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Roma, città dei disservizi pubblici

Non è semplice valutare dall’esterno la gestione delle municipalizzate romane. Ma in generale le imprese pubbliche si reggono su un delicato equilibrio tra poteri di indirizzo della politica e responsabilità di amministratori e dirigenti. Se non si rispettano i ruoli, si rischia la peggior deriva.

Trasporti e rifiuti sotto accusa

Premetto che chiunque provi ad amministrare Roma gode – per il coraggio che così manifesta – la mia assoluta ammirazione. E premetto che – da amministratore di una azienda pubblica in un contesto assai più semplice – in queste osservazioni riverserò la mia esperienza personale; lascio ai lettori valutare se il potenziale conflitto di interessi, che non ho alcuna intenzione di celare, possa entrare da qualche parte.
L’attuale fase della politica nella città di Roma verte attorno a problemi veri: alcuni servizi pubblici nella capitale funzionano davvero malissimo. La gestione dei rifiuti è scadente, la mobilità pubblica pure e si dibatte anche in pesanti problemi finanziari. Accade sia per ragioni infrastrutturali, sia per una gestione storicamente spesso poco incisiva (per non dire di peggio). Ma ciò non significa che tutto sia da buttare, e non so quanto una sistematica caccia alle streghe aiuti a migliorare l’esistente o non serva invece a deprimere ulteriormente chi prova(va) a fare le cose giuste.
Trasporti e rifiuti sono ovviamente sul banco degli imputati. La rete della metropolitana è inesistente, così come la raccolta dei rifiuti, basata sui cassonetti e con difficoltà di smaltimento, presenta evidenti criticità. Una valutazione della gestione è difficile da parte di un esterno. Ma, solo per fare un esempio, fino a pochi mesi fa la maggioranza dei mezzi per la raccolta rifiuti era ferma in manutenzione (erano più i mezzi in officina che quelli circolanti), e notizie simili rimbalzano dall’azienda trasporti, mentre i giornali forniscono molti altri esempi aneddotici di una gestione “difficile”. Inettitudine? Corruzione? Strapotere sindacale? Una risposta “non qualunquistica” richiederebbe un’analisi molto più dall’interno, ma pare assai probabile che nel passato tutti questi elementi siano stati presenti e abbiano concorso all’attuale situazione.

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Il rapporto politica-aziende pubbliche

