Si chiude la peggiore stagione degli incendi in Italia da 30 anni a questa parte. Le cause si possono riassumere in cinque punti. Tutti hanno a che fare con la scarsa attenzione al territorio e al bene comune. Ma anche a un sistema organizzativo di scarsa efficienza.
Quasi a termine della peggiore stagione negli ultimi 30 anni per gli incendi in Italia, vediamo di analizzare le cause di questo fenomeno, cercando di fare una valutazione più ampia sullo stato delle risorse boschive Possiamo raggruppare le cause di questo fenomeno in cinque categorie, di cui le ultime due collegate a problemi generali del settore forestale che travalicano lo specifico tema degli incendi boschivi.
Condizioni meteorologiche
La prima causa, quasi un prerequisito per lo sviluppo degli incendi, sono le condizioni meteorologiche: aridità, alte temperature, bassa umidità, forte vento con il maggior numero di eventi estremi, come le sette ondate di caldo di questa estate, tutti fenomeni collegati ai cambiamenti climatici. L’eccezionalità climatica sarà sempre più norma; tra l’altro gli scenari di cambiamento climatico prevedono che la regione del Mediterraneo sia più esposta a fenomeni di riscaldamento di altre regioni, con una maggiore riduzione delle precipitazioni nella primavera e con maggiori ondate di caldo in estate, con incendi quindi potenzialmente più rapidi, intensi e di larghe dimensioni.
Incendiari volontari e no. E rari piromani
La seconda causa è legata alla diffusione dei casi di incendi volontari o da comportamento irresponsabile. Non si tratta della diffusione della piromania, una malattia mentale molto rara, ma si tratta di comportamenti dolosi di una moltitudine di soggetti: pastori in cerca di pascoli più ricchi e “puliti”, incendiari con motivazioni vendicative, operai forestali stagionali in cerca di future opportunità di impiego, cacciatori interessati a controllare e concentrare le aree di rifugio della selvaggina, raccoglitori di prodotti selvatici. Ma la causa prevalente sono i comportamenti colposi collegati a noncuranza, negligenza, imperizia e sottovalutazione del rischio. Nell’Europa meridionale quasi il 70 per cento degli incendi sono legati a bruciature di residui vegetali e al desiderio di rigenerare e rendere più produttivi i pascoli.
Prevenzione e spegnimento
Una scarsa attenzione alla prevenzione attiva degli incendi è la terza causa. Nulla di nuovo nel panorama della gestione del territorio in Italia: alla prevenzione viene data una minor attenzione rispetto al ripristino. La prevenzione può essere indiretta o diretta. Per prevenzione indiretta si intendono pratiche quali la scelta delle specie appropriate, la realizzazione di diradamenti e di interventi di pulizia del sottobosco, interventi che hanno anche una importanza fondamentale per aumentare la resistenza e la resilienza delle formazioni forestali. Prevenzione diretta significa realizzazione e manutenzione di fasce tagliafuoco, riduzione del materiale combustibile, pulizia delle fasce laterali delle strade e di quelle sottostanti le linee di comunicazione.
Nel considerare l’antitesi prevenzione-spegnimento degli incendi non vanno trascurate le differenze in termini di investimento economico delle due opzioni: la prima interessa soprattutto i piccoli operatori del mondo rurale, il secondo coinvolge soggetti esterni al settore forestale e in particolare l’area del business connessa alla flotta aerea e ai sistemi di monitoraggio, settori fortemente legati all’industria militare.
La foresta abbandonata
Le ultime due cause hanno una rilevanza più ampia, che va ben al di là dello specifico caso degli incendi e interessano le modalità organizzative del settore forestale italiano, negletto dalla politica (in parte perché rappresenta lo 0,08 per cento del valore aggiunto nazionale), nonostante le superfici forestali coprano più di un terzo del territorio e rappresentino quella che è stata definita la più grande infrastruttura verde del paese. Una infrastruttura che, nonostante incendi e attacchi parassitari, è in espansione a seguito della ricolonizzazione di terreni agricoli abbandonati. La prevenzione a costi minori è quella connessa alla rivitalizzazione dell’economia del settore: un bosco che produce valore è un bosco che viene difeso e che difficilmente brucia.
