Il Ceta, negoziato tra Unione Europea e Canada, è un buon accordo commerciale. L’entrata in vigore dovrebbe essere esclusiva competenza delle autorità europee. Ma la Commissione ha scelto la ratifica mista, cedendo alle pressioni dei grandi stati alle prese con problemi interni. Un pessimo segnale.
Marcia indietro della Commissione sul Ceta
Marcia indietro per la politica commerciale comune: la Commissione europea ha annunciato martedì che intende far ricadere nella disciplina degli accordi misti il trattato di libero scambio con il Canada, subordinando quindi la sua entrata in vigore anche alla ratifica unanime da parte dei parlamenti nazionali degli stati membri. Quando, in realtà, avrebbe bisogno della sola approvazione a livello europeo.
L’accordo in questione è il Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement) ed è il frutto di lunghi negoziati – durati in totale cinque anni e conclusi nell’agosto 2014 – tra Commissione europea e Canada. Si tratterebbe del migliore accordo mai negoziato dall’Unione perché garantisce – oltre che l’abbattimento dei dazi e delle altre barriere tariffarie – il riconoscimento delle denominazioni d’origine, da sempre uno dei più ambiziosi obiettivi dei negoziatori europei.
Regole a tutela del lavoro e dell’ambiente, apertura del mercato dei servizi e degli appalti pubblici e mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali sono alcune tra le altre promesse dell’intesa, provvidenziale per un’Europa alla spasmodica ricerca di partner commerciali che sostengano le esportazioni e, quindi, la crescita.
La politica commerciale comune rientra tra le competenze esclusive dell’Unione (articolo 3 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), ossia tra le competenze che gli stati membri hanno deciso di cedere all’autorità sovranazionale: la negoziazione di accordi commerciali (articoli 207 e 218 Tfue) compete quindi alla Commissione europea e la loro entrata in vigore è sancita dall’approvazione del Consiglio e dalla ratifica del solo Parlamento europeo. Non è quindi necessario procedere alla ratifica “mista”, ossia la formula che richiede l’unanimità dei consensi dei parlamenti nazionali. Formula che è prevista appunto per gli accordi misti, ossia le intese che includono argomenti sia di competenza esclusiva dell’Unione che di competenza concorrente tra Ue e stati membri. Per intenderci, un esempio di accordo misto è il controverso Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership).
Invece è proprio questa la soluzione proposta dalla Commissione in risposta alle crescenti preoccupazioni di molti paesi membri. Compresi Germania, Francia, Olanda, Austria e Belgio, che hanno scelto di dare voce agli istinti più irrazionali di quella parte dell’opinione pubblica che non vuole libero scambio, non vuole apertura e, soprattutto, non vuole Europa. Mettendo così in moto un lungo processo burocratico che rallenterà inevitabilmente l’entrata in vigore dell’accordo e che potrebbe addirittura metterne a repentaglio l’approvazione. Il prezzo della mancata ratifica sarà pagato collettivamente dall’Europa, ma si è preferito assecondare le scadenze elettorali nazionali (l’anno prossimo si terranno elezioni difficili in Germania, Francia e Olanda). Interessi nazionali prima di quelli europei.
Non se ne sentiva proprio il bisogno nelle settimane dopo il referendum su Brexit, in un momento in cui l’esecutivo comunitario è chiamato a dare prova di coesione e a difendere l’interesse dell’Unione nel suo complesso. Dovrebbe essere proprio questa la funzione della Commissione europea, nel suo ruolo istituzionale di “garante dei Trattati”.
La posta in gioco
Ma qual è la posta in gioco? Al di là dell’eventuale rifiuto di un accordo vantaggioso, c’è in ballo la credibilità dell’Unione Europea come interlocutore commerciale di peso in ambiente internazionale. C’è la certezza dei patti che negozia e stipula con i suoi partner. C’è la possibilità di aver sprecato cinque anni di negoziati.
La Commissione europea, dopo aver incessantemente difeso i suoi poteri in materia commerciale, non ha avuto il coraggio di tirare dritto nelle sue funzioni di fronte alle pressioni dei “pesi massimi”. Ha creato un pericoloso precedente nell’ambito della politica commerciale comune, che da sempre rappresenta uno dei maggiori pilastri dell’aquis comunitario e la scintilla che ha dato il via al processo di integrazione europea. Ha sferzato anche un duro colpo alla certezza del diritto in Europa.
L’intesa con il Canada dovrebbe essere firmata in ottobre ed entrare in vigore a gennaio 2017. Per tenere in vita il progetto, la Commissione potrebbe ricorrere all’entrata in vigore provvisoria mentre cerca di risolvere il pasticcio giuridico che ha creato.
Nel frattempo, resta la brutta figura di un’Unione Europea che si piega al comando dei populismi e degli interessi particolari e occasionali degli stati, senza nemmeno provare a sfatare i miti demagogici e spesso infondati che risiedono dietro queste posizioni.
Questo articolo è disponibile anche su www.tvsvizzera.it
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Emanuele
Il problema è che persino i più ardenti sostenitori di questi trattati (incluso il TTIP) ipotizzano impatti risibili sull’economia (neanche l’1% del PIL tra 20 anni).
Quindi i rischi potenziali non giustificano affatto tali benefici, che tra l’altro si distribuirebbero sicuramente in modo estremamente polarizzato sulla popolazione generale.
Tutto questo in un contesto di crescente rigetto verso le decisioni centralizzate a livello Europeo che rischia di provocare danni enormi all’economia continentale.
Sinceramente, mettendo insieme tutti i fattori, ritengo che la Commissione abbia fatto benissimo a spostare la decisione ai parlamenti nazionali; è ovvio che questo significa l’affossamento dei trattati, ma tanto l’aria è cupa persino dall’altra parte dell’Atlantico.
Insistere sarebbe stato un suicidio politico, per dei vantaggi economici risibili.
giuseppe condello
Per una buona volta si potrebbero sapere quali sono i reali contenuti di questi trattati di modo che si possa capirne qualcosa? Grazie