Con il Documento di economia e finanza 2017 esce confermato il quadro degli ultimi anni. L’Italia ora rispetta il vincolo del deficit, ma non riesce a ridurre il debito. E così non può fare il taglio delle tasse che servirebbe per crescere.
Cinquecento pagine di Def in poche righe
Con qualche giorno di ritardo rispetto alla data prevista è uscito sul sito del ministero dell’Economia il Def 2017, il Documento di economia e finanza. Sono tre volumi che descrivono il programma di stabilità dell’Italia, l’analisi e le tendenze della finanza pubblica e il programma nazionale delle riforme, per un totale di 522 pagine complessive. In aggiunta, tanti allegati. A giorni arriveranno anche i dettagli delle misure (tutte strutturali, pare) della manovrina da 3,4 miliardi di euro di correzione dei conti pubblici 2017, finora rinviata con il consenso della Ue.
I numeri principali del Def non richiedono centinaia di pagine, ma poche righe. Il governo conferma gli obiettivi di programma di deficit pubblico in graduale calo verso lo zero negli anni a venire e di stabilizzazione e progressiva ridiscesa del debito pubblico in rapporto al Pil. Il deficit si ferma al 2,1 per cento nel 2017 (0,2 punti in meno grazie alla manovrina), per scendere all’1,2 per cento nel 2018 e quasi azzerarsi (allo 0,2 per cento) nel 2019. Il rapporto debito-Pil dovrebbe assestarsi al 132,5 per cento del Pil nel 2017, per poi scendere al 131 per cento nel 2018 e al 128,2 nel 2019. Alla riduzione del rapporto debito-Pil dovrebbero concorrere anche proventi da privatizzazioni per 0,3 punti di Pil annui. È già qualcosa. Queste cifre si ritrovano nella tabella I.3 del Def, qui ridotta ai suoi elementi essenziali.
Tabella 1
Salvaguardie che migliorano i conti a primavera e li peggiorano in autunno
Quel che conta però è cosa penseranno del Def 2017 i suoi destinatari ultimi, cioè la Commissione e i mercati. La Commissione è attenta anche all’algebra perché a ciò è vincolata dai trattati europei, mentre i mercati badano più alla sostanza della sostenibilità del nostro debito pubblico. Né ai burocrati né agli investitori più raffinati si può chiedere di ricavare indicazioni non generiche da 522 pagine di documenti, per quanto accurate. Agli uni e agli altri interessa pragmaticamente sapere se gli obiettivi di deficit e debito indicati dal governo sono plausibili. E qui contano tre elementi. Il primo riguarda il deficit. L’1,2 per cento di deficit per il 2018 può essere di quasi un punto inferiore al dato del 2017 perché il governo prevede a bilancio l’attivazione delle clausole di salvaguardia derivanti dalla legislazione esistente. Negli ultimi tre anni, il governo Renzi le ha disattivate. Ma, se non disattivate, le tagliole fiscali garantirebbero allo stato italiano entrate da imposte indirette per 19,6 miliardi, pari all’1,1 per cento del Pil, nel 2018. Lo stesso per il 2019: dagli aumenti automatici delle imposte indirette arriverebbero 23,2 miliardi di euro, l’1,3 per cento del Pil. Le clausole causano una forte perdita di discrezionalità quando si deve fare la legge di bilancio in autunno (anche quest’anno sarà così). Come già discusso, il “quanto” delle riduzioni di imposta che il governo potrà inserire nella legge di bilancio è vincolato dalla necessità di reperire risorse nel bilancio per disattivare le clausole e far quadrare i conti dello stato. Ma nella primavera di ogni anno le salvaguardie semplificano la stesura del Def perché rappresentano una comoda garanzia di copertura.