In effetti tutto il settore è ancora condizionato da una cultura che è quella dell’Italia della fine dell’Ottocento quando il paese si era dotato di una rigida normativa di vincolo dei territori boscati e di una forza di polizia specializzata nella tutela delle risorse forestali. Di fatto il singolo, più potente, strumento di politica forestale sono ancora i diversi tipi vincoli (idrogeologico, paesaggistico, naturalistico). Negli ultimi 50 anni la superficie forestale è raddoppiata. C’è bisogno di un cambiamento di paradigma di riferimento nella politica forestale: dal “vietare per proteggere e ricostruire il patrimonio” a “gestire il patrimonio, valorizzandolo anche economicamente, per ridurre i costi della sua tutela”.
Un problema di governance
E qui entra in gioco il quinto e ultimo fattore: l’assetto istituzionale del settore, profondamente modificato dalla Legge Madia di riforma della pubblica amministrazione, e in particolare dal Decreto Legislativo 177/2016 che ha ridefinito le istituzioni che operano nel settore forestale a livello centrale. Come spiegato nella scheda tecnica che ha accompagnato il fact-checking sulle attività di spegnimento degli incendi, con il Decreto 177 è stata fatta la scelta di militarizzare il Corpo forestale dello stato (Cfs) inglobando gran parte dei componenti nell’Arma dei Carabinieri.
Il Decreto 177 ha avuto uno specifico effetto sull’organizzazione della difesa dagli incendi boschivi nelle regioni a statuto ordinario. Attualmente le competenze risultano divise tra regioni, Vigili del fuoco, i Protezione Civile e Carabinieri forestali, secondo la ripartizione riportata nella scheda tecnica. Con la riforma delle competenze definita dal Decreto si rendono necessarie nuove convenzioni tra Regioni e Vigili del fuoco i quali, tuttavia, in molte Regioni dovrebbero ereditare le competenze negli interventi avendo problemi organizzativi e di personale.
Il rischio che vada sempre peggio
Infine, da una lettura del Decreto, si potrebbe ipotizzare che la prevista Direzione foreste del ministero delle Politiche agricole, forestali e alimentari assuma una funzione di indirizzo delle attività anti-incendio. Questa Direzione è ancora in attesa di una definitiva strutturazione.
Con il Decreto 177 si è così riusciti a fare due significativi errori con una sola decisione: si sono affidate responsabilità operative ad una organizzazione (i Vigili del fuoco) che non ha una struttura logistica diffusa sul territorio rurale perdendo le competenze nel coordinamento sul campo accumulate da alcuni decenni di attività antincendio del Cfs. Nello stesso tempo si è accentuato quel processo di securizzazione e, più specificamente, di militarizzazione dell’apparato centrale dello stato nel campo della gestione delle risorse naturali proprio in un momento in cui sarebbe fondamentale avere una pubblica amministrazione che accompagni sul piano tecnico e amministrativo la gestione dei beni comuni, che privilegi la prevenzione sulla repressione, i rapporti di cooperazione e responsabilizzazione con i portatori di interesse sugli interventi securitari. Se questa strada, prepariamoci a molte altre estati di fuoco.
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Grazia Saldi
Mi risulta che già in passato gli incendi boschivi li spingevano i vigili del fuoco~
Savino
Come riferisce il procuratore di Sulmona Giuseppe Bellelli, dietro ai roghi ci sarebbe un unico piano criminale, dovuto “o a rancori o a interessi”.
L’aspetto “interessi” mi pare sia stato, spesso, approfondito in varie sedi ed ha profili che risiedono nella criminalità organizzata e nella speculazione edilizia e delle concessioni demaniali.
Vorrei maggiormente concentrarmi sull’aspetto “rancori”.
Il CFS era diventato un peso per il nostro ordinamento, con spese eccessive per il mantenimento capillare delle caserme e degli arruolati e zero costrutto in termini di protezione delle risorse naturali. Negli anni precedenti il patrimonio boschivo italiano veniva distrutto ugualmente e nessuno alzava un dito. L’appartenenza al CFS ha assunto un’alea di autoreferenzialità e di privilegio inaccettabile ed offensiva nei confronti dei cittadini italiani, in particolare di quelli che versano da tempo in difficoltà economiche. Il comparto sicurezza deve dare sicurezza a tutti i cittadini e non a chi lo compone. Per tutti questi motivi, i governanti, al di là del colore politico, che hanno deciso di smantellare il CFS, hanno operato una decisione giusta e saggia, che bisognerebbe estendere fino a formare un corpo unico nazionale di polizia.
