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Questo bail-in non s’ha da fare

Il governo afferma che il sistema bancario italiano non è vulnerabile né in crisi sistemica. Il che escluderebbe bail-out e bail-in per risolvere le crisi bancarie. Per ora. I margini per una futura richiesta di eccezione.

Non ho una proposta risolutiva ai problemi delle banche italiane. Ma faccio un riassunto di mezza estate dei problemi aperti e dei vincoli alla loro soluzione.

Le puntate precedenti

Con la pubblicazione degli stress test sui valori di borsa delle banche italiane è arrivato il diluvio. Su Mps, su Unicredit (alle prese con necessità di ricapitalizzazione ancora da precisare) ma anche su Intesa San Paolo che dagli stress test è uscita bene. La tempesta non è solo italiana: Commerzbank e Deutsche Bank hanno perso più o meno quanto le banche italiane. Ma tutti guardano agli istituti italiani.
Cosa ha fatto il governo negli ultimi mesi? Sullo sfondo della riforma delle grandi e piccole banche popolari e di altri mutamenti legislativi in corso d’anno, ha scelto un approccio caso per caso. Ha evitato il fallimento delle quattro piccole banche del centro Italia coinvolgendo i creditori subordinati. Ha promosso la creazione del fondo Atlante per garantire la ricapitalizzazione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ha assistito alla presentazione del piano presentato da Mps che porterà alla cessione di 27 miliardi di crediti deteriorati al fondo Atlante e alla ricapitalizzazione della banca per 5 miliardi di euro. Tutte soluzioni definite “di mercato”. Atlante è stato costituito con il contributo del resto del sistema bancario italiano e l’aumento di capitale di Mps sarà curato da alcuni big player del sistema bancario globale. Il ministro Padoan ha ricordato alla Camera che il sistema bancario italiano non è in crisi sistemica e non è fonte di vulnerabilità per gli altri sistemi bancari. Il premier si è vantato che per Mps non pagano i cittadini.
In parallelo, gli indici di fiducia – ulteriormente minati in giugno dall’esito del referendum britannico sulla Brexit – sono in calo già dal mese di gennaio.

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Ricapitalizzare con soldi pubblici e bail-in costa

L’approccio caso per caso va bene se i problemi sono isolati. Ma di fronte a una sequenza di casi isolati ci si chiede se sia necessario fare di più. Un’opzione discussa tra Roma e Bruxelles riguarda la possibilità e la modalità dell’utilizzo di risorse pubbliche per ricapitalizzare le banche. Una banca che riceve capitale pubblico ammette che con le sue forze non ce la fa. Ma da inizio 2016 l’uso di fondi pubblici per ricapitalizzare è consentito solo dopo aver condiviso parte delle perdite (almeno l’8 per cento del passivo totale) con azionisti e obbligazionisti. Alla regola sono previste eccezioni. Si può fare una “ricapitalizzazione precauzionale” a patto di coinvolgere azionisti e creditori subordinati (dunque lasciando fuori depositanti e obbligazioni privilegiate). Sempre un bail-in, ma più ristretto. Oppure si può invocare un caso anche più particolare laddove il bail-in ristretto metta a rischio la stabilità finanziaria o produca “effetti sproporzionati”.
Le parole rassicuranti del premier e del ministro Padoan indicano che nessuna di queste condizioni si applica al sistema bancario italiano. Per ora niente bail-out, niente bail-in e dunque niente eccezioni. Il sistema bancario italiano è sano, le oscillazioni di mercato sono un temporale estivo e il governo italiano non accampa scuse per non applicare una legislazione europea appena entrata in vigore. Meglio così. Durante la crisi 2008-13, i bail-out costarono 400 miliardi. Ma anche l’eventuale bail-in non sarebbe una passeggiata. In situazioni di dissesto bancario, il bail-in è stato applicato estesamente. In un recente caso europeo (Novo Banco, la good bank del Banco de Espirito Santo, Portogallo) l’applicazione del bail-in a un sottoinsieme dei creditori privilegiati ha concorso alla massiccia fuga di capitali americani dall’Europa di gennaio 2016. E il caso spagnolo, suggerito come possibile template per l’Italia, avvenne con ritardi e con un’iniezione tutt’altro che marginale di fondi pubblici.
Padoan alla Camera ha anche parlato di “cattiva gestione di alcune banche” e di “condotta illecita di alcuni manager”. Con qualche ragione. Soprattutto in Italia infatti le banche hanno venduto il proprio debito e le loro azioni a piccoli risparmiatori sotto gli occhi di Consob e Banca d’Italia. A metà 2015, complice anche la discesa dei tassi di interesse che ne ha ridotto i costi di emissione, 187 miliardi di euro di obbligazioni (il 28 per cento delle obbligazioni bancarie totali) erano nei portafogli delle famiglie. Per la Spagna del 2011 (poco prima del salvataggio con bail-in e fondi Ue) il dato era solo del 4 per cento del totale. Per la Germania, il dato 2015 è di 86 miliardi, metà di quello italiano. Alcuni risparmiatori avranno consapevolmente beneficiato di queste collocazioni ma accertare chi siano i truffati sarebbe oggetto di costose controversie legali. Mettendo insieme questi numeri con il rallentamento della ripresa economica e con la persistente situazione di incertezza sul vero stato patrimoniale di molte Bcc, si può intravedere la base per una futura richiesta di non applicazione del bail-in all’Italia, forse per non generare “effetti sproporzionati” nel sistema bancario italiano e in quello europeo. Con l’obiettivo di ricostituire la fiducia che serve a famiglie e imprese per crescere.

