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Pensioni: la giungla delle uscite

Una proposta bipartisan vuole abolire l’adeguamento del requisito dell’età pensionistica alla speranza di vita, previsto nel 2019. Ma se si vuole garantire equità intergenerazionale, è meglio orientarsi su altri interventi, specialmente per le donne.

I possibili salvaguardati

La proposta bi-partisan di Cesare Damiano e Maurizio Sacconi (proposta DS) non è ancora ben definita, ma in sostanza intende rimandare l’adeguamento del requisito dell’età pensionistica alla speranza di vita, previsto per il 2019, in modo da salvaguardare alcune generazioni di pensionandi. La motivazione? Secondo i due presidenti delle commissioni lavoro di Camera e Senato si tratta di equità e di allineamento ad altri paesi europei, per questo l’automatismo attualmente previsto dalla legge è ritenuto dai due ex ministri “inconcepibile”.

In assenza di ulteriori dettagli è difficile azzardare valutazioni. Sembra un intervento che salvaguarda solo le generazioni dei nati tra il 1952 e il 1954 e lascia ad altri l’onere di pareggiare i conti. I salvaguardati sarebbero lavoratori a cui si applica il regime misto, che sono soggetti solo in parte ai correttivi dei coefficienti di trasformazione basati ugualmente sulla speranza di vita nel calcolo della rendita pensionistica. La “doppia correzione” sarà invece più marcata per le generazioni successive.

La tabella mostra la tempistica delle uscite per la sola pensione di vecchiaia (non tenendo conto delle possibili anticipazioni) a partire dalla legge del 2011, nel settore privato.

La colonna (i) presenta le coorti che si sarebbero qualificate per la quiescenza, la colonna (ii) lo slittamento che tiene conto degli adeguamenti correnti. Per alcune coorti si applicano due o più adeguamenti. Ad esempio nel 2012 una donna nata il 10 aprile 1952 si è vista rimandare la pensione di due anni: invece di uscire a 60 anni nel 2012, ha dovuto attendere fino al 2014, tuttavia nel 2014 è scattato un aumento di 1 anno e 9 mesi che l’ha rimandata ulteriormente al 2016. Nel 2016 scatta un ulteriore aumento che la porta al 2017. I lavoratori più giovani passeranno rapidamente al traguardo dei 67 anni. Per non parlare delle lavoratrici del settore pubblico che, in applicazione della normativa europea, hanno subito slittamenti da uno a quattro anni a partire dal 2010. Si tratta di una vera e propria giungla di regole.

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I lavoratori “salvaguardati” sono gli uomini nati tra l’1/6/1952 e il 31/5/1954 (di 5-7 mesi) e le donne nate tra l’1/6/1952 e il 31/5/1954 (anche di 5-7 mesi, che però vanno a sommarsi agli slittamenti precedenti). Da notare che una parte di queste lavoratrici potrebbe aver beneficiato dell’eccezione che permetteva loro di andare in pensione nel 2016, all’età di 64 anni (articolo 24, comma 15 bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201).

Tabella 1a – Requisiti per la pensione di vecchiaia e relativi “tempi di attesa” (uomini)
Anno di riferimento 2011, età di riferimento 65 anni

Tabella 1b – Requisiti per la pensione di vecchiaia e relativi “tempi di attesa” (donne)
Anno di riferimento 2011, età di riferimento 60 anni.

Il panorama internazionale

Damiano e Sacconi evocano un allineamento agli altri paesi europei, ma il confronto internazionale è complesso. Per fornire una visione completa non basta considerare un unico aspetto, come il requisito dell’età anagrafica, ma si deve valutare tutto il complesso di requisiti che i vari paesi utilizzano: la storia contributiva, l’importo dei benefici pensionistici rispetto ai contributi versati, gli aggiustamenti attuariali e le traiettorie demografiche. La figura 1 mostra l’aspettativa di vita a 65 anni in Italia e in altri paesi europei tra i quali Danimarca e Germania. La speranza di vita nel nostro paese è significativamente più alta e ciò implica un maggior numero di anni di prestazioni percepite, in media, dai pensionati.

Figura 1 – Aspettativa di vita a 65 anni in alcuni paesi europei

Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

La lunghezza media della vita lavorativa in Italia è inferiore a quella di altri paesi: la media degli anni lavorati è 31 da noi, 37 negli altri stati e 39/40 in Danimarca (figura 2). L’età effettiva di pensionamento, cioè quella effettivamente rilevata e non quella “legale”, è in Italia tra le più basse in Europa, specialmente per gli uomini (figura 3).

Figura 2 – Durata media della vita lavorativa

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Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

Figura 3 – Età media effettiva di pensionamento per gli uomini, 2009-2014

Fonte: Elaborazioni su dati Oecd

Il confronto tra paesi mostra i problemi strutturali del sistema pensionistico italiano, senza considerare i risultati inferiori in termini di produttività e nella crescita del Pil.