Gianluca
Perfettamente d’accordo. Il CFS non è stato smantellato: continua ad operare alla stessa maniera ma sotto l’Arma dei Carabinieri.
Continuare ad insinuare che il “passaggio” avrebbe prodotto esiti catastrofici su incendi, sicurezza alimentare e (prima o poi qualcuno lo dirà) bracconaggio, è solo strumentale e volto a screditare una riforma sacrosanta, obbligatoria (avevamo una procedura d’infrazione sulla testa) e che è in effetti incompleta.
Andrebbe riorganizzato tutto il comparto sicurezza fino ad avere un’unica forza di polizia, certamente strutturata con varie prerogative (forestale, finanziaria, ecc…), ma UNICA, così come previsto dalle norme europee.
Pippo
Forse confonde, come quasi tutti, il cfs con gli operai forestali REGIONALI. Il costo del CFS era totalmente coperto dalle sanzioni e dai provvedimenti che comminava, di conseguenza nessun peso x le finanze, contava neanche 8.000 addetti in tutta Italia. L’accorpamento del CFS, oltre a militarizzare forzatamente personale civile, ha contribuito a peggiorare i danni da incendi verificatisi questa estate. Il tutto per un risparmio di 130 milioni in 3 anni, quando un taglio ai costi della politica avrebbe prodotto risparmi per 400 milioni all’anno.
Savino
Sono due grossi problemi
Fabio
Magari…. 130 milioni di risparmio sono per tutta la riforma Madia. L’accorpamento del CFS probabilmente non ha portato alcun risparmio, anzi… come confermato a suo tempo dalla Ragioneria Generale dello Stato,
michele procida
Grazie. Illuminante. Mi permetto di proporre uno spunto ulteriore: quanti incendi sono causati da sigarette gettate da auto o treni in corsa? Anche le sigarette autospegnenti continuano a bruciare per circa venti secondi e quindi possono incendiare il bordo strada o linea ferroviaria e da lì propagarsi. Con danno “diretto” ai boschi attigui e “indiretto” perché suppongo che l’intervento dei mezzi antincendio lungo le vie di comunicazione sia prioritario per garantire la circolazione, a discapito di incendi lontani da esse. Perché allora non investire anche in campagne di sensibilizzazione – verso fumatori negligenti ma certo non dolosamente incendiari – lungo le strade, sui treni e sulle radio e canali TV della RAI? Costi esigui (in particolare per le campagne sui canali RAI, nelle stazioni e sui treni) e aumento della consapevolezza, e quindi della sensibilità al tema, generale. Grazie.
Lorenzo Sallustio
Ottima panoramica e contributo, che dovrebbe stimolare ad una riflessione profonda. Il bosco, il capitale territoriale più esteso del nostro Paese, da opportunità (economica, sociale, ambientale culturale ecc.) a “problema”… serve un cambio di paradigma che parta dal rimettere al centro della politica e panificazione territoriale le risorse ambientali, che non possono più essere considerate come 100 o 50 anni fa.
maria angioni
Ci sono anche altri fattori di rischio assolutamente trascurati a livello istituzionale, e ignorati da parte della popolazione: emissioni dal terreno o da attività umana di idrogeno solforato, gas altamente infiammabile ed esplosivo, e uso di manufatti contenenti sostanze derivate chimicamente dal petrolio come il poliuretano, si pensi ai materassi in “lattice” e al retro dei frigoriferi
Albatro
Ritengo che sia assolutamente da non condividere l’assioma per cui la causa di questo incendio di 3000 ettari sulla montagna del Morrone sia colpa della legge Madia per le seguenti ragioni:
Durante lo scorso inverno sul nostro Paese è mancato l’80% dell’apporto idrico tipico di questa stagione, soprattutto in termini di manto nevoso che rilascia lentamente l’acqua nel sottosuolo;
È falso sostenere che questa estate è stata come quella del 2003, basta andare a vedere i dati meteo storici; sul Morrone vi è stato solo un episodio piovoso significativo il 12 agosto, basta guardarsi in giro tra i monti di colore ormai bruno che caratterizza tutto l’arco appenninico per rendersi conto di quale stress idrico siano stati sottoposti i nostri boschi in quest’estate; tutto materiale altamente infiammabile in attesa anche di un banale innesco per sviluppare tutta la sua energia potenziale.
