La possibilità di considerare i comportamenti passati delle imprese nelle scelte di aggiudicazione di gare pubbliche apre molte opportunità. Ma innesca anche diversi problemi. E non è ancora chiaro come verranno affrontati nell’ordinamento italiano.
La terza via italiana
La direttiva UE 24/2014 introduce varie novità in tema di appalti. In un articolo precedente ci siamo soffermati sui diversi modi in cui i paesi europei hanno recepito la possibilità di utilizzare informazioni sui comportamenti passati delle imprese appaltatrici. Qui guardiamo all’Italia, anche alla luce del “correttivo” del nuovo Codice degli appalti proposto nelle ultime settimane.
Innanzitutto, le modifiche del correttivo riguardano il sistema di rating di impresa: se ne rivede l’attuale esclusivo collegamento alla qualificazione, per inserirlo invece tra gli elementi di valutazione dell’offerta qualitativa. Il rating d’impresa assume così solo una funzione premiale poiché è stato eliminato il riferimento alla penalità. E viene coordinato con il rating di legalità, che è un diverso istituto. Il correttivo rivede poi gli indicatori che lo costituiscono, eliminandone alcuni (la regolarità contributiva e il rating di legalità) e lasciando solo quelli che il legislatore ritiene più oggettivi ed effettivamente espressivi dei comportamenti passati dell’impresa esecutrice (rispetto dei tempi e costi e incidenza del contenzioso).
Anche con l’eventuale approvazione delle modifiche previste nel correttivo, il legislatore continua ad andare oltre i requisiti minimi richiesti dalla direttiva 24/2014. Nel Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 50/2016, redatto sulla base della legge delega 11/2016), il legislatore ha introdotto un elevato grado di dettaglio normativo (articolo 83, comma 10) che lascia alle stazioni appaltanti ben poca discrezionalità nell’utilizzo dei comportamenti passati delle imprese. L’Italia si trova così in una posizione anomala rispetto sia al Regno Unito (dove l’ampiezza degli elementi che possono essere utilizzati per misurare la past performance si coniuga a un’ampia discrezionalità nel loro impiego), sia ad altri paesi come Francia, Germania, Olanda e Spagna (dove i limiti all’utilizzo dei comportamenti passati sono stringenti, ma soltanto le poche fattispecie di gravi violazioni descritte dalla direttiva sono oggetto di monitoraggio). La combinazione scelta dall’Italia (elevato dettaglio su cosa monitorare e rigidità nell’uso del rating di impresa) può generare problemi, sia a causa della congiuntura economica sia per la struttura del settore.
Tre diversi scenari
A questo punto si aprono tre possibili scenari. Primo, le linee guida dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) potrebbero conferire maggiore flessibilità e discrezionalità nell’individuazione dei criteri e nell’utilizzo dei comportamenti passati. Sarebbe la soluzione ideale per valorizzare maggiormente le potenzialità insite nel sistema di rating, ma è un percorso complesso in quanto il Codice ha già introdotto elementi di rigidità nei criteri per determinare i comportamenti passati. In più, per la nostra tradizione giuridica e amministrativa questa strada rischia di generare una proliferazione del contenzioso amministrativo.
In un secondo scenario, le linee guida potrebbero andare nella direzione opposta e introdurre ancora maggiore rigidità nella normativa. Una scelta di questo tipo confermerebbe l’estensione rispetto ai requisiti minimi previsti dalle direttive europee, però ridurrebbe molto la discrezionalità delle stazioni appaltanti. Non eliminerebbe le problematiche legate al contenzioso e rischierebbe di moltiplicare ambiguità interpretative e oneri burocratici per le imprese.
Terzo scenario: l’Italia potrebbe muoversi verso la soluzione scelta da Francia e Germania. In questo caso, le modalità di attuazione sarebbero ricondotte nell’alveo dei requisiti minimi previsti dalla direttiva, mantenendo un basso livello di discrezionalità per le stazioni appaltanti. La legislazione nazionale diventerebbe più aderente alle previsioni delle direttive europee e, allo stesso tempo, si semplificherebbe il quadro normativo, riducendo le difficoltà interpretative e, di conseguenza, i rischi di un elevato contenzioso tra imprese e stazioni appaltanti.
Considerate le problematiche nelle quali si potrebbe incorrere con l’attuale normativa, la terza opzione risulta l’obiettivo più realistico da raggiungere. Tuttavia, un rating di impresa ben costruito sarebbe un’eccellente occasione per fare avanzare il sistema degli appalti pubblici verso un miglioramento della qualità senza necessariamente causare un forte aggravio di costi. In Italia è un risultato già ottenuto da Acea, società multiservizi che a partire dal 2007 ha iniziato un’ampia sperimentazione sul vendor rating.
Il correttivo al Codice degli appalti e le successive linee guida dell’Anac possono dunque prevedere una riduzione, nel breve periodo, del perimetro del sistema del rating di impresa, ma dovrebbero nello stesso tempo aprire una fase di sperimentazione per comprendere come disegnare nel modo migliore il sistema, e successivamente realizzarlo su ampia scala. Si tratterebbe in definitiva di rischiare di meno e osare di più, riducendo la portata applicativa della norma da un lato e avviando una specifica fase sperimentale dall’altra.
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Aldo
c’è molto da considerare negli appalti anche i limiti del volume di affari che deve avere un’azienda per partecipare alla gara ebbene ci sono casi dove gli appalti vengoni vinti da cooperative quindi con costi mentre il lavoro effettivamennte viene eseguito gratis da altri ….incasso facile e sperpero denaro pubblico, esempio vedi la pulizia dagli alberi lungo i corsi del fiumi che per l’interesse del legname il lavoro lo farebbero gratis piccole aziende
Salvatore Recupero
In Italia occorre ridurre la discrezionalità delle stazioni appaltanti per ridurre il potere delle burocrazie ed i conseguenti fenomeni corruttivi connessi.D’altra parte , come dimostra l’esperienza Consip , regioni, enti locali ed la pubblica amministrazione in genere hanno inteso conservare nella gestione degli Acquisti e degli Appalti il potere discrezionale, anche se a discapito di possibile e significativi risparmi di spesa. Occorrerebbe quindi privilegiare il terzo scenario per l’adozione del rating quale strumento per valutare, nella storia, l’affidabilità operativa, amministrativa ed anche legale della impresa appaltatrice. E’ inoltre assolutamente opportuno l’avvio di una na fase sperimentale Anac per progettare, pesare e analizzare gli elementi costitutivi del rating e, nel contempo ridurre, nel breve periodo il l campo applicativo del sistema di rating d’impresa