La legge di bilancio 2017 prevede la costituzione di un fondo per il finanziamento dei dipartimenti universitari di eccellenza. Se l’obiettivo è condivisibile, più discutibile è la scelta sull’assegnazione delle risorse. Perché non dà incentivi a migliorare.
Finanziamenti per 180 dipartimenti
Il provvedimento più rilevante per l’università della legge di bilancio 2017 è contenuto negli articoli 43, 44 e 45 (Fondo per il finanziamento dei dipartimenti universitari di eccellenza). Colpisce quindi che il dibattito si sia concentrato quasi esclusivamente sulle cosiddette cattedre Natta.
Perché i tre articoli sono così importanti? L’importo del provvedimento per il finanziamento dei dipartimenti è di 271 milioni di euro annui, assai più consistente di quello previsto per le cattedre Natta (75 milioni di euro). Il finanziamento andrà ai migliori 180 dipartimenti universitari statali (su un totale di 814) che otterranno un contributo medio annuo aggiuntivo di 1.250.000 euro, mentre gli altri non riceveranno nulla. Si tratta poi di un provvedimento permanente, non di un finanziamento sperimentale e una tantum, che potrebbe incidere in modo rilevante sugli obiettivi e il modo stesso di operare di molti dipartimenti.
I rischi del provvedimento
Si tratta di un provvedimento che può avere notevoli effetti sul sistema universitario italiano. L’obiettivo è quello di aumentare la dotazione finanziaria dei dipartimenti meritevoli, permettendo di competere con le migliori realtà universitarie internazionali, incentivando “l’eccellenza nella qualità della ricerca, e nella progettualità scientifica, organizzativa e didattica”. Tuttavia, un sistema come quello proposto nella legge di bilancio presenta alcune criticità.
Un aspetto di grande importanza è che esclude una parte consistente del sistema universitario italiano. I dipartimenti che non riusciranno ad accedere ai finanziamenti difficilmente potranno recuperare terreno. Rientrare in gioco sarà difficile, perché non avranno le risorse e gli incentivi per farlo. Il provvedimento, destinando le risorse esclusivamente a chi è in cima alla graduatoria, riduce gli incentivi a migliorare anche per chi si trova nella parte alta della classifica.
Nel gergo economico quello proposto dal governo è un sistema basato sulla performance relativa: chi arriva prima ottiene il premio, mentre gli altri non ottengono nulla. Tuttavia, un sistema di questo tipo produce risultati efficienti solo se i partecipanti sono fin dall’inizio abbastanza simili. In questo caso, tutti saranno incentivati a impegnarsi e a cercare di ottenere il premio la volta successiva. Se, però, i concorrenti sono diversi tra loro, il sistema non è in grado di fornire incentivi adeguati. Infatti, chi sta in cima alla graduatoria non ha motivo di impegnarsi troppo: è già abbastanza sicuro di vincere. Chi sta in una posizione di svantaggio, consapevole di non poter vincere, non ha alcun incentivo a impegnarsi per migliorare la propria posizione. Il risultato finale sarà quello che a impegnarsi saranno in pochi e il risultato complessivo inferiore a quello che si potrebbe ottenere con sistemi incentivanti alternativi quali, per esempio, quelli che legano in maniera proporzionale le risorse ai risultati raggiunti.
Gli effetti negativi non saranno compensati da altre misure, che seguono una logica simile e comportano una concentrazione di risorse in poche università. Ad esempio, è probabile che i vincitori delle cattedre prenderanno servizio nei dipartimenti e nelle università che sono in cima alla classifica.
Un’obiezione all’uso di un sistema che assegni le risorse aggiuntive in proporzione alla performance assoluta dei dipartimenti è che, distribuendole a tutti, si rischia di non darne a sufficienza per poter fare un salto di qualità e competere con i migliori dipartimenti a livello internazionale. È una obiezione fondata, ma nel mezzo si può trovare una soluzione di compromesso che permette di evitare, almeno in parte, i rischi evidenziati e di non disperdere eccessivamente le risorse disponibili. Ad esempio, almeno in una prima fase, si potrebbe pensare a due premi: uno più consistente e uno di entità minore da assegnare ai dipartimenti che si collocano in una fascia intermedia. In un sistema di questo genere chi sta nel secondo gruppo potrà aspirare nel corso del tempo a raggiungere le posizioni più alte e chi sta più in basso potrà pensare di accedere al gruppo immediatamente superiore.
Un altro aspetto da considerare è che un sistema che impone la definizione di una linea di separazione tra vincitori e perdenti è molto sensibile ai criteri utilizzati per redigere la classifica dei concorrenti. Misurare i risultati della ricerca è un’operazione molto complessa, e lo è tanto di più quando si vuole misurare la bontà del lavoro svolto da istituzioni complesse e che hanno molteplici compiti, come i dipartimenti universitari. È evidente che non vi sono criteri infallibili e che l’uso di uno piuttosto che di un altro può cambiare in maniera sostanziale la distribuzione delle risorse. Proprio per questa ragione occorre essere prudenti. Con sistemi basati sulla performance assoluta, l’impatto di eventuali errori è moderato: a meno di utilizzare criteri molto distanti tra di loro, il cambiamento da uno a un altro non implica sostanziali variazioni nell’assegnazione delle risorse. Al contrario, se si premia solo chi sta sopra un certo standard, per pochi decimali si può passare da un premio molto consistente a nessun premio. Anche per questo motivo prevedere una platea più ampia di premiati, con gruppi differenziati, può essere una scelta migliorativa.
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Marco Antoniotti
La soluzione ottimale nel frangente attuale è evitare di discutere di “premialità”. Tout court! Qui si sta passando dal finanziamento “a pioggia” al “monsone sul bagnato”.
È ora di rifinanziare il sistema nella sua globalità (anche se i Dipartimenti di Economia potrebbero aspettare qualche anno; un minimo di penitenza per i propri peccati la dovrebbero proprio scontare)
ruggero
Care De Paola e Pupo,
da tempo si invoca che i finanziamenti dall’alto scelgano sia università che porti e aeroporti, arrivando ad una selezione di qualità, contro campanili che hanno punteggiato l’Italia di opere inadeguate per stare al passo con l’Europa. La scelta sarà difficile, pazienza, cercheremo di migliorala evitando le lobbies.
Mauro Palumbo
Sono perfettamente d’accordo e l’articolo dimostra in modo molto sintetico due cose: a) che la retorica dell’eccellenza fa rima con quella dell’insipienza, ossia che non tiene conto delle conseguenze (non definibili come inattese, basta usare il cervello per renderle attese) delle posizioni ideologiche presentate come rivolte all’aumento dell’efficacia e dell’efficienza del sistema. Questo neodarwinismo sociale è davvero fastidioso oltre che dannoso; b) che una seria politica a sostegno dell’università e della ricerca deve ancora essere formulata (mentre si fa credere di praticarla) e che intervenire su singole variabili senza avere un’ottica di sistema non fa che peggiorare le cose: esattamente come ristrutturare un attico senza rafforzare le fondamenta della casa su cui poggia l’attico (anche su questo gli effetti degli ultimi terremoti dovrebbero aver insegnato qualcosa: non si può rendere antisismico l’attico favorendo il crollo del resto del sistema su cui poggia …)