La naturale conclusione è che se si intende garantire equità intergenerazionale, dato che la riforma del 2011 ha già pesantemente influenzato le scelte di lavoratori e lavoratrici, sembra rischioso toccare un pezzo del meccanismo in corsa, quando molti hanno già sostenuto sacrifici e altri li sosterranno in futuro. Sarebbe stato preferibile applicare per tempo modesti correttivi attuariali, lasciando la flessibilità di scelta su un arco temporale sufficiente a cambiare le prospettive di uscita dal lavoro. Oppure meglio rendere più appetibile l’Ape (anticipo pensionistico), anche perché sarà inevitabile, secondo il meccanismo previsto dalla proposta, la presenza di uno “scalone” ogni 5 anni che andrà a discapito delle future generazioni di pensionati del sistema contributivo.

È chiaro dai dati che le donne hanno vita dura nel raggiungere i requisiti per le pensioni. Il vero sostegno alle donne andrebbe fornito evitando le discriminazioni durante la vita lavorativa e all’ingresso nel mondo del lavoro, che impediscono loro – di fatto- l’accesso a tutta la gamma di prestazioni a cui accedono i lavoratori uomini.

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14 commenti

  1. Savino

    Sulle pensioni non c’è alternativa a quella di andare a toccare gli “intoccabili” diritti (privilegi) acquisiti.
    La Corte Costituzionale deve fare il sacrosanto piacere di applicare il vero e profondo spirito di chi ha fatto nascere, con il proprio sangue e sudore, questa Repubblica, cioè quello di dare alla successione tra generazioni prosperità (oltre che pace, democrazia, libertà).
    Quindi, sistema contributivo, anche retroattivo, da subito per tutti, uniformità delle pensioni rispetto a quanto versato, controllo del pregresso INPS (ci sono anomalie nei contributi conteggiati nel passaggio dal cartaceo al digitale); stanare, anche retroattivamente, la moda degli avanzamenti di scatto all’ultimo momento. Nel medio periodo l’INPS dovrebbe solo fare streta previdenza e non avere più la gestione di fondi particolari di alcuni professionisti o alcune categorie (si pensi a commercianti o artigiani che potrebbero ben dotarsi una assicurazione privata, tanto già versano il minimo e di conseguenza abbiamo tante pensioni, ma tutte di basso importo).
    D’ora in avanti, almeno parzialmente, la scusa che il problema dell’Italia sono solo i vitalizi dei politici non c’è più.
    Emergerà sempre più che il problema dell’Italia sono i vizi degli italiani e l’egoismo degli italiani di una certa generazione.

    • valeria

      gli avanzamenti di scatti all’ultimo momento avevano incidenza quando ormai in tempi remoti la pensione veniva calcolata sull’ultima retribuzione. Inoltre vi deve essere un accordo tra datore di lavoro e pensionando che ritengo non sia tanto comune. Su questo tema lei ha dimenticato un trucchetto anch’esso ormai poco redditizio: quello degli artigiani o altri autonomi di farsi assumere in prossimità del pensionamento come dipendente da una ditta amica, e magari con le promozioni da lei citate, poi fare la ricongiunzione al lavoro dipendente. impossibile calcolare quanti casi di dolo ci siano e quanti veri cambiamenti. In merito al sistema contributivo retroattivo è già stato sottolineato da molti lettori di questa testata che occorre applicare il cosiddetto forfettone, non avendo i dati reali per il calcolo, non prevedendo la normativa previgente la Legge Dini tale rendicontazione.. Pare inoltre che nel caso di retribuzioni molto elevate il contributivo sia vantaggioso, non prevedendo l’abbattimento dei rendimenti previsto dal retributivo, e si andrebbero a penalizzare i redditi bassi. Nel caso dei prepensionamenti causati da provvedimenti emanati per favorire determinate imprese pubbliche o private in passato, che lei non ha citato, i danni, se permette li dovrebbero pagarle loro, se hanno ancora soldi

  2. Fabrizio

    Molto interessante. Certo vedersi scappare in avanti la pensione non è bello. Forse si potrebbe pensare a una compensazione pensione anicipata/calcolo contributivo a scelta del lavoratore.

  3. Bruno

    Vorrei conoscere alcuni semplici dati: 1) quanti sono i pensionati che beneficiano del trattamento da più di 25 anni. 2) quanti di questi si riferiscono al trattamento di “reversibilità”.

  4. Mauro Sanseverino

    Sono un Ingegnere che insegna attualmente presso le scuole superiori a Napoli, sono nato nel Febbraio del 1953 e lavoro dal 1981, dopo un percorso di Laurea durato 7 anni. Con tutto il rispetto nei confronti dei ricercatori vorrei fare alcune osservazioni:
    1) “Le aspettative di vita” sono in realtà una media aritmetica, vi sono persone che vivono più a lungo ed altre che muoiono prima
    2) “La durata media della vita lavorativa” non tiene conto che un laureato ha studiato, e quindi lavorato, per cinque e più anni e il suo sacrificio attualmente non gli è pagato. Se la durata medi in Italia risulta alta è perchè i passati Governi hanno permesso le baby-pensioni e i pensionamenti precoci che purtroppo fanno media, e noi ne paghiamo le conseguenze
    3)”La media dell’età effettiva di pensionamento ( dati OECD ) tra gli Stati è di 65 anni e non 67.
    Per quanto si effettuino studi statistici in merito si hanno dei risultati oggettivi falsati dai dati di pensionamenti facili e remunurativi che hanno avuto una durata di circa 30 anni.

