La Lega calcio si appresta a vendere i diritti della Serie A per il triennio 2018-2021. Il bando accoglie i rilievi dell’Antitrust, ma resta ancorato al concetto di piattaforma. Più vantaggiosa per tutti sarebbe stata una vendita per prodotto.

Bando per i diritti del calcio

Il 26 maggio la Lega Calcio ha pubblicato l’invito a offrire per la vendita dei diritti del campionato di calcio di Serie A per il triennio 2018/2021. Il modello prescelto ne prevede la suddivisione in cinque pacchetti (A, B, C1, C2, D), secondo un sistema ibrido piattaforma/prodotto, con i primi quattro venduti per piattaforma e l’ultimo per prodotto. La base minima d’asta è di 1 miliardo a stagione.

Tabella 1 – Invito a offrire campionato di calcio serie A: 2018-2021

Fonte: elaborazione ITMedia Consulting su Lega Serie A.

Nel formulare il bando, la Lega Calcio ha tenuto conto dei rilievi dell’Antitrust, in particolare con l’adozione di una modalità di vendita tra più piattaforme distributive, inclusa internet, che non è più considerata accessoria. Secondo l’Antitrust, ciò serve ad accrescere la competizione nei mercati a valle della pay-tv, a vantaggio del consumatore, che può scegliere tra più offerte in concorrenza tra loro senza dover sostenere i costi derivanti dalla necessità di sottoscrivere una pluralità di abbonamenti.

Il bando della Lega Calcio rappresenta certamente una novità importante rispetto alla gara precedente (il cui esito, peraltro, era stato contestato e l’Antitrust aveva erogato ai vari soggetti interessati multe, poi annullate dal Tar del Lazio). Secondo alcuni osservatori la nuova procedura darà il colpo definitivo al duopolio Sky-Mediaset nella pay TV e renderà possibile l’ingresso di nuovi operatori – quali Discovery-Eurosport, presente sia sul digitale terrestre che sul satellite. Soprattutto, favorirà l’accesso ai contenuti di operatori online, come le telcos (Tim e Vodafone in primo luogo) e i cosiddetti over the top (Amazon, forse Netflix e la stessa Facebook).

Piattaforma o prodotto?

Se ciò accadrà, bisognerà capire se sarà frutto di un modello di cessione dei diritti tv che accresce di fatto le modalità di vendita per piattaforma, o se invece le opportunità non sarebbero state meglio favorite da un più radicale cambiamento, basato sulla sola vendita per prodotto – suddiviso in vari pacchetti – come avviene nel resto d’Europa.

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La vendita dei diritti audiovisivi della Serie A costituisce infatti una componente primaria dei ricavi del sistema calcio. A loro volta, i contenuti sportivi rappresentano una parte essenziale della programmazione televisiva, che arricchisce l’offerta editoriale, rendendola più attraente tanto per gli abbonati, quanto per gli inserzionisti pubblicitari. Le modalità attraverso le quali i diritti tv vengono commercializzati e il grado di esclusiva offerto all’aggiudicatario hanno perciò grande rilevanza sulle scelte strategiche e sui ricavi delle squadre di calcio e degli operatori televisivi. La vendita in esclusiva del contenuto pregiato rappresenta la condizione essenziale per massimizzare i ricavi delle società di calcio e degli operatori, al fine di differenziarsi verticalmente dai concorrenti e remunerare l’ingente investimento richiesto dall’acquisto.

La vendita per prodotto sviluppata negli altri paesi – suddivisa in numerosi pacchetti (per giorni e orari) – è quella che garantisce la vera esclusiva, accrescendo i ricavi del venditore e consentendo all’unico acquirente (del singolo pacchetto) di valorizzare al massimo il suo prodotto, unico e non accessibile ai rivali. Dati gli alti costi per accedere a contenuti così pregiati, il prezzo pagato per l’esclusiva da un broadcaster è superiore al totale delle somme che sarebbero versate per diritti non esclusivi da più operatori. Al contempo, l’esclusiva consente all’acquirente di valorizzare meglio il contenuto. In definitiva, dunque, la restrizione verticale (esclusiva) aumenta l’efficienza della catena produttiva.

Quanto alle conseguenze per il consumatore, l’impatto anti-competitivo legato all’esclusiva verte principalmente sul potenziale effetto preclusivo del mercato generato dall’accordo, che si configurerebbe come lo strumento utilizzato dall’acquirente per alzare barriere all’ingresso e preservare il potere di mercato. Nel caso dei diritti audiovisivi calcistici, tuttavia, le preoccupazioni concorrenziali sono mitigate da un lato dall’aumento nel numero dei pacchetti esclusivi, che potrebbe di per sé consentire l’acquisto da parte di più operatori, dall’altro dalla possibilità di prevedere rimedi – dall’obbligo ad avere alla fine più di un acquirente ai limiti di scopo e durata alla licenza (massimo 3-4 anni) – e altri correttivi che nel corso degli anni hanno consentito un incremento dei ricavi molto più elevato rispetto al nostro modello per piattaforma (tabella 2).

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Tabella 2 – Evoluzione dei ricavi dei campionati nazionali di calcio (dati in milioni di euro)

Fonte: elaborazione ITMedia Consulting su Lega Serie A.

Sul piano della maggiore accessibilità per il consumatore a più offerte in concorrenza, sollecitata dall’Antitrust, questa impostazione richiederebbe di considerare i diritti del calcio come “servizi essenziali”, da rendere disponibili a tutti per poter competere. È una concezione che non trova riscontro nella teoria economica e nello stesso modello di vendita, e che appare comunque contestabile anche nella pratica, laddove i soggetti vengono in questo modo pre-determinati sulla base delle loro presunte disponibilità finanziarie: come si è visto in passato, la procedura può favorire soluzioni non proprio in linea con quelle genuinamente competitive, dove alla fine c’è un unico vincitore per ciascun pacchetto ed è generalmente il migliore, anche per il consumatore.

 

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