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Chi ha paura della democrazia diretta alla romana?

Gli strumenti di democrazia diretta che M5S vuole introdurre a Roma sono compatibili con quanto prevede il Testo unico degli enti locali. E la possibilità di sperimentare su base locale nuove politiche pubbliche è uno dei vantaggi del federalismo.

La proposta M5S

Ha destato parecchio scalpore la recente proposta del Movimento 5 Stelle di una delibera di modifica dello statuto comunale di Roma, con l’intento di introdurre strumenti di democrazia diretta. Si può davvero parlare di una rivoluzione o è semplicemente la scoperta dell’acqua calda?
La proposta non si trova on line (o almeno, io non l’ho trovata). Ho perciò utilizzato come fonte il sito di Beppe Grillo e quello dell’assessorato Roma semplice.
L’idea ruota intorno all’introduzione nello statuto capitolino di alcuni strumenti ritenuti fondamentali per aumentare il livello di democrazia delle istituzioni e il coinvolgimento dei cittadini. Si tratta, nello specifico, della possibilità di presentare petizioni on-line, di aumentare lo spettro di referendum possibili e di introdurre il bilancio partecipativo.
Per quanto riguarda le petizioni on line, la novità sembrerebbe riguardare il mezzo (il web, appunto) più che lo strumento (la petizione), già esistente. Per il momento, non sono possibili ulteriori valutazioni: che significa infatti “on-line”? Che si potrà presentare la petizione tramite posta certificata? O che la si potrà “caricare” direttamente sul sito del comune, qualunque cosa ciò possa volere dire? E quante sottoscrizioni serviranno affinché il comune sia obbligato a rispondere?
Per quanto riguarda i referendum, la proposta mira a introdurne di propositivi e consultivi, oltre all’abrogativo – apparentemente già previsto – nonché la possibilità di voto elettronico. Si scopre però che il voto elettronico non dovrebbe essere espresso da casa, bensì comunque in cabina elettorale. Il suo unico merito, dunque, sembra essere la semplificazione delle operazioni di scrutinio, mentre sono certe le polemiche sul controllo dei risultati che ne deriverebbero. Già previsti e molto utilizzati ovunque a livello comunale i referendum consultivi, l’unica vera e interessante novità appare essere quella dei referendum propositivi. Qualche dubbio permane sull’abolizione del quorum: da un lato, infatti, sarebbe più utile conoscere i requisiti necessari per accedere alla possibilità di chiedere la consultazione (in altri termini, quanti cittadini dovrebbero farne richiesta); dall’altro, costringere le persone a votare su argomenti che non comprendono o non li interessano oppure, al contrario, lasciare la decisione in mano a una stretta minoranza sembra davvero un cattivo uso della democrazia.
L’ultima novità è il bilancio partecipativo, vale a dire una procedura di approvazione del bilancio che richiede la partecipazione più attiva dei cittadini. Una quota (da definire) del bilancio stesso dovrebbe essere assegnata in base alla decisione diretta dei cittadini. Anche in questo caso, mancano i dettagli: basterà una presentazione pubblica del bilancio? Come si sceglierà a quali progetti destinare la quota riservata? I cittadini potranno anche decidere di tagliare le tasse comunali?

