Come l’Unione monetaria, anche l’Unione bancaria rimane a metà del guado. È un progetto incompiuto, la cui piena realizzazione presuppone non solo modifiche dei Trattati, ma anche la volontà politica di procedere verso forme di integrazione fiscale.
Virtù e vizi condivisi
Come nelle coppie di biografie delle “Vite parallele”, dove Plutarco mette a confronto vizi e virtù di illustri uomini dell’antichità classica, le vicende dell’Unione monetaria (Um) e dell’Unione bancaria (Ub), lette in controluce, mostrano analogie fatte di grandi aspirazioni frustrate da problemi strutturali simili.
La virtù di fondo che le accumuna è rappresentata dalla passione e dalla visione politica di lungo periodo fondata sull’idea di fare progredire l’Unione europea verso qualcosa di più di una semplice area di libera circolazione con regole armonizzate. Il vizio di fondo è che entrambe presuppongono forme di integrazione fiscale senza le quali gli sforzi rischiano non solo di essere vani, ma accrescono l’incertezza sul futuro stesso dell’Unione europea.
I paesi dell’area euro non formano “un’area valutaria ottimale”. L’Unione monetaria richiederebbe trasferimenti di risorse fra stati per compensare quelli con strutture industriali più deboli che risentono degli effetti di un cambio fisso/forte, poiché la rigidità verso il basso di prezzi e salari rende la deflazione interna uno strumento molto difficile per riguadagnare competitività. Ma per adesso i paesi core non sono disponibili a cessioni di sovranità sulla gestione del bilancio pubblico e dunque il destino dell’euro rimane in bilico. In fondo, è quello che ci insegna la storia del nostro stesso paese: per poter funzionare, l’unificazione monetaria di aree geografiche profondamente diverse presuppone meccanismi redistributivi di solidarietà sociale che solo l’integrazione politica, e quindi fiscale, permette.
L’Unione bancaria pone problemi analoghi. Il suo pilastro fondamentale è costituito dal sistema condiviso di assicurazione dei depositi, perché è il solo fattore che può accrescere la stabilità del sistema bancario. Il secondo pilastro, la vigilanza centralizzata (Single Supervisory Mechanism – Ssm), è solo una conseguenza politica del primo: se c’è una condivisione finanziaria dei rischi per l’assicurazione dei depositi, allora la supervisione va centralizzata. Ma la Germania non è disponibile a sopportare rischi finanziari per salvare i depositanti di altri paesi europei che mettano in discussione la sua piena sovranità sulla politica fiscale: lo stesso problema dell’Unione monetaria.
Avere istituito l’Ssm prima del sistema centralizzato di assicurazione dei depositi non è stato necessariamente un errore. Ma, da sola, la vigilanza centralizzata serve a ben poco, se non a eliminare le divergenze nelle prassi e a rendere meno convenienti gli arbitraggi fra paesi. L’Ssm, però, è costoso. È finanziato da contributi delle banche a cui non ha corrisposto una riduzione dei costi delle autorità di vigilanza nazionali. Né c’è ragione di affermare che un funzionario che sta a Francoforte sia più bravo di chi sta a Roma o a Madrid. Forse la distanza rispetto ai soggetti vigilati può essere un problema o forse riduce il rischio di cattura dei regolatori. Ma non è questo il punto: l’idea di centralizzare la vigilanza bancaria non può essere certo motivata dal fatto che la Banca centrale europea può essere più efficiente delle autorità nazionali.
