa dichiarazione è soggetta a sanzioni penali, seppur il debitore molte volte sembri non curarsi delle relative conseguenze. Ma se le attività estere sono state correttamente dichiarate nel quadro RW (così come accadrà per gli anni a venire per tutti i contribuenti redenti dalla voluntary disclosure) non sarà facile per il debitore negare l’esistenza di tali beni e, conseguentemente, non fornire le informazioni utili a rintracciare tali attività (come l’ubicazione estera del conto corrente, il nome dell’istituto creditizio). Il grande successo della voluntary disclosure italiana, che ha portato alla luce oltre 59 miliardi e 500 milioni di euro di attività nascoste da quasi 130mila contribuenti, ha aperto le porte ad azioni esecutive su patrimoni esteri finora occultati non solo al fisco ma anche ai creditori. La soluzione estera non è più un rifugio sicuro per i debitori per sottrarsi alle rivendicazioni esecutive creditorie.
Questo articolo è disponibile anche su www.tvsvizzera.it
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AM
Rimane tuttavia il problema dei patrimoni che gli immigrati residenti in Italia detengono nei paesi d’origine e che nella quasi totalità dei casi (secondo quanto affermano gli stessi funzionari dell’Agenzia delle Entrate) sono sconosciuti in Italia
IC
Infatti pochissimi stranieri fra le centinaia di migliaia che hanno proprietà immobiliari in patria compilano il quadro RW