Misura per le famiglie davvero povere
Grazie per tutti i commenti al mio articolo “Reddito di inclusione, un buon primo passo”. Cerco di rispondere qui alle questioni sollevate dai lettori.
Quello che scrive il lettore che si firma “Shadok” è vero: la spesa sociale italiana non è bassa. È però molto squilibrata, visto che buona parte va in pensioni. Per la famiglia e per il contrasto alla povertà spendiamo molto meno degli altri paesi europei. Con un aumento del Pil anche moderato, sarebbe possibile trovare i fondi per il reddito di inclusione semplicemente con un riequilibrio interno alla spesa sociale, tenendo ferma la voce pensioni.
Non avevo proprio pensato alla possibilità che il reddito di inclusione sia il modo per aggirare l’ostacolo dei maggiori controlli sui falsi invalidi, come suggerisce Bruno Gazzola. Forme di reddito minimo esistono in tutte le economie sviluppate, anche negli Usa. Certo c’è il rischio che se ne faccia un cattivo uso e per questo un avvio della misura lento e su una platea limitata può essere un vantaggio, perché permette di intervenire e correggere gli eventuali difetti, ma dobbiamo stare attenti a non buttare il bambino con l’acqua sporca. Sicuramente qualcuno approfitterà del nuovo trasferimento senza averne diritto, ma ci sono tante famiglie davvero povere, soprattutto dopo un decennio di crisi economica. E se anche alcuni adulti possono cercare di fare i furbi, che colpa ne hanno i loro figli?
Albert Hirschman ci ha insegnato che, quando si cerca di fare una riforma, ci sono alcuni argomenti retorici che puntualmente vengono sostenuti per opporvisi: la perversità (la riforma produrrà effetti opposti a quelli che i proponenti auspicano, nel caso specifico la povertà aumenterà), l’inutilità (non cambierà nulla, sarà solo uno spreco di soldi), la messa in pericolo (le cose addirittura peggioreranno). Elementi di rischio sicuramente esistono in ogni cambiamento, ma cerchiamo di non farci paralizzare dalle paure.
Sono d’accordo con Massimo Bassetti che la povertà si combatte soprattutto con il lavoro e che per questo sia anche importante ridurre il carico fiscale su chi lavora. Ma il reddito di inclusione completa una rete di interventi che dovrebbe soprattutto servire per reinserire al lavoro chi lo ha perso. Come scrive Giulia Ghezzi, i rischi di assistenzialismo ci sono, ma se ci blocchiamo davanti alle possibilità di insuccesso non cambierà mai nulla.
Condivido l’idea di Giustino Zulli che l’imposizione sulla prima casa sarebbe un’ottima via per finanziare il reddito di inclusione. Personalmente, aumenterei anche l’imposta sulle successioni, riducendo il prelievo sul lavoro.
Gennaro usa a proposito dei poveri l’aggettivo invisibili: ci aiuta a capire perché in Italia non c’è ancora il reddito minimo, mentre abbiamo tanti altri interventi, più o meno importanti, introdotti negli anni per soddisfare categorie politicamente più visibili.
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