C’è poi un secondo elemento da considerare che influenza il rapporto debito-Pil. Dato che le salvaguardie prevedono aumenti di imposte indirette e che gli aumenti dell’Iva e delle accise fanno salire i prezzi, la loro presenza consente oggi al governo di fissare un’inflazione in accelerazione dall’1,2 per cento del 2017 all’1,7 nel 2018 e all’1,9 per cento per il 2019. E un’inflazione più elevata concorre alla discesa del rapporto debito-Pil scritto nel Def perché fa salire il denominatore. Con un effetto boomerang: se con la legge di bilancio il governo disattiva le clausole, a quel punto Iva, accise e inflazione non salgono, e così il rapporto debito-Pil a fine anno non scende. Non a caso negli ultimi anni il rapporto debito-Pil è stato sempre più alto di quanto previsto nel Def di primavera. Non dipende solo dai rinvii della spending review (che pure ci sono stati), ma anche dal modo in cui si disegna il Documento.
L’Italia rispetta i vincoli ma non ha il coraggio che serve per crescere
Infine, la spesa in interessi sul debito pubblico. Alla riduzione del deficit dopo il 2014 ha contribuito per più della metà il calo della spesa per interessi, scesa di quasi otto miliardi, dai 74 del 2014 ai 66,3 del 2016. Nel Def 2017 si prevede che la spesa per interessi continui a scendere, ma solo per il 2018, mentre già dal 2019 il dato è opportunamente contabilizzato in aumento. A contare sono circostanze esterne, come l’aumento dei tassi di mercato e la probabile fine o attenuazione del programma di acquisto di titoli da parte della Bce, ma anche interne, come l’aumento dello spread dai 150 punti degli ultimi anni ai 200 attuali.
Nel complesso, dal Def esce confermato il quadro degli ultimi anni. L’Italia rispetta con fatica il vincolo sul deficit, ma non riduce il rapporto debito-Pil e non trova il coraggio per tagliare le tasse più decisamente, se non ricorrendo a scorciatoie come i margini di flessibilità. È per questo che il Pil, se va bene, cresce solo dell’1 per cento.
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fml
Controprova che da PD e quest’UE non ci può o tantomeno deve aspettare nulla se non la continuazione del declino.
Gabriele
In relazione alla dinamica di progressiva flessione del rapporto debito/Pil (nel 2018 – 1,5 punti) disegnata nel DEF, pesa anche l’incognita dell’avanzo primario ( passerebbe al 2,5% dall’1,7% del 2017). Posta la disattivazione delle clausole di salvaguardia, quali misure sostitutive troveranno al Mef per ottenere uno 0,8% di surplus primario aggiuntivo? Inoltre, è esplicitamente ammesso il mancato rispetto della regola del debito per il 2018 (con proiezione 2020).
Michele
Il DEF 2017 dimostra, una volta di più, che la flessibilità (=maggior debito) che Renzi ha ottenuto dall’Europa non è servita a nulla. La crescita ottenuta è veramente modesta, la peggiore d’Europa. Paradossalmente il DEF 17 prevede che la stessa crescita (1%) sarà ottenuta pur in caso di attuazione delle famose clausole di salvaguardia con aumento delle imposte per 1.1% del PIL nel 2018 e 1.3% nel 2019. Allora, la domanda è: posto che sia vero quanto prevede il DEF, perché negli ultimi 3 anni le clausole di salvaguardia sono state cancellate rinviando in questo modo la essenziale riduzione del debito, e senza ottenere nulla dal lato della crescita?
Alessandro Sebastiani
La ringrazio per l’articolo chiaro ed essenziale, come tanti che si leggono sulla “voce.info”, che permette a noi lettori di comprendere argomenti che esulano dalle nostre competenze, ma che comunque ci coinvolgono come cittadini di questo paese.
Riguardo le sue conclusioni le chiedo: se nei i prossimi anni si dovesse realizzare lo scenario, a mio parere più probabile, di una crescita intorno all’ 1% del pil, un’inflazione anche essa di circa 1%, la cessazione del Q.E. da parte della BCE, l’Italia riuscirà a percorrere questo “stretto sentiero” fra sostenibilità del debito e sviluppo ?
