Prima un accordo per lo scambio di azioni, poi la rottura, oggi la scalata di Vivendi al capitale di Mediaset. I passaggi di questa travagliata vicenda alla luce delle trasformazioni in corso nel mercato della televisione. Con nuovi modelli di business, nuove tecnologie e nuovi protagonisti.
Per gran parte del 2016 si è assistito alla travagliata vicenda Mediaset-Vivendi, suscitando l’interesse dei grandi media internazionali. Cercando di uscire da una lettura personalistica, compito non semplice date le caratteristiche dei due protagonisti – Berlusconi e Bolloré – o dietrologica, ma rimanendo il più possibile ancorati ai fatti (quelli noti) possiamo provare a fornire una nostra chiave di lettura, che tenga conto degli aspetti strutturali e di business legati a questa delicata operazione.
Modelli consolidati e nuovi business
In primo luogo, guardando al contesto competitivo nel quale la vicenda si colloca, va sottolineato come il modello di Tv tradizionale, in Italia come in Europa, pur rimanendo prevalente ancora per molti anni, avverte ormai la presenza incombente e molto dinamica dei canali tematici che hanno accesso a risorse pubblicitarie sempre più consistenti, sottratte ai canali generalisti, dove si stanno concentrando le strategie di alcuni importanti operatori internazionali (Discovery, Sky, Viacom) e delle nuove modalità di fruizione di contenuti non lineari (Vod) nel mondo online e della internet Tv, anche qui caratterizzato da una dimensione globale (Netflix, Amazon, Apple e Google).
I broadcaster che si basano solo su modelli di business consolidati sono penalizzati: la crescita, seppur relativa per ora, si dirige esclusivamente sui nuovi business e sui ricavi dei nuovi entranti e mostra chiaramente come questi soggetti siano in grado di sfruttare meglio le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica e dalle mutate esigenze della domanda.
In questo contesto di grande trasformazione, ad aprile Mediaset e Vivendi siglano un accordo, che fa proprio riferimento alla necessità di creazione di un polo europeo in grado di competere con i grandi rivali continentali come Sky, che aveva da poco costituito un’unica società europea che unisce le attività di tre dei suoi maggiori mercati – Regno Unito, Germania e Italia – e con i grandi player globali di video streaming, che con offerte attraenti e a basso costo entrano direttamente sui mercati mondiali approfittando delle economie di scala e di scopo.
Il patto e la rottura
Nel commentare l’operazione su lavoce.info sottolineavo come “l’esclusività dei contenuti e lo sfruttamento di dati legati alla profilazione del cliente, per meglio assecondarne i gusti e mantenere un alto livello di fidelizzazione, rappresentano i due fattori critici di successo… La produzione e la fornitura di contenuti, in chiaro o a pagamento, da parte di una major europea, è il punto di maggior interesse e strategicamente più rilevante dell’operazione”.
In questo senso l’accordo di aprile prevede uno scambio di azioni tra le due società (Vivendi è anche azionista di riferimento di Telecom Italia) e il passaggio alla società francese di Mediaset premium, la pay Tv di Mediaset che nel frattempo aveva costituito una società separata, con in dote un’attraente catalogo di contenuti pregiati – film e soprattutto calcio – con l’esclusiva triennale sulla Champions league, ma anche una situazione economica pesante con perdite superiori a 100 milioni di euro a fronte di 500 di ricavi nel solo ultimo anno.
In estate però, al momento di passare alla fase esecutiva, Bolloré fa saltare improvvisamente il banco, rinunciando all’acquisizione di Mediaset premium. Quali possono essere state le novità che hanno spinto il magnate francese a rinunciare all’operazione?
Alla ragione ufficiale, di una falsa comunicazione sullo stato dei conti di Mediaset premium, si aggiungono fatti molto significativi avvenuti nel frattempo, che fanno pensare piuttosto a un cambiamento di strategia da parte di Bolloré, soprattutto sul lato della tv a pagamento.
In Germania viene chiusa infatti Switchover, una delle tre società di Vivendi che con Mediaset (Infinity) in Italia e Canal plus (Canalplay) in Francia avrebbero dovuto realizzare il polo europeo da contrapporre a Netflix e Sky. Sempre nello stesso periodo Canal plus annuncia pesanti perdite delle sue operazioni di pay Tv e da quel momento tornano con insistenza voci ancora attuali di una possibile vendita (Orange tra i maggiori candidati all’acquisto). In più, l’esclusiva di Premium sulla Champions league non ha portato i risultati sperati, accrescendo ulteriormente il debito e non intaccando in maniera sensibile il numero degli abbonati di Sky.
