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I mille rivoli dell’export italiano

Nuovo record per le esportazioni italiane. Negli ultimi 25 anni è aumentato anche il numero di paesi raggiunti dal nostro export e la diversificazione è cresciuta più che in altri paesi. Nonostante il rallentamento del commercio mondiale. Imprese piccole e medie nelle dimensioni ma di ampi orizzonti.

Esportazioni ai massimi storici

Nonostante il rallentamento del commercio mondiale, le esportazioni italiane hanno raggiunto nel 2016 il loro massimo storico, portando la bilancia commerciale a registrare un avanzo senza precedenti. Negli ultimi anni, il buon andamento delle vendite di prodotti italiani sui mercati esteri ha quindi contribuito a rallentare la caduta del Pil nella fase di recessione e a sostenere la ripresa negli anni più recenti.
Ma quali sono le ragioni delle buone performance delle nostre esportazioni? Se da un lato la dinamica positiva delle imprese italiane nei mercati esteri è il frutto di processi di ristrutturazione che hanno migliorato qualitativamente i prodotti, dall’altro bisogna sottolineare come elemento di positività il marcato incremento nel numero di mercati di sbocco delle nostre merci.
Negli ultimi anni l’Unione Europea, principale destinazione delle esportazioni italiane, ha registrato tassi di crescita molto più contenuti rispetto al resto del mondo e il suo peso come importatore è progressivamente diminuito, in favore di nuovi mercati che presentano una crescita più dinamica. Tale fenomeno ha interessato tutti i paesi industrializzati, disegnando una nuova geografia dell’export mondiale in cui i paesi emergenti rivestono un ruolo molto più centrale. Alla luce di questo nuovo scenario, è utile comprendere in che modo le imprese italiane siano state in grado di adeguarsi ai cambiamenti intercettando la domanda dei nuovi mercati. Analizzando la diversificazione geografica dell’export e confrontando la performance italiana con quella dei principali paesi europei.

Nuovi sbocchi per i nostri prodotti

Un primo indizio su come sia cambiato il quadro dell’export è costituito dal peso percentuale dei primi cinque mercati di destinazione sul totale dei flussi commerciali esteri che, generalmente, rappresenta circa il 50 per cento del totale. Negli ultimi 25 anni, la quota dei primi cinque mercati sull’export italiano è diminuita nettamente con una variazione di circa 14 punti percentuali (dal 55,6 al 41,6), la più alta nel campione considerato; tale contrazione è osservabile anche in Spagna e in Germania e, in misura minore, in Gran Bretagna, mentre la Francia non presenta variazioni significative.
Per valutare più approfonditamente la performance geografica dei paesi europei presi in esame è utile considerare l’indice di Herfindahl-Hirschman (HHI) di diversificazione geografica dell’export. L’indice è massimo quando tutto l’export è concentrato in un solo mercato e minimo quando le quote sono distribuite equamente. Per chiarezza espositiva utilizzeremo il reciproco dell’indice. Valori più alti, dunque, rappresentano un maggior indice di diversificazione. La figura 1 mostra l’andamento dell’indice, che conferma l’aumento della dispersione geografica dell’export italiano negli ultimi 25 anni. L’Italia, infatti, presenta un significativo incremento della diversificazione dei mercati di sbocco sia in termini assoluti sia relativamente agli altri paesi del campione, attestandosi seconda solo alla Germania. Tale posizione risulta ancora più significativa se si considera che, nel 1991, anno di inizio della nostra analisi, l’Italia si posizionava penultima davanti solo alla Spagna. Tale dinamica evidenzia come, particolarmente negli ultimi 15 anni, i prodotti italiani abbiano raggiunto nuovi mercati, intercettando nicchie precedentemente poco esplorate.

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Figura 1: Indice di diversificazione geografica dell’export

Fonte: Elaborazione su dati Comtrade

Fonte: Elaborazione su dati Comtrade

Questo cambiamento risulta immediatamente evidente mostrando la dinamica dell’indice nel tempo (figura 2). Tale indice ha avuto un incremento per l’Italia del 70,8 per cento, mentre il secondo miglior risultato è rappresentato dalla Spagna, cresciuta del 54 per cento, che però partiva da una struttura geografica delle esportazioni fortemente concentrata sui mercati europei.

