La Relazione sui conti pubblici territoriali indica un livello particolarmente basso della spesa per investimenti del settore pubblico allargato in tutto il paese. Ma al Sud si riduce anche la spesa della politica nazionale di coesione territoriale.
Dati sui conti pubblici territoriali
L’Italia dispone di un apparato statistico molto interessante e ancora poco valorizzato rispetto alle sue potenzialità: i conti pubblici territoriali. Includono tutte le spese (correnti e in conto capitale) effettivamente realizzate, a partire dal 2000, in ogni regione italiana, da parte delle amministrazioni pubbliche (Pa) e dalle imprese a controllo pubblico (nell’insieme: settore pubblico allargato, Spa), consolidando tutti i relativi dati. Consentono quindi valutazioni d’insieme e su quanto effettivamente avvenuto, indipendentemente da annunci o stanziamenti. Da pochissimo è stata pubblicata la Relazione con i dati per il 2015 e le anticipazioni per il 2016, che si concentra, come d’abitudine, sulla spesa in conto capitale: investimenti pubblici e trasferimenti di capitale. I dati della Relazione sono assai interessanti, ma poco confortanti.
A livello nazionale, confermano un livello particolarmente basso della spesa per investimenti pubblici dell’insieme del settore pubblico allargato: 42,3 miliardi a prezzi 2010 (44,7 a prezzi correnti), contro una media 2000-09 di 63,2 miliardi: i due terzi. Si può calcolare che nel 2010-2015 siano venuti cumulativamente a mancare, rispetto alle medie precedenti, circa 75 miliardi di investimenti pubblici (prezzi 2010).
La debolezza dell’economia, le necessità di risanamento dei conti pubblici, ma soprattutto le scelte di politica economica che sono state effettuate stanno dunque portando a un calo delle attività di manutenzione, ammodernamento e ampliamento del capitale pubblico del nostro paese. Le stime per il 2016, disponibili per l’intera spesa in conto capitale delle sole amministrazioni pubbliche, confermano un ulteriore calo, del 6,6 per cento a prezzi costanti, rispetto all’anno precedente: nonostante fosse attivo l’accordo sulla “flessibilità degli investimenti” concordato con la Commissione europea.
A livello territoriale, flettono dappertutto sia la spesa per investimenti, sia quella complessiva in conto capitale, raggiungendo in tutte le regioni e circoscrizioni livelli storicamente bassissimi. Al Centro-Nord la complessiva spesa pubblica in conto capitale dello Spa (sempre a valori costanti) passa dai 1.300 euro per abitante di inizio secolo – e dai picchi intorno ai 1.700 euro del 2004-09 – a poco più di mille euro pro-capite nel 2015; al Sud si scende da una media intorno ai 1.400 a poco più di 1.100. Per la prima volta nel nuovo secolo l’intensità della spesa per abitante è maggiore al Sud. Ma si tratta di un “inseguimento in discesa”. E di un anno molto particolare: perché con la chiusura dei pagamenti del ciclo 2007-2013 dei fondi strutturali c’è stata un’impennata, una tantum, della spesa in quelle regioni. I dati preliminari per il 2016 confermano, infatti, che la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno (della sola Pa), nonostante