Mediaset, da partner a preda
Insomma, già in estate molte cose sono cambiate, la pay Tv non è più un business su cui puntare e si comincia a ripensare all’utilità di un acquisto che accresce fortemente gli oneri in capo a Vivendi a vantaggio di Mediaset (ai debiti di Premium si aggiungono anche i costi per l’affitto della rete terrestre fino al 2020, la remunerazione dei canali di proprietà di Mediaset sulla piattaforma e l’utilizzo della concessionaria sempre di Mediaset per la pubblicità dei canali), lasciando incerto l’obiettivo finale.
D’altro canto se lo scopo solo in parte dichiarato ma da tutti ipotizzato fin dall’inizio era Mediaset, una società che comunque rimane uno dei maggiori editori televisivi in Europa, leader nella Tv in chiaro e con importanti asset nel settore della produzione e distribuzione di contenuti, Bolloré avrà presumibilmente pensato che forzare la mano avrebbe ridotto i tempi di transizione, facendo scoprire le carte al management Fininvest rispetto all’ipotesi di cessione totale. Il tutto in una situazione particolarmente favorevole (e secondo Mediaset artatamente creata) in cui, anche in virtù delle vicende appena ricordate, il valore delle azioni della società era notevolmente sceso e dunque si potevano acquisire quote rilevanti sul mercato a prezzi molto più convenienti rispetto all’accordo di aprile.
Quello a cui oggi stiamo pertanto assistendo è l’inizio di una partita forse ancora lunga, dove un player intende ottenere il proprio obiettivo a ogni costo (Mediaset in toto) con l’accordo o meno dell’altra parte. Per capire come andrà a finire la storia è decisivo a questo punto conoscere le reali intenzioni della famiglia Berlusconi, ben sapendo in ogni caso che da ambo le parti senza un forte consolidamento anche a livello internazionale si rischia di venir tagliati fuori dalla partita dei contenuti nei prossimi anni, ma che al contempo nella stessa partita non c’è posto forse per due giocatori così ingombranti.
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Piero
Vivendi deve scegliere se vuole mantenere Mediaset deve cedere Telecom, ciò ha detto l’AGCM.
Non è che dietro questa operazione c’è il consenso del Governo, in questo modo si liberano di Berlusconi per sempre?
Vivendi sarà costretto a vendere la sua quota su Telecom di oltre il 20%; verrà acquistata presumibilmente dal fondo Black rock (dai comunicati alla CONSOB si rileva che già nel 2016 il fondo ha rastrellato molte azioni Telecom). Avremo quindi la Telecom controllata dal fondo Black rock.
Se ciò accadrà, il governo è sicuramente coinvolto.
Nemo
Il punto nodale è: “i costi per l’affitto della rete terrestre”. Vivendi ha pagato per Telecom, mentre Mediaset ha avuto un bel regalo fatto da noi tutti (DTT, altrimenti fallimentare, per la famiglia brianzola).
Quella che è stata soprannominata “battaglia” fra B & B in realtà non riguarda lo Stato perché è rivolta ai contenuti e non alla rete.
Giuseppe
L’articolo premette il superamento tecnico e commerciale del tradizionale broadcasting, come è Mediaset.
Non si capisce quindi dove sta l’appetibilità di una società già incanalata nel binario morto della trasmissione generalista in chiaro.
Cesare
Quale può essere l’interesse ad acquisire una società come Mediaset che è attiva nel tradizionale broadcasting? Credo che l’intento possa essere sia industriale, sia speculativo. Speculativo nella possibilità di lucrare sulla vendita di frequenze in eccesso, regalate e probabilmente non contemperate nel prezzo azionario, anche perché Mediaset ha sempre perseguito obiettivi di consolidamento del mercato attraverso il rastrellamento dei diritti d’uso, non necessariamente da usare. Industriale nella possibilità di costituire eventualmente in futuro una conglomerata con Telecom. Un appunto: Agcom esprime posizioni sul sic, competenza che esula dalle attribuzioni di agcm. Sul merito della questione giuridica ho le mie opinioni ben strutturate (e corredate di casi a supporto), e sostanzialmente credo che Fininvest non abbia seri argomenti in diritto, almeno sul fronte del sic.