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Cosa dice la legge italiana

A supporto delle sue proposte, il Movimento cita alcuni esempi internazionali: il parlamento britannico per le petizioni popolari, il comune di Parigi per il bilancio partecipato, nonché gli Stati Uniti per il voto elettronico (al seggio).
Nel primo caso, si tratta di un procedimento apparentemente molto semplice e che obbliga le istituzioni a rispondere al raggiungimento di 10mila sottoscrittori. L’esperienza di Parigi appare ormai consolidata: il procedimento dura diversi mesi, destina ingenti risorse (circa il 5 per cento del bilancio) e prevede il coinvolgimento popolare tanto nella fase delle proposte quanto in quella della loro selezione (anche attraverso il voto on-line); le proposte sono comunque vagliate da una apposita commissione prima del voto popolare.
Per quanto riguarda il voto elettronico, negli Stati Uniti si ricorda soprattutto il grande caos in Florida per le elezioni presidenziali del Duemila. Vale poi la pena di ricordare che è un meccanismo di voto già stato sperimentato in Italia, anche per elezioni politiche, senza ottenere grandi consensi.
Tutte le proposte romane appaiano perfettamente compatibili con quanto già previsto dalla legge italiana (articolo 8 del Testo unico degli enti locali, legge 267/2000), che lascia agli enti locali ampia libertà di scelta in termini di referendum, petizioni e altre forme di partecipazione popolare. In sostanza, non siamo certo di fronte a una rivoluzione, anche se è possibile parlare di novità, perlomeno a livello romano e sempre che le modifiche dello statuto e dei regolamenti attuativi vengano approvate. Del resto, si tratta di pratiche perlopiù già utilizzate da tempo anche in Italia.
Resta comunque un’idea eccellente quella di sperimentare su base locale nuove politiche pubbliche, tra cui anche le forme di consultazione: è uno dei principali vantaggi del federalismo. Perché mai dovremmo essere contrari a priori o averne paura?

 

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  1. Henri Schmit

    Premetto che il tema dell’articolo m’interessoa da molti anni. L’analisi di Paolo Balduzzi mi sembra ineccepibile, dall’inizio alla fine. Molto più discutibili sono le proposte del M5S, soprattutto se si tiene conto della scarsa credibilità della democrazia diretta all’interno del movimento. L’idea della petizione è intelligente se si segue il modello di Westminster, se no rischia diventare un inutile inganno. Il bilancio partecipato può significare solo massima trasparenza, con eventualmente un obbligo di fornire spiegazioni secondo il modello delle petizioni. Il referendum consultivo è un ibrido pericoloso, da evitare. L’unica proposta valida è quella del referendum propositivo, che comunque significa poco se non si definiscono le condizioni, di procedura, di firma, di dibattito, di navetta con l’assemblea costituita, di maggioranza, di quorum. Sarebbe pure interessante come accenna l’autore sperimentare lo strumento (anzi: gli strumenti, anche la petizione aperta a sottoscrizioni potrebbe diventare un obbligo per il destinatario dopo il raggiungimento di un certo numero di firme e un’opportunità per i cittadini di esprimersi attraverso un referendum in caso di dissenso persistente fra promotori e legislatori) a livello locale per introdurlo poi a livello nazionale. Sarebbe infatti cruciale per dare sostanza al principio della sovranità dei cittadini enunciata all’art. 1 della costituzione che non prevede strumenti sufficienti per attuarlo.

  2. EzioP1

    In qualsiasi progetto l’importante è tenere nel dovuto conto la capacità di immaginare e non limitarsi al fascino che l’immaginazione porta con sé, ma procedere nei passi successivi fino alla realizzazione. Prendendo ad esempio la metafora del volo, dal desiderio e dall’immaginazione di Icaro abbiamo dovuto attendere migliaia di anni per giungere a Leonardo; questi mantenne intatto il desiderio di volare e aggiunse alla pura fantasia “l’ingegnerizzazione fantastica”; fantastica perchè introdusse il concetto dei congegni meccanici indispensabili per consentire l’utilizzo dell’energia per volare, ma mancante ancora della adeguata tecnologia. Successivamente dovettero passare circa 600 anni per giungere ai fratelli Wright per vedere il primo velivolo sollevarsi in volo per qualche decina di metri e a pochi metri da terra. In sintesi dopo l’idea che appartiene al mondo dei sogni bisogna trovare la meccanica e la tecnologia che consentano l’organizzazione e l’utilizzo delle forze in natura per raggiungere l’obiettivo. Questa logica progressiva si applica a qualsiasi progetto che si voglia realizzare. Il M5S pare ancora fermo al primo passo, e purtroppo sarà così fino a quando i suoi parlamentari non saranno in grado di passare dalla semplice propaganda, alle ipotesi di realizzazione corredate da piani sostenibili, convalidati e validi, e infine alla vera realizzazione e controllo dell’implementazione.

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