    • valeria

      anche l’alto tasso d lavoro nero avrà la sua incidenza statistica nell’abbassare la media della durata lavorativa. avevo diverse colleghe, per le quali l’innalzamento dell’età per la pensione di vecchiaia è arrivata come una scure calata, siccome non avevano i requisiti per accedere né alla pensione di anzianità né a quella anticipata, ancora più elevata, per il semplice motivo che in gioventù avevano accettato di lavorare senza versamento contributivo da parte del datore di lavoro.

  5. Michele

    Giusto adeguare le età di quiescenza all’aspettativa di vita. Ma è necessario farlo con rigore attuariale, per questo è necessario che a ciascuna coorte sia applicata la propria aspettativa di vita. Attualmente invece a tutti é applicata lo stesso valore di aspettativa.

  6. VinceskoMVinceskij

    Cinque precisazioni: 1) L’adeguamento triennale all’aspettativa di vita fu deciso da Sacconi (che ora lo ritiene “inconcepibile”) con l’art. 12, co. 12bis, DL 78/2010, convertito dalla legge 122/2010; 2) fu lo stesso DL 78/2010 (più le integrazioni con DL 98 e DL 138 del 2011 Sacconi) a portare, tra l’altro, l’età di pensionamento di vecchiaia a 66 anni, senza gradualità, per tutti, tranne le lavoratrici private, cui poi provvide la riforma Fornero, ma gradualmente; 3) dalle figure non risulta ben chiaro che quando si parla di donne, infatti, ci si riferisce soltanto alle lavoratrici del settore privato (anche se nell’articolo un cenno c’è); 4) infatti, per le lavoratrici dipendenti pubbliche, il DL 78/2010 Sacconi, aumentò quasi senza gradualità l’età di pensionamento di vecchiaia fino a 6 anni (5 anni da 60 a 65 + 1 anno di cosiddetta “finestra” per l’erogazione), e fu fatto non “in applicazione della normativa europea”, ma a seguito della sentenza della Corte di Giustizia UE del 13.11.2008, che chiedeva solo l’equiparazione uomini-donne; e 5) poiché gli effetti delle riforme pensionistiche ci sono, per loro natura, soprattutto nel medio e lungo periodo, i confronti internazionali (anche per la spesa pensionistica) fino al 2015 sono scarsamente attendibili, segnatamente quelli ante 2012.

  7. Giovanni

    Qualche giorno fa sono state diffuse previsioni dell’ISTAT secondo le quali nel 2050 si andrà in pensione a 73 anni. Non capisco come un ente serio possa lanciarsi in tali stime supponendo che l’aspettativa di vita continui ad aumentare indefinitamente. In realtà, come si vede anche dal grafico, ha iniziato a declinare, come si può ben capire se si considera la perdita di benessere di molte classi sociali. Inoltre altre statistiche ci dicono che i laureati vivono più a lungo: merito non degli studi, ma del tipo di lavoro e del reddito che la laurea consente. Per questo non è giusto prevedere un’età uguale per tutti.

  8. Luca Neri

    Trovo intollerabile che le donne vadano in pensione prima. Hanno un aspettativa di vita superiore e tassi di occupazione inferiori. Di fatto la legge attuale (e ancor di più quella proposta) impongono un trasferimento di ricchezza dagli uomini alle donne. La situazione è ulteriormente peggiorata dal fatto che i beneficiari delle pensioni di reversibilità sono in maggioranza donne a causa della loro maggiore sopravvivenza.

  9. Aldo

    ma perchè non viene calcolato l’aspettativa di vita in salute che è ben diversa?
    semplice l’aspettativa di vita generica(diversa da quella in salute si è alzata) si dice occorre andare in pensione più tardi
    mentre quella in salute si è abbassata …quindi non si arriverà mai alla pensione
    pagare … pagare… pagare per non ricevere poi nulla!!!
    I peivilegiati si sono ancora tutelati ulteriormente!!

  10. walter

    Ma non sarebbe giusto ed opportuno applicare le vere regole per cui è nato il sistema contributivo ? Ossia senza fissare rigidi limiti di età, ovviamente sulla base di ragionevoli criteri, riconoscere a tutti la flessibilità del pensionamento in base al montante contributivo versato ed all’aspettativa di vita media. Semplice ed equo.

  11. Orietta

    Desidero conoscere come si è arrivati al calcolo dei 5 mesi di aumento dell’aspettativa di vita dal 1/01/2019, posto che nel 2015 c’è stata una diminuzione e analoga sembra la tendenza nel 2017.

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