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Ritorno alla politica monetaria normale

Il messaggio principale della decisione della Federal Reserve sul rialzo dei tassi è che il regime in cui opera l’economia è tornato normale e anche la politica monetaria può tornare a essere tale. E si possono pianificare le mosse future in modo trasparente.

Il faro del mercato del lavoro

Con il terzo rialzo dei tassi di interesse dal 2008, la Federal Reserve ha trasmesso un senso prevalente di normalizzazione. Come quando si passa dal far correre una macchina su un impervio sterrato a una docile, e pianeggiante, autostrada asfaltata. D’altronde, che altro si può dire di un’economia il cui tasso di disoccupazione è al 4,7 per cento e il tasso di inflazione è oramai vicino al 2 per cento?
Il messaggio principale della decisione della Fed è che il regime in cui opera l’economia è tornato normale; e che quindi, in questo contesto, anche la politica monetaria può tornare a essere “normale”. Che cosa significa politica monetaria normale?
Alla luce degli ultimi otto anni, soprattutto due cose. Primo, poter alzare i tassi di interesse “in serenità”, senza il timore di reazioni sproporzionate dei mercati finanziari. Secondo, poter pianificare le mosse future in modo trasparente. È molto più facile, ed efficace, orientare le aspettative lungo un’autostrada (le cui direzioni sono prevedibili, anche quando non lineari) che su uno sterrato di montagna.
Rispetto al meeting precedente, un numero crescente di membri dell’Fomc (il comitato direttivo della Fed) ha dichiarato di aspettarsi nel complesso quattro rialzi durante il 2017. Un chiaro segnale che la Federal Reserve vede continui miglioramenti nel mercato del lavoro (il faro di ogni decisione per la Fed di Janet Yellen, tanto quanto i mercati finanziari lo erano per le decisioni della Fed di Alan Greenspan), con conseguente crescita salariale e quindi accelerazione dell’inflazione. I dati mostrano che la crescita dei salari è in ripresa, soprattutto per coloro che cambiano lavoro. L’indicatore di buona salute del mercato del lavoro preferito da Yellen, cioè il tasso di “abbandoni volontari” del posto di lavoro, mostra continui rialzi da un anno a questa parte. La conseguenza è che a gennaio 2017 il tasso di crescita annuale dei prezzi al consumo è stato molto vicino al 2 per cento, cioè precisamente il target ufficiale della Fed.

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Il cambio di regime

Ci sono tutti gli ingredienti per affermare che la normalizzazione della politica monetaria di oggi corrisponda, paradossalmente, a un vero e proprio cambio di regime. Da quello in cui la Fed cercava, con prolungata insistenza, di soffiare sul fuoco dell’inflazione, a un nuovo regime in cui l’obiettivo è diventato invece stabilizzare l’inflazione. La prudenza dei banchieri centrali intima sempre di non soffiare sul fuoco troppo forte, perché la risposta (maggiore inflazione) potrebbe essere eccessivamente violenta. Ma gli ultimi anni sembrava di soffiare su braci non più ardenti: un grande stimolo monetario con effetti inflazionistici quasi nulli. Anzi, secondo alcuni, con un’eccessiva produzione di fumo, cioè un eccesso di liquidità sui mercati finanziari, e compressione dei margini di profitto delle banche (con conseguente, e paradossale, compressione del credito).
La grande normalizzazione è quindi aver visto le braci (il mercato del lavoro) riaccendersi. Perché ciò vuol dire che le politiche di stimolo (soffiare sul fuoco) possono tornare a produrre i loro normali effetti inflazionistici. Il mondo è tornato a essere quello conosciuto, in cui l’impulso-risposta degli stimoli monetari segue meccanismi prevedibili. La transizione è di grande sollievo (ancorché un grande successo) per un banchiere centrale.
È in questo contesto che va letta la tranquillità con cui Janet Yellen ha inviato un secondo importante messaggio: chiarire che il target della Fed è simmetrico intorno al 2 percento. Ciò vuol dire che nel percorso di stabilizzazione saranno tranquillamente tollerate deviazioni dell’inflazione al di sopra del 2 per cento. Da un lato, c’è da chiedersi come mai dichiarazioni del genere, utili a muovere le aspettative di inflazione al rialzo, non siano state fatte prima, quando (nel vecchio regime di trappola della liquidità) ogni notizia di rialzo dell’inflazione veniva accolta con tripudio.
Dall’altro, viene da pensare alla Banca centrale europea. Mario Draghi non potrebbe mai dichiarare (seppur implicitamente) che deviazioni dell’inflazione al di sopra del 2 per cento sarebbero tollerate. Perché, inspiegabilmente e senza alcun conforto della teoria economica, il target di inflazione della Bce rimane per statuto asimmetrico, cioè vicino ma al di sotto del 2 per cento. Trasformare l’obiettivo da asimmetrico a simmetrico sarebbe una piccola grande riforma con un costo economico pari a zero. Ma anche queste riforme, nell’inerzia decisionale europea, hanno evidentemente grandi costi politici.

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  1. paolo pollicelli

    ……… l’obiettivo da asimmetrico a simmetrico sarebbe una piccola grande riforma con un costo economico pari a zero……. Credo che per i pensionati e i percettori di reddito fisso non sia a costo zero ma varrebbe una perdita secca pari all’inflazione. Mi sbaglio?

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