Certo, la legge di bilancio non è ancora definitiva. Ma per il momento alle regioni sono garantiti i due miliardi in più promessi. Il problema semmai è che le novità si fermano qui. Tetti di spesa, risparmi previsti dalla centralizzazione degli acquisti e vantaggi per l’industria farmaceutica.

Più risorse, ma vincolate

Adesso abbiamo anche il testo presentato alla Camera, che si aggiunge alle slides e alle numerose bozze circolate nei giorni scorsi. E con un referendum al quale, oltre alla Costituzione, è appeso anche il governo, i gradi di incertezza su quale sarà la versione della legge di bilancio che verrà definitivamente approvata dal parlamento sono davvero molti.
Per il momento, però, i fondi che le regioni hanno richiesto al governo per la sanità ci sono: 2 miliardi in più rispetto al 2016, per un finanziamento complessivo di 113 miliardi di euro (destinato a crescere a 114 nel 2018 e a 115 nel 2019). Un incremento di quasi 2 punti percentuali, sostanzialmente in linea con l’andamento previsto del Pil nominale nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza.
La metà dell’aumento è vincolata: un miliardo in più servirà a finanziare l’acquisto di farmaci in eccesso rispetto al tetto fissato per la spesa farmaceutica (500 milioni per i farmaci oncologici innovativi e molto costosi; altri 325 milioni per i medicinali innovativi come quelli contro l’epatite C, per i quali altri 175 milioni arriveranno da risorse destinate a obiettivi specifici del piano sanitario nazionale), 100 milioni andranno al piano vaccini, 75 milioni per la stabilizzazione di medici e infermieri.
Anche il miliardo che resta però è ragionevolmente vincolato alla fornitura dei nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea), per i quali si era parlato di circa 800 milioni di fabbisogno. E sarebbe difficile per le regioni sostenere che i soldi per quello non ci sono, visto che il governo ha mantenuto le promesse.

Ripartizione delle risorse e dei risparmi

Oltre ai soldi, però, non ci sono novità di rilievo. Per esempio, c’è una rideterminazione dei tetti della spesa farmaceutica che non cambia il totale. Oggi per la spesa ospedaliera il limite è fissato al 3,5 per cento e per la spesa territoriale all’11,35 per cento. Dal 2017, ci sarà un tetto alla spesa per acquisti diretti (che ricomprende i farmaci direttamente consumati in ospedale e quelli in distribuzione diretta) al 6,89 per cento e uno alla spesa farmaceutica convenzionata al 7,96 per cento. Come si legge nella relazione tecnica, la disposizione servirà a fare chiarezza in merito a chi, se il territorio o l’ospedale (che hanno regole per il payback diverse), è responsabile dell’eventuale sforamento rispetto ai limiti. Ma le percentuali sono cambiate rispetto alle bozze circolate nei giorni scorsi, segno che le lobby si sono già attivate nel tira-e-molla e continueranno a farlo fino all’approvazione definitiva.
Altro esempio: c’è un tentativo di ricomprendere un numero maggiore di strutture ospedaliere nella norma sul piano di rientro aziendale introdotta dalla legge di stabilità dello scorso anno, abbassando la soglia del disavanzo oltre la quale scatta l’obbligo di piano dal 10 al 5 per cento dei ricavi (da 10 a 5 milioni in valore assoluto). È un passo nella giusta direzione, ma ci si sta muovendo troppo lentamente. Il decreto del ministero della Salute che doveva dare attuazione alla norma è arrivato a giugno e solo dopo l’estate le regioni hanno iniziato a individuare le aziende da sottoporre a piano a partire dal 2017. Si è perso un anno e la speranza è che non si perda altro tempo.
Sempre in tema di efficientamento, si insiste sulla linea della centralizzazione degli acquisti, via Consip o altri soggetti aggregatori. Dalla relazione tecnica non si riesce a chiarire quale sarà il contributo della sanità su questo fronte; ma stando alle slides del governo si potrebbe superare il miliardo di euro. Se si sommano gli 800 milioni “strutturali” per il finanziamento dei nuovi Lea, alla fine, l’aumento di risorse rischiano di pagarselo tutto le regioni. Viste le esperienze del passato, però, i dubbi che si riesca davvero a portare a casa più di un miliardo con questo canale sono molti; e certo gli effetti redistributivi tra territori e tra produttori potrebbero essere rilevanti. Perché alcune regioni hanno già fatto i compiti e altre no, perché alcune hanno le competenze per poter fare gare e altre no. Il risultato dipenderà da come verranno ripartite le risorse in più e da come verranno suddivisi i risparmi richiesti. Su entrambi i punti al momento non sappiamo nulla e tutto si scaricherà sul nuovo Patto per la salute.
Per quanto riguarda i produttori, sembrano indiscutibili invece i vantaggi (e l’attenzione, visto il possibile regalino sui biosimilari) per l’industria farmaceutica, per la quale i soldi freschi ci sono, a scapito degli altri fornitori del servizio sanitario nazionale, che dovranno sottostare, almeno a parole, alla centralizzazione degli acquisti.
Sia chiaro, il governo sta solo prendendo atto di quel che già è nei fatti, vista la dinamica superiore alle attese che ha mostrato la spesa farmaceutica nel primo semestre dell’anno in corso. Anche sui farmaci però sarebbe utile una maggior trasparenza, a partire dai contratti che l’Agenzia italiana del farmaco stipula con i produttori. Peraltro, proprio all’Aifa il governo vorrebbe affidare la classificazione dei farmaci innovativi. Bene sarebbe non lasciare sola l’Agenzia di fronte alle inevitabili pressioni che si metteranno in moto.

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