Per affrontare questioni simili “ci vuole un fisico bestiale”. Che io non credo avrei, e ribadisco quindi il rispetto per chi ci stia provando (o ci abbia provato nel passato – l’attuale amministrazione non è la prima…). Però alcune considerazioni generali sono necessarie.
È del tutto errato far pensare che una situazione di enorme gravità possa trovare soluzione in poche settimane. Se la soluzione fosse stata semplice, la avrebbero già attuata da tempo. Servono infrastrutture migliori, servono interventi drastici sui contratti aziendali per aumentare la produttività, servono quattrini per gestire la manutenzione dei mezzi fin quando la situazione non si sarà normalizzata, e molte altre cose ancora. Nulla di tutto questo può arrivare solo perché cambia un amministratore. Per avere una città pulita occorre anche incidere su abitudini pluri-decennali che difficilmente si scalfiscono in qualche mese, e non ci si riuscirà se i cittadini non saranno certi che ciò si sposi ad una ri-organizzazione del servizio (il tema dello smaltimento della raccolta differenziata e non) che non si improvvisa.
Mi chiedo anche a cosa serva cacciare via (o lasciar andare) le persone che da qualche mese provavano a mettere le cose in ordine. Le aziende in questione (Ama e Atac) non avevano cambiato faccia – in pochi mesi sarebbe stato impossibile – ma sicuramente erano in lento miglioramento. Decidere di cestinare le persone e il lavoro effettuato di recente è stato un gesto rischioso: non possiamo che sperare che la scelta finisca per premiare, però oggi i dubbi sono forti.
Le schermaglie di questi mesi tra amministrazione comunale e aziende impongono poi una riflessione generale su quale debba essere il modello di gestione e di rapporto politica-imprese. All’inizio, la sindaca pareva voler affrontare ogni problema chiedendo alle aziende “relazioni settimanali” su qualunque questione. Comprensibile come gesto segnaletico, ma se lo si applica in troppi casi fa pensare che scrittura e lettura delle relazioni divenga una delle principali occupazioni delle imprese da un lato, e della sindaca dall’altro. Ora, l’ex amministratore delegato di Atac, Marco Rettighieri, riferisce alla stampa che un assessore avrebbe chiesto di vagliare preventivamente gli interventi sui dirigenti dell’azienda.
La gestione di un’impresa di quella complessità richiede tempi lunghi e tranquillità. Se non ci si fida di chi vi opera lo si manda via, non si chiedono rapporti settimanali. Quando poi si pensa alla gestione del personale, il suo controllo puntuale è esattamente quello che molti etichettavano come indebita ingerenza della politica. Vogliamo tornare alle telefonate del ministro di turno al vertice delle imprese statali per proteggere o promuovere i propri “clientes”? Non so se il Movimento 5 Stelle sia stato portato al potere a Roma per fare questo. Ma preoccupa comunque l’idea generale che traspare, secondo la quale la gestione del personale di un’impresa debba essere decisa dal politico in carica.
Le imprese in mano pubblica si reggono su un delicato equilibrio tra poteri di indirizzo della politica, responsabilità degli amministratori e poteri di gestione dei dirigenti. Se non si rispettano i ruoli, ci si espone alla peggior deriva. Il passato delle aziende romane (almeno gran parte di esso) non è difendibile. Ma di un ritorno agli anni Ottanta non si sentiva proprio il bisogno.

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  1. Caro Carlo concordo pienamente. Nelle mie esperienze di vertice in partecipate pubbliche, ottenendo credo buoni risultati stando ai giudizi esterni, sono sempre stato nominato da Sindaci e Presidenti che all’atto di nomina mi dicevano :”fai come meglio credi” ed ero poi io, semmai e se ne avevo bisogno, che chiedevo loro su questioni particolari…credo che anche questo sia un preoccupante segnale di debolezza e confusione della politica.

  2. Pietro Spirito

    Ha ragione Carlo Svaroa. Servono analisi dall’interno delle aziende. Proprio per questa convinzione, dopo essere stato in Atac per quattro anni e mezzo, mi accingo a pubblicare un libro sulla mia wsperienza e sui tanti difetti di governance, oltre che sulle opacità gestionali, che ho individuato. Spero proprio che si apra una discussione pubblica su questi temi, strategici per il risanamento di segmenti rilevanti de, sistema economico metropolitano della nostra nazione.

    • bob

      prof.re le aziende di successo si creano con una cultura di base fatta di passione, merito, entusiamo, capacità di lottare per un obiettivo, che attraverso l’azienda stessa, è bene comune. E’ vergognoso girando per l’Italia che ex bidelli, materassai, politici di professione siano messi in posti dirigenziali di una azienda alla faccia di tanti giovani laureati che vanno a lavare bicchieri alla Mac Donalds. Un Paese vecchio, inadeguato, assurdo che sta affondando lentamente dove una minoranza di persone non deve lottare per un mercato, per una nuova tecnologia, per un progetto sociale…ma deve ogni giorni lottare con una burocrazia inutile e dannosa

  3. Luigi Zundap

    Mi sembra che in questo articolo si dimentica di dire che i responsabili delle aziende municipalizzate di Roma non sono stati scelti dalla nuova giunta ma erano gia’ presenti e nominati o dal commissario o dalla giunta precedente.
    Sarebbe stato corretto che questi responsabili al cambio di giunta avessero messo a disposizione le loro cariche per permettere alla nuova giunta di confermarli oppure scegliere persone di propria fiducia.