Vincenzo
Secondo me un 1% di inflazione e 1% di PIL reale non bastano ad avviare il percorso di risanamento che serve. Comunque, almeno finchè Draghi resterà alla guida della BCE, una inflazione dell’1% non sarà ritenuta sufficiente a spingere la crescita e quindi il QE continuerà.
Michele
Un DEF a cui non crede nessuno. Neanche chi lo ha scritto. Sarebbe molto più onesto dire agli italiani la verità: 1) non ci sono spazi per riduzioni di imposte fino a che il debito pubblico non sia stato ridotto al 70/80% del GDP 2) la crescita va ricercata per altre vie: spendendo meno e soprattutto molto meglio le imposte che pochi italiani pagano e aumentando i redditi da lavoro 3) la lotta all’evasione e alla corruzione passano attraverso epocali riforme (catasto, curva aliquote irpef, pubblico impiego, appalti, lavoro etc) che necessitano rigore e tempo 4) le riforme fatte fino ad ora sono troppe, confuse, sbagliate e dannose 5) attraverso le riforme occorre operare una massiccia redistribuzione di risorse dal capitale al lavoro e ridurre il precariato al fine di garantire la competitività stessa delle imprese italiane (vedi Germania) 6) buona parte della classe politica e dirigente attuale va rottamata per manifesta incapacità, conflitto di interessi e collusione con corruzione e evasione fiscale
Giovi
Che senso ha parlare di lotta all’evasione quando Juncker stesso fa del Lussemburgo un paradiso fiscale per Apple, Google etc.?
Noi possiamo fare tutte le riforme che vogliamo, il fallimento è sistemico e parte dal trattato di Maastricht.
Tra l’altro se l’Italia non cresce, mettersi a fare surplus primari non serve assolutamente a niente, nemmeno a impedire che il debito cresca. Poi, ridurre all’80%? Quindi 40 anni di surplus primari (a condizione che funzionino, e non lo fanno)? Davvero ci si aspetta di fermare la rivolta popolare strillando contro ”populisti” e ”ignoranti” per tutto questo tempo?
Michele
1) prima di gridare contro le pagliuzze altrui bisognerebbe aver rimosso la propria trave: 110 mld di evasione annua parlano da soli, così come il regime da paradiso fiscale che abbiamo in Italia in caso vendita di società ( con la pex si paga 1,2% del capital gain) 2) il debito pubblico è una tassa lasciata in eredità alle generazioni future. Gli anni del governo Renzi hanno dimostrato che il deficit spending non funziona: crescita risibile, la metà dell’Europa 3) con le regole europee invece altri crescono eccome: la Germania dimostra il successo di una ricetta fatta di stipendi molto più alti, sindacati nei cda, grandi imprese, rigore nei conti pubblici, una macchina amministrativa efficace, bassa evasione e bassa corruzione. Se ci riescono loro perche non possiamo riuscirci noi?
luca
Ma davvero voi esperti credete nei tendenziali che riportate. Con l’aumento dell’IVA il massimo che cresce è l’evasione fiscale e le frodi IVA. Tagli veri non ce ne sono, pertanto rimane invariato il PIL ma aumenterà ancora il debito pubblico. Alla fine, nessuna manovra di abbassamente IRE(S), etc…
Alessandro Pescari
In poche righe e con molta chiarezza il prof. Daveri ci dà conferma del quadro economico/finanziario del n/paese. Ossia, in primavera si scrive la trilogia dei sogni e in autunno-inverno dobbiamo ricorrere ad altre alchimie (es. “flessibilità UE”) per continuare a vivacchiare. Va bene tutto, compreso proseguire ad illudersi, ma la realtà è ben altra ed oramai anche molti cittadini comuni si chiedono quando arriverà il momento che la nostra classe politica/dirigente, riesca ad affrontare i nodi che bloccano un paese tra i più grandi del mondo e che nonostante tutto riesce a far valere le proprie qualità.