Gli ex CFS intervenuti sull’incendio sono quantitativamente e qualitativamente gli stessi sia come Carabinieri Forestali che come Vigili del fuoco (circa 200 tra GdF, PS e MIPPAF); gli attori sono quelli di sempre, ma la legge Madia ha stabilito in maniera ben definita gli ambiti di competenza evitando sovrapposizioni e conflittualità tra Amministrazioni.
L’esperienza di coordinamento maturata dagli ex CFS non si è dispersa, ma è stata messa a disposizione dei Direttori Operazioni di Spegnimento dei Vigili del Fuoco che ora possono pienamente gestire sia l’azione di coordinamento di tutte le forze antincendio che quella di spegnimento attivo delle fiamme con i mezzi aerei e a terra.
I Carabinieri Forestali, non più D.O.S., ora possono dedicarsi pienamente ai compiti di polizia giudiziaria nel perseguire i reati ambientali, soprattutto contro la delinquenza organizzata che sempre più spesso si cela dietro gli incendi boschivi. Inutile stare a sottolineare i risvolti benefici dal punto di vista operativo che derivano da essere divenuti parte attiva nell’Arma.
E’ vero: non ci si improvvisa in questi interventi, ma quello delle carenze sull’organizzazione del volontariato in Abruzzo non può essere un problema da attribuire alla legge Madia. In molte altre regioni il volontariato sugli incendi è una realtà di tutto riguardo.
Solo chi ha avuto modo di cimentarsi con il Morrone sa di quali difficoltà e insidie sia costituito questo rilievo di tutto rispetto (2100 s.l.m.) con poche strade sterrate e qualche sentiero in più in alta quota. Quando le fiamme sono spinte dal vento in poche ore possono percorrere chilometri nei boschi arsi e altamente infiammabili radicati in terreni acclivi, impervi e spesso impraticabili. Con un’Italia che brucia dal nord al sud su tutto l’arco appenninico quanti aerei dovrebbe avere la nostra flotta per poter affrontare adeguamento ogni singolo incendio Questa è una domanda che sarà sempre più insistente nei prossimi anni nel volgere di questo cambiamento climatico.
La militarizzazione di un Corpo può essere un problema di status per i suoi dipendenti, ma non si può sostenere che ne diminuisce la sua capacità funzionale e d’intervento anzi una ben precisa definizione dei diritti e dei doveri costringe tutti i militari di vario grado alle proprie rispettive responsabilità. Nel CFS questo aspetto non è stato mai propriamente affrontato, basti pensare che dal 1948 al 2016 non è mai stato in grado di dotarsi di un Regolamento di Servizio e di un Regolamento di Disciplina.
Albatro
I Vigili del Fuoco, che hanno da sempre avuto un ruolo da protagonisti nell’attività di antincendio boschivo anche se con priorità sugli incendi di interfaccia, potranno comunque usufruire di tutto il flusso informativo e di competenze in capo ai Carabinieri Forestali e a quelli della Territoriale.
La concentrazione di tutte le competenze ai Vigili del Fuoco consentirà ben presto di gestire al meglio sia la fase di coordinamento delle forze aeree e a terra che quella di spegnimento attivo delle fiamme. I Carabinieri Forestali potranno concentrarsi con molta più efficacia all’attività di prevenzione e di repressione dei comportamenti che danno luogo allo sviluppo incontrollato delle fiamme.
Il processo di decentramento amministrativo, che negli ultimi quarant’anni ha caratterizzato il nostro Paese, non mi sembra che sia stato in grado di conservare, migliorare e valorizzare il patrimonio naturale così come si auspicava il legislatore. Gli interessi locali molto spesso hanno prevalso su quello collettivo sacrificando in molti casi le bellezze naturali. Le riserve naturali statali gestite dagli Uffici della Biodiversità ora del Comando Tutela per la Biodiversità dell’Arma dei Carabinieri sono un bell’esempio di come lo Stato possa preservare e valorizzare un patrimonio che deve rimane a disposizione di tutta la collettività. Quello della militarizzazione è solo una questione di status che incide solo sulla sfera dei diritti e doveri del dipendente e non già sulle sue competenze e sulla sua professionalità nel settore ambientale che rimangono una priorità per questa specialità dell’Arma.
Albatro
…e poi in questa estate d’inferno avete visto una campagna nazionale seria contro il lancio di sigarette ?