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Proporzionale o maggioritario? Un compromesso

Il risultato del referendum costituzionale ci consegna un parlamento bicamerale eletto con due leggi diverse e non soddisfacenti. La via d’uscita potrebbe essere una variante semplificata della proposta del Movimento 5 Stelle per la Camera e il ripristino del collegio uninominale per il Senato.

L’impasse sulla legge elettorale

La bocciatura della riforma costituzionale ha creato una situazione confusa, ampiamente prevedibile, anche per ciò che riguarda la legge elettorale. In questo momento, l’unica certezza è che l’Italicum, che doveva garantire la governabilità ed è in attesa di giudizio davanti alla Consulta (esame fissato per il 24 gennaio), non sarà mai applicato. Non è chiaro se esiste una maggioranza per una nuova legge elettorale o se ancora una volta saranno i giudici a doversi sostituire al parlamento. Una nuova legge serve anche per il Senato, a meno di non accettare il Consultellum creato con la sentenza 1/2014.
Alla maggioranza del Partito democratico conviene cambiare l’Italicum perché potrebbe consegnare il controllo del parlamento e il governo al Movimento 5 Stelle. Descritto come estremista e populista, M5S è in realtà considerato da molti come la scelta mediana che vincerebbe al ballottaggio contro entrambi gli schieramenti tradizionali. L’opposizione di destra nutre la stessa preoccupazione del Pd, ma mentre Forza Italia vorrebbe un sistema proporzionale, la Lega Nord si oppone a leggi non maggioritarie.
La soluzione più naturale sarebbe un’intesa fra i due schieramenti tradizionali, interessati a sbarrare la strada all’avversario comune. Ma l’effetto di una legge mirata a danno dello schieramento che è il principale interprete di un’epocale diffidenza dei cittadini potrebbe essere catastrofico per chi la propone e approva.
Sarebbe preferibile cercare una soluzione condivisa, se non fosse scontato che, per ragioni tattiche, il movimento di Grillo non parteciperà a un dibattito costruttivo. In queste circostanze gli altri partiti potrebbero partire proprio dalla base sana della proposta grillina, battezzata Democratellum, per definire un compromesso accettabile per tutti.

La proposta

I principi che qualsiasi futura legge dovrebbe rispettare sono quattro:

  • conformità ai diritti costituzionali (articolo 48, 51, 67);
  • equa rappresentazione delle principali forze politiche (articolo 49) che nel rispetto del libero mandato (articolo 67) devono trovare soluzioni condivise;
  • efficienza: evitare un frazionamento eccessivo del parlamento;
  • semplicità: evitare soluzioni complicate strumentali per condizionare il voto.
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Le soluzioni preconizzate in vista di una nuova legge elettorale sono invece cinque:

  • il sistema ultra-maggioritario dell’Italicum riformato;
  • il maggioritario classico uninominale a doppio turno;
  • il ripristino del Mattarellum, un maggioritario annacquato;
  • un sistema proporzionale nazionale, il Consultellum;
  • semplificando e razionalizzando la proposta grillina, un sistema proporzionale di collegio plurinominale, con voto individuale e di lista in collegi omogenei ritagliati dividendo quelli più grandi dell’Italicum in collegi da tre, quattro o al massimo cinque seggi; candidature individuali su liste con un numero di candidati non superiore a quello dei seggi e divieto di candidature multiple; preferenza unica che vale sia per la lista sia per il candidato; riparto con formula D’Hondt dei seggi fra le liste all’interno del collegio, senza correzione nazionale, poi assegnazione all’interno di ogni lista ai candidati più votati.

L’Italicum emendato e il Mattarellum sono inutilmente complessi rispetto all’uninominale. Il Consultellum necessita soglie molto alte per evitare un frazionamento eccessivo e rinforza il potere di fatto dei partiti.
Rimangono l’uninominale, che favorisce il bipolarismo, e l’ultimo modello che rispecchia meglio uno scenario tripolare.
Questo modello corrisponde al sistema proporzionale di lista libera, in vigore dal 1919 in Svizzera e in Lussemburgo; una sua versione più evoluta e più semplice è utilizzata dal 1955 in Finlandia dove il voto unico vale per il candidato e per la lista, ma in circoscrizioni molto eterogenee.

I pregi della lista libera a voto unico in piccoli collegi omogenei sarebbero molti:

  • le candidature individuali e il voto unico rispettano i principi costituzionali;
  • il voto di lista piace ai partiti;
  • la dimensione del collegio crea soglie di accesso effettive fra il 13 per cento (5 seggi) e il 22 per cento (3 seggi) circa;
  • favorisce le formazioni territorialmente forti.

Il sistema produrrebbe una Camera con due gruppi principali, probabilmente senza maggioranza assoluta, due gruppi minori – con un vantaggio per chi ha un elettorato più concentrato – e altri raggruppamenti incapaci di allearsi, che otterrebbero solo pochissimi deputati. Il sistema spingerebbe ad alleanze preelettorali, in teoria di collegio, ma in pratica, per ragioni di efficienza comunicativa, nazionali.
Per quanto riguarda il Senato, il verdetto referendario ha reso chiaro che i senatori devono continuare a essere eletti direttamente. Preferibile al Consultellum e applicabile per inerzia parlamentare, sarebbe il ripristino dei collegi uninominali, idealmente a doppio turno, in sintonia con la Costituzione (“la base regionale” dell’articolo 57) e con le esigenze politiche.
Se la prossima riforma costituzionale sopprimerà il bicameralismo, paritario o tout court, potrà scegliere per eleggere l’unica o la principale camera fra i due modelli semplici ed efficienti.

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Referendum: il “no” cambia da Nord a Sud

  1. Michele Lalla

    L’articolo presenta un quadro quasi esaustivo della situazione che, in definitiva, è un po’ di stallo. Ogni sistema elettorale ha pregi e difetti e ha vantaggi e svantaggi specifici differenti per gli attori (formazioni politiche) iin gioco. Ciò è una delle difficoltà che ostacola il varo di una legge elettorale largamente condivisa. L’approccio dei politici è diretto a aumentare il consenso e non a trovare una soluzione per i problemi del paese, che non può che essere condivisa. Tale approccio è l’altra difficoltà. Vedremo se i “partiti” saranno in grado di esprimere una idea o si affideranno alla sentenze: qui è il problema della politica e degli elettori che si affidano a chi non vuole operare politicamente … Infine, Non evocherei un’altra riforma costituzionale, ma sarebbe auspicabile solo qualche lieve ritocco, perché la possibilità di avere maggioranze diverse nelle due Camere, non è un problema e è frequente anche negli altri sistemi; anzi, è meccanismo di bilanciamento e di garanzia. Nel recente passato ha agito anche in questo senso.

  2. Ringraziando il prof. Lalla approfitto per aggiungere un paio di precisazioni. 1. Tutti i sistemi elettorali sono più o meno maggioritari e proporzionali; l’aumento graduale del numero dei collegi rende l’uninominale sempre più proporzionale. 2. Con la consueta dicotomia si intende un’altra cosa che rischia di trasferire il potere dei cittadini e dei deputati ai partiti; non si votano più individui, ma (primariamente o esclusivamente) liste assegnando i seggi direttamente alle liste (idealmente bloccate). Chi promuove queste soluzioni deve fare i conti con l’art. 67 che garantisce il libero mandato, elemento irrinunciabile del costituzionalismo liberale e democratico. 3. La mia ipotesi è un compromesso rispettoso dei principi costituzionali, mentre le alternative discusse nelle aule non lo sono, o per niente o non altrettanto. 4. L’idea di piccoli collegi plurinominali segue la stessa logica della legge elettorale Zanardelli del 1882, solo che, contrariamente ad oggi, all’epoca non erano “conosciuti” i meccanismi elettorali plurinominali con modalità di voto e di assegnazione dei seggi rispettosi dei diritti; le soluzioni conformi sono il voto unico ordinale (Irlanda, 1921, 1937) e il voto unico che vale sia per il candidato sia per la lista (Finlandia, 1906, 1955). 5. L’occasione di fare una buona legge elettorale, razionale e condivisa, ordinaria solo di nome, non si ripresenterà facilmente.

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