    • Carlo Scarpa

      Vero – noto solo che l’ex-Presidente di Ama, Fortini, ha fatto esattamente questo. Ed è stato preso a male parole, fin quando non ha deciso di andarsene davvero.
      E a quanto riferivano i giornali di giugno scorso pare che anche i vertici di Atac – nominati dal Commissario, il Prefetto Tronca – abbiano fatto la stessa cosa.

  4. Davide de Caro

    Vale sempre e oggi ancor di più il principio della triangolazione dei spl, dove il convitato non più di pietra sia l’utente: colui che riceve e riscontra il servizio reso. Purtroppo mi pare che dalla Direttiva Ciampi in poi, passando dalla Finanziaria 2008, il ruolo – intendendo con questo termine anche tutto il carico di relativa responsabilità del buon andamento dei servizi – dell’utente/cittadino (non della sua trasfigurazione M5S) sia sempre stato – come dire – dimenticato o rinviato a data da definire. Ciò pare ancora più anacronistico alla luce delle dinamiche di empowerment odierne dei cittadini, basti pensare a retake o iniziative simili di azioni per la tutela dei beni comuni. Potrebbe essere questo, recuperare il risultato atteso verso l’utente, che poi vuol dire definire ruoli, poteri e responsabilità di obiettivi, attivando ex ante azioni di programmazione e controllo, target e azioni di miglioramento, un criterio valido sia per dare senso alle attività sia di indirizzo politico che di gestione nei confronti dei spl. Da ultimo una considerazione personale, da cittadino romano: sento mancare negli operatori di tutte le imprese di “servizi pubblici locali di interesse economico generale a rete” l’orgoglio, l’importanza, il senso di pubblica utilità da loro svolti, secondo me anche questo è sintomo della perdita della missione originale fondamentale di tali imprese, nate per garantire l’omogeneità delle condizioni di sviluppo civile delle collettività

  5. bob

    caro prof.re Roma è lo specchio del Paese nel bene e nel male, Non solo Roma è il grande “tegame” dove tutti da tutto il mondo vengono a mangiare. Dei sindacati vogliamo parlarne? Della cultura imperante soprattutto negli ultimi 40 anni vogliamo parlarne? Roma ha un pregio/difetto ; digerisce tutto! E tutto alla luce del sole scandali compresi. Nel resto d’ Italia c’è tanta ma tanta polvere sotto il tappetto

  6. marcello

    Roma è a mio modo di vedere il risultato catastrofico di ciò che ha prodotto la modifica dell’articolo V e la riforma degli enti locali. Cosa ha prodotto quella riforma è riscontrabile nella relazione annuale della corte dei conti sezione autonomie locali. I numeri sui dipendenti, sui dirigenti e sui loro stipendi sono impietosi e la qualità del loro lavoro è sotto gli occhi di tutti. Il fallimento va dalla sanità, ai trasporti ai rifiuti, per non parlare dell’edilizia scolastica. Di quel progetto restano solo macerie, che hanno inghiottito una quantita impressionante di denaro che ha fatto esplodere il debito publico, mentre la qualità dei servizi è precipitata. L’ATAC è un’azienda fallita che ha oltre 12.000 dipendenti, di cui circa la metà autisti e un parco auto e tram che definire vetusto è un eufemismo. AMA è un’azienda che il comune finanzia con oltre 750 milioni anno, nonostante i suoi oltre 7.500 dipendenti, non è in grado di assicurare la pulizia e il decoro della capitale, anche perchè il piano regionale dei rifiuti è inesistente e Roma smalisce la maggior parte dei RSU spedendoli fuori dell’area metropolitana. Il decreto Ronchi non è stato mai applicato, la sanità è commissariata in molte regioni, i trasporti pubblici sono allo sfascio, forse è giunto il momento di revocare le deleghe alle Regioni, RI-CENTRALIZZARE le gestioni e riconoscere che gli enti locali non hanno saputo far tesoro delle autonomie loro concesse.

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