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  1. Michele

    Una domanda: chi ha maggiori responsabilità nella conduzione di banche o della cosa pubblica non subisce mai le conseguenze delle proprie azioni? I mangers di banche salvate con piani di salvataggio e che hanno bruciato fior di aumenti di capitale rimangono al loro posto con super compensi, bonus, privilegi, stock options etc? I supervisori dei mercati Bankitalia e Consob non hanno nulla da rimproverarsi? I loro dirigenti rimarranno al loro posto? Gli unici a pagare saranno i risparmiatori truffati, i dipendenti delle banche da licenziare per tagliare i costi, i contribuenti tartassati che pagheranno (direttamente o indirettamente) il salvataggio delle banche?

    • Pier Doloni Franzusi

      Volendo anche i dipendenti hanno piu’ di qualcosa da rimproverarsi, in quanto (attraverso i sindacati) insistono nel mantenere modelli di organizzazione arretrati e che non propongono utili e perche’, diciamolo, erano loro che vendevano spazzatura ai clienti e sapevano di farlo. “Eseguivo degli ordini” a Norimberga non passo’ come linea difensiva, perche’ dovrebbe qui?

  2. Maurizio Cocucci

    Non ho ben compreso perché ipotizzare (ancora) un salvataggio esterno (Bail-out) quando oramai la direttiva sui salvataggi bancari è pienamente in vigore. Possiamo fare delle discussioni quale puro esercizio accademico ma nella realtà sappiamo bene che a fronte di una situazione estrema il Bail-in, ovvero il salvataggio interno a cui sono chiamati a partecipare azionisti e creditori, verrà applicato volente o nolente. Figuriamoci poi per una operazione di ricapitalizzazione.

  3. fatti neri

    non la conoscevo, ma dopo quel …….la seguirò di sicuro come la sua ombra, con la dovuta osservanza

    • Henri Schmit

      Già, siamo nel paese del lei non sa chi sono io. Sebbene io non sia nessuno, d’ora in avanti mi guarderò le spalle.

  4. Henri Schmit

    Ineccepibile. Pure il commento. Bisogna stare attenti a lanciare accuse facili. Il governo è in una brutta situazione, di cui NON ha colpa. Deve difendere la credibilità del sistema e dietro le quinte trovare soluzioni. L’Italia ha UNA SOLA grossa banca sana. Bankit invece di esortare le banche a cambiare paradigma continua a rassicurare tutti e tutte. In apparente sintonia con vigilanza e governo l’ABI sembra sostenere che nulla deve cambiare. La crisi non è iniziata nel 2013, ma nel 2007; è diventata palese con il disastro della Lehman alla fine del 2008, è stata confermata dalla recessione cronica nel 2011; è stata raddoppiata da una serie di crisi politiche che non sembra chiusa. In trincea con il deficit pubblico Monti non poteva aprire il fronte bancario. Quella del 2007 era una crisi del debito. Quello pubblico italiano continua a crescere. Il 15% del credito bancario (contro meno del 5 a livello UE o euro) è a rischio. Il 40 delle obbligazioni bancarie sono in mano ai risparmiatori (contro il 10% in D e il 3% in F). Recuperare il recuperabile dei NPL costerà molti anni. Anche per questa ragione è difficile e oneroso cederli. Non ci sono operatori, a parte i soliti stranieri. Non ci sono investitori per gli aumenti di capitale, nemmeno a valore attuale tendente verso zero. La questione delle questione che nessuno pone è perché gli NPL sono così alti in Italia. Senza risposta a questa domanda non si risolverà niente. Meno male che Atlante con tutti i suoi difetti c’è.

  5. Bike

    Le banche come qualsiasi altra impresa deve essere lasciata fallire. Altrimenti non è libero mercato

  6. Alberto

    In caso di fallimento di un’azienda, chi intrattiene rapporti economici con questa protesi ad un guadagno, può subire, chi più chi meno, una perdita. E’ facile capire quindi le perdite dell’azionista in primis e dell’obbligazionista poi in caso di fallimento di una banca. Il correntista però non intrattiene rapporti economici protesi ad un guadagno e far pagare un correntista oltre la soglia di tutela provista dal fondo interbancario a tutela dei depositi, è assolutamente privo di qualsiasi fondamentale logica. In modo analogo, per lo stesso assurdo ragionamento, se dovesse fallire un’autofficina meccanica si dovrebbe far rientrare nell’asse fallimentare parte delle automobili sopra un certo valore momentaneamente depositate presso l’officina per una riparazione. L’autore o qualche lettore cortesemente mi smentiscano. Grazie.

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