Troppa fretta sulla vigilanza
La fretta di procedere con la centralizzazione della vigilanza, lasciando in sospeso il tema spinoso dell’assicurazione dei depositi, ha prodotto complicazioni di non poco conto. Ci si è aggrappati all’articolo 127, comma 6, del Trattato (che prevede che alla Bce possano essere affidati compiti “specifici” di vigilanza), dilatandone a dismisura la portata applicativa, fino a indurre qualche giurista a mettere in discussione le basi legali dell’Ssm. Poi, nel disperato tentativo di minimizzare i conflitti fra politica monetaria e vigilanza bancaria (ad esempio, incentivi a fornire liquidità per mascherare ritardi nella valutazione dello stato di insolvenza, inerzia nell’attuare politiche monetarie restrittive che possano avere effetti negativi sulle banche vigilate, conseguente perdita di credibilità della politica monetaria e inflazione attesa più elevata), l’Ssm è stato disciplinato quasi come fosse un organo autonomo rispetto alla Bce. Per salvare capra e cavoli, si è previsto un complicatissimo meccanismo per cui le decisioni dell’Ssm vengono sottoposte al Consiglio direttivo della Bce (l’unico organo con potere decisionale in base al Trattato) e queste si intendono approvate mediante un meccanismo di silenzio-assenso. In caso di obiezioni, la questione è rimessa a un gruppo di mediazione, il cui parere dovrebbe portare l’Ssm a presentare una nuova proposta.
Insomma, tutto molto complicato e potenzialmente rallentato nei processi decisionali. Alla fine, nulla garantisce una reale separazione fra politica monetaria e vigilanza bancaria.
Come l’Unione monetaria, anche l’Unione bancaria rimane a metà del guado. Come la prima, è un progetto incompiuto, la cui piena realizzazione presuppone non solo modifiche dei Trattati, ma anche la volontà politica di procedere verso una forma di integrazione fiscale.
*Le opinioni espresse in questo articolo sono personali e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.
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Luca Morandini
Miei commenti su alcuni passaggi dell’articolo:
<>: l’economia del Mezzogiorno dimostra invece che i meccanismi redistributivi non funzionano (e i tedeschi lo sanno).
<>: se non ricordo male, il pomo della discordia non era questo, bensi’ la pretesa italiana di continuare a considerare i titoli di stato come capitale bancario esente da rischio (pretesa difficile da sostenere, post-2011).
<>: non direi, visto che il coperchio sulla Popolare di Vicenza e’ stato scoperchiato proprio grazie all’azione della vigilanza europea.
<>: e invece si’! Non scordiamoci che la vendita di obbligazioni bancarie rischiose alla clientela “retail” e’ accaduta sotto la vigilanza della BdI.
<>: conflitti con cui l’Italia ha convissuto per decenni prima dell’Euro, e con i quali la Federal Reserve continua allegramente a convivere, peraltro.
Luca Morandini
Il testo del mio commento precedente e’ stato menomato per problemi tecnici, per cui riposto:
“In fondo, è quello che ci insegna la storia del nostro stesso paese: per poter funzionare, l’unificazione monetaria di aree geografiche profondamente diverse presuppone meccanismi redistributivi”: l’economia del Mezzogiorno dimostra invece che i meccanismi redistributivi non funzionano (e i tedeschi lo sanno).
“Ma la Germania non è disponibile a sopportare rischi finanziari per salvare i depositanti di altri paesi europei”: se non ricordo male, il pomo della discordia non era questo, bensi’ la pretesa italiana di continuare a considerare i titoli di stato come capitale bancario esente da rischio (pretesa difficile da sostenere, post-2011).
“Ma, da sola, la vigilanza centralizzata serve a ben poco”: non direi, visto che il coperchio sulla Popolare di Vicenza e’ stato scoperchiato proprio grazie all’azione della vigilanza europea.
“l’idea di centralizzare la vigilanza bancaria non può essere certo motivata dal fatto che la Banca centrale europea può essere più efficiente delle autorità nazionali.”: e invece si’! Non scordiamoci che la vendita di obbligazioni bancarie rischiose alla clientela “retail” e’ accaduta sotto la vigilanza della BdI.
“Alla fine, nulla garantisce una reale separazione fra politica monetaria e vigilanza bancaria.”: conflitti con cui l’Italia ha convissuto prima dell’Euro, e con i quali la Federal Reserve continua allegramente a convivere, peraltro.
Henri Schmit
Ottimo commento a un articolo interessante!