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Verso il regionalismo differenziato

Nella riforma costituzionale cambia il rapporto Stato-regioni, con una separazione più netta di competenze. Ne deriva un assetto istituzionale più razionale ed efficiente. Per le regioni a statuto ordinario c’è la possibilità di ottenere maggiore autonomia. A patto di avere i conti in ordine.

Centralismo o maggiore chiarezza?

Uno dei principali cambiamenti previsti dalla riforma costituzionale è la revisione del rapporto stato-regioni. Insieme al nuovo ruolo del Senato come rappresentanza delle regioni, il punto principale è costituito dal nuovo art. 117, che prevede una separazione più netta di competenze fra le regioni e lo Stato. Verranno infatti abolite le materie di potestà legislativa concorrente, che saranno riformulate per specificare meglio l’ambito di applicazione statale e quello di applicazione regionale. Inoltre, lo Stato avrà la facoltà di intervenire – previa approvazione del Parlamento – su materie di competenza regionale laddove entri in gioco l’interesse nazionale.
Il dibattito sull’effetto della nuova ripartizione vede contrapposti due fronti: da un lato, coloro che la considerano una brusca deviazione di stampo centralista, a danno dell’autonomia legislativa e finanziaria delle regioni. Dall’altro, coloro secondo i quali rappresenta una svolta importante, poiché permetterà di evitare numerosi conflitti di attribuzione fra stato e regioni e restituirà allo stato competenza esclusiva in ambiti strategici.
In realtà, come spiegato da Massimo Bordignon nel corso del convegno annuale de lavoce.info, la riforma razionalizza in gran parte un processo di ri-centralizzazione di fatto già in opera nell’ultimo decennio. Infatti, il modello federalista previsto dalla riforma del Titolo V del 2001 non è mai stato applicato a causa del suo carattere dirompente rispetto ai precedenti equilibri politici e finanziari. E i “correttivi” messi in atto in seguito (sentenze della corte costituzionale, la legge delega 42/2009, le politiche di riequilibrio finanziario seguite alla crisi economica) rendono molti dei cambiamenti contenuti nel testo referendario meno rilevanti dal punto di vista pratico.
In questo senso, uno degli aspetti potenzialmente più innovativi della nuova ripartizione territoriale dei poteri sarà la creazione di un regionalismo su tre livelli, con protagonisti le regioni a statuto speciale, le regioni ordinarie “virtuose” e quelle “intemperanti”.

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Le regioni a statuto speciale

Le cinque regioni che godono di uno statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano continueranno a mantenere le competenze derivanti dalla propria autonomia, poiché a loro il nuovo art. 117 non verrà applicato “fino alla revisione dei rispettivi statuti”. Significa che l’attuale Titolo V e il nuovo sistema saranno contemporaneamente vigenti, rispettivamente nelle regioni a statuto speciale e in quelle ordinarie. Secondo la riforma, infatti, ogni revisione degli statuti di autonomia andrà effettuata “sulla base di intese” con la regione o la provincia autonoma interessata.
La clausola garantirà a questi enti un potere di veto fondamentale per la difesa della propria autonomia rispetto a istanze di modifica che non condividono. Si tratta di un’eccezione dal peso politico notevole che – nonostante la crescente insofferenza degli italiani nei confronti degli statuti speciali – mette in primo piano la tutela delle regioni o province autonome più virtuose, anziché uno smantellamento giustificabile con i risultati negativi delle altre.

Le regioni ordinarie: il vincolo dei “conti in ordine”

Con la riforma, alle regioni a statuto ordinario rimarrà competenza residuale nelle materie non esclusive dello stato. La novità più rilevante, in questo caso, riguarda le forme ulteriori di autonomia che lo stato potrà garantire alle singole regioni a condizione del raggiungimento dell’equilibrio finanziario.
In realtà, la possibilità di attribuire maggiori competenze alle regioni era già presente nella nostra Costituzione (art. 116), ma la riforma sembra voler rafforzare questo strumento di “autonomia differenziata” tramite il cambiamento della maggioranza richiesta per la sua approvazione in parlamento (da assoluta a semplice) e l’introduzione del vincolo sui bilanci. Quest’ultimo dovrebbe permettere allo stato di delegare maggiori poteri alle regioni virtuose senza incorrere in un’esplosione della spesa locale simile a quella seguita alla riforma del 2001.

Grafico 1

I conti delle regioni

Fonte: Corte dei conti e bilanci regionali Nota: dati riferiti a 2014 e 2013 in assenza di quelli 2015

Fonte: Corte dei conti e bilanci regionali
Nota: dati riferiti a 2014 e 2013 in assenza di quelli 2015

Nel complesso, l’assetto istituzionale delineato dalla riforma getta le basi per un regionalismo più efficiente, che premi gli enti territoriali in grado di produrre migliori servizi a costi minori. Infatti, sebbene nel 2015 quasi tutte le regioni ordinarie abbiano avuto entrate inferiori alle proprie uscite (grafico 1), per molte l’entità del disavanzo è stata minima e la possibilità di ottenere più competenze dallo stato potrebbe costituire dunque un traguardo realistico e desiderabile.
Tuttavia, la “staticità” del vincolo finanziario lascia una certa ambiguità, perché non è chiaro cosa avvenga dell’autonomia addizionale nel caso in cui la regione si trovi in difficoltà finanziarie in un momento successivo. Inoltre, le modifiche all’articolo 119 in tema di finanziamenti non affrontano i problemi sorti, dopo la riforma del 2001, dallo scontro fra norme di stampo federalista – che vorrebbero un sistema basato sull’autonomia finanziaria delle regioni – ed elementi quali il fondo perequativo senza vincoli o gli eventuali trasferimenti Stato-regioni. La mancata conciliazione di tali norme lascia irrisolta la questione dei finanziamenti regionali, riguardo la quale l’interpretazione del testo costituzionale giocherà ancora una volta un ruolo decisivo.

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Il Punto

  1. In tutta la storia repubblicana, a maggioranza più elevata e senza vincoli di carattere finanziario, il “regionalismo differenziato” non è mai stato applicato!

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