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Come misurare il benessere equo e sostenibile

Nel Def 2017 sono stati inseriti, in via sperimentale, quattro indicatori di benessere equo e sostenibile. L’Italia è il primo dei paesi del G7 che attribuisce loro un ruolo nella programmazione economica e nel monitoraggio delle politiche pubbliche.

I numeri del Def

È passata quasi inosservata una delle novità del Documento di economia e finanza 2017: l’inserimento, seppur in maniera sperimentale, di quattro indicatori di benessere equo e sostenibile.

Il progetto “Benessere equo e sostenibile in Italia” (Bes) è nato nel 2010 su iniziativa dell’Istat e del Cnel, con l’obiettivo specifico di misurare il livello di benessere dei cittadini italiani nelle sue diverse dimensioni, tenendo conto della distribuzione delle risorse che lo determinano (equità) e della possibilità di garantirne il mantenimento agli stessi livelli alle generazioni future (sostenibilità).

Il riconoscimento normativo del collegamento tra indicatori di Bes e la programmazione economica è arrivato con la legge n. 163/2016 di riforma del bilancio dello Stato, la quale prevede che all’interno del Documento di economia e finanza siano riportati, partendo dai dati forniti dall’Istat, l’andamento nell’ultimo triennio di alcuni indicatori di Bes (selezionati da un apposito comitato istituito presso l’Istat) e le previsioni sulla loro evoluzione sulla base delle riforme previste. Quest’ultimo aspetto costituisce la novità principale: altri paesi elaborano indici simili a quelli di Bes (ad esempio gli indicatori relativi agli obiettivi Europa2020, predisposti da tutti gli stati membri dell’UE), ma l’Italia è il primo paese a inserirli all’interno di uno schema predittivo e programmatico.

All’interno di del nuovo allegato del Def 2017 è stato condotto un primo esercizio sperimentale su un gruppo ristretto di quattro indicatori. Innanzitutto ci si è concentrati sulla distribuzione della ricchezza tra i vari cittadini attraverso la misurazione del livello di reddito medio disponibile aggiustato pro capite e di un indice di disuguaglianza del reddito disponibile (calcolato come rapporto tra il quintile più ricco e quello più povero). Per rappresentare invece gli aspetti del lavoro e della conciliazione dei tempi di vita, si è scelto il tasso di mancata partecipazione al lavoro, ovvero il rapporto tra il totale di disoccupati e le forze di lavoro potenziali tra i 15 e i 74 anni e la forza lavoro effettiva e potenziale. Per analizzare la dimensione ambientale, è stato usato come riferimento l’indicatore relativo alle emissioni di CO2 e di altri gas clima alteranti.

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Tabella 1

Superare la fase sperimentale

Gli indicatori di Bes rappresentano un’opportunità per migliorare la qualità della programmazione economica del nostro paese, fornendo al governo e al parlamento solide statistiche in grado di cogliere, almeno in parte, il malessere dei cittadini.

Di certo, l’uso che se ne è fatto nel Def 2017 è di carattere sperimentale: il Rapporto Bes 2016 dell’Istat contiene un numero di dati e di indicatori assai superiore. Sebbene alcuni non siano adatti al contesto di un documento di programmazione economica (relazioni sociali o soddisfazione per la vita), altri meritano certamente di esservi inseriti: primi tra tutti, quelli sulla qualità del lavoro, sul reddito e sulle condizioni economiche minime. Negli ultimi anni sono stati condotti vari interventi legislativi in questi ambiti e gli indicatori di Bes possono fornire un valido supporto per la valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche (aspetto spesso trascurato nel nostro sistema politico e amministrativo, come ha scritto su lavoce.info Vitalba Azzolini). Per esempio, potrebbe essere interessante valutare l’impatto del reddito di inclusione sull’indice di disuguaglianza, oppure verificare se le politiche attive del lavoro previste nei decreti attuativi del Jobs act stanno riducendo il tasso di mancata partecipazione al lavoro.

Gli indicatori di Bes, così come elaborati dall’Istat, permettono anche di cogliere le profonde differenze fra il Nord e il Sud del paese. Di particolare interesse è il confronto tra gli indici compositi: le regioni del Sud, oltre a partire da una condizione decisamente più svantaggiata, negli ultimi anni hanno sperimentato un trend negativo in diversi ambiti (ad esempio per quanto riguarda l’occupazione o le condizioni economiche minime), mentre nello stesso periodo le regioni del Nord sono riuscite a migliorare la loro situazione.

Figura 1 – Indici compositi. Nord. Anni 2010, 2013 e 2015/2016. Italia 2010=100

Fonte: Rapporto Bes 2016

Figura 2 – Indici compositi. Mezzogiorno. Anni 2010, 2013 e 2015/2016. Italia 2010=100

Fonte: Rapporto Bes 2016

All’utilizzo di questi indicatori sono state mosse alcune critiche, in particolare sono stati letti come un modo per mascherare scarsa crescita e ottenere maggiore flessibilità dall’Unione europea. Quest’ultima ipotesi è, almeno per il momento, da escludere: nelle dichiarazioni del ministro Padoan il tema del Bes e quello della flessibilità non sono mai stati associati. In più, l’uso principale cui sono destinati è quello di valutare l’impatto sostanziale delle politiche pubbliche: non vi è quindi nessuna volontà di coprire eventuali situazioni di bassa crescita, anche perché gli indicatori economici tradizionali rimangono preponderanti.

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  1. Segnalo che dopo l’esperimento dei quattro indicatori Bes nel Def è stata approvata la lista dei 12 indicatori scelti da un apposito comitato tecnico, come previsto dalla riforma della legge di bilancio, vedi http://numerus.corriere.it/2017/08/10/i-12-indicatori-che-cambiano-la-politica-e-le-mosse-istat-sul-bes/
    Dopo l’ok del Parlamento questi indicatori dovrebbero servire per la previsione triennale e la verifica delle misure di politica economica.

  2. Annalisa

    Articolo molto interessante. iIl Defr della Regione Emilia-Romagna ha anticoato la legge nazionale riportando il posizionamento della Regione in termini di indicatori Bes. https://finanze.regione.emilia-romagna.it/defr/approfondimenti/defr-2019

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