Figura 2: Andamento dinamico diversificazione dell’export totale paesi scelti (Anno base=1991)

Fonte: Elaborazione su dati Comtrade

Fonte: Elaborazione su dati Comtrade

Questi risultati mostrano come le imprese italiane abbiano risposto bene alla necessità di saper riorientare i flussi di commercio, andando a intercettare la crescente domanda proveniente dalle economie emergenti. Le imprese italiane sono state spinte a cercare nuovi mercati di sbocco per i propri prodotti fuori dai mercati avanzati, partner tradizionali per l’industria italiana. Per mantenere la propria competitività internazionale, infatti, le imprese italiane hanno investito non solo in un miglioramento qualitativo dei prodotti, ma anche in un processo di riposizionamento verso i mercati emergenti in una misura maggiore rispetto agli altri partner europei.
Questo riposizionamento geografico risulta inoltre piuttosto sorprendente se si considera che la struttura dimensionale delle imprese italiane è caratterizzata dalla forte presenza di piccole e medie imprese che, sulla carta, dovrebbero incontrare maggiori difficoltà e barriere all’ingresso nei nuovi mercati. In un contesto come quello attuale, caratterizzato da una crescente instabilità e volatilità dei mercati, tale risultato è particolarmente importante, dal momento che una maggiore diversificazione dei mercati di sbocco riduce la rischiosità associata a shock regionali negativi.

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  1. Massimo Matteoli

    Tutte le volte che si vanno ad esaminare nel dettaglio i dati dell’export italiano si trovano di solito sorprese positive.
    Mi pare che dimostri una forza ed una capacità del nostro sistema imprenditoriale ben maggiore di quello che pensano i nostri critici.
    Questo però significa che le priorità di cui il Governo e gli stessi imprenditori di solito parlano (a cominciare dal taglio delle tasse) non sono quelle vere.
    Non perchè in Italia non esistano problemi (ci sono, purtroppo lo sappiamo bene), ma perchè il vero tallone d’Achille della nostra economia è la debolezza cronica del mercato interno.
    Aiuti agli investimenti pubblici e privati e tutele sociali per i più svantaggiati valgono di sicuro più del taglio delle tasse a chi può permettersi di pagarle.
    Anche perchè un’economia interna che sapesse prendere il ritmo del nostro export farebbe bene per primo proprio a chi ha i redditi ed i patrimoni più alti.

  2. bob

    io per esperienza di lavoro personale non credo al Paese esportatore che si vuol far credere, sarebbe da aprire un dibattito molto ampio, quanto sia reale e quanto drogato da meccanismi fiscali e burocratici. Il mercato interno è quello che realmente sostiene quasiasi Paese o Continente …ma questo è il Paese degli slogan e non dei progetti

  3. Alessandro Bellotti

    La prima domanda che mi pongo è: chissà quali risultati avrebbero potuto ottenere le PMI italiane se queste avessero ‘dietro’ servizi adeguati all’export? Inutile ricordare di quanto vale il Made in Italy nei paesi in via di sviluppo. Prendiamo ad esempio ICE. Non posso non ricordarmi di una fiera in India dell’anno scorso dove ICE avrebbe dovuto fare una collettiva. La collettiva fu abbandonata da ICE 40 giorni prima dell’inizio della fiera lasciando la mia azienda e altre aziende senza un riferimento comune e senza fiera. Lamento poi l’indifferenza di ICE riguardo la tecnologia italiana per le energie rinnovabili. Sembra che in Italia facciamo solo vestiti, cibo e qualche macchinario.
    Magari un ritorno del paese alla tecnologia consentirebbe un riposizionamento internazionale più marcato. Ci sono 2 miliardi di persone nel mondo che avrebbero bisogno della tecnologia italiana.
    Oggi si parla spesso di industria 4.0. Il governo incentiva le installazioni di macchinari con super e iper ammortamenti dimenticando che la vera sfida tecnologica sarà sulla componentistica elettronica, pneumatica e meccanica. Che tipicamente è Made in Germany. Quindi indirettamente si daranno incentivi alle aziende tedesche che producono tecnologia. Occorreva incentivare anche la produzione di tecnologia italiana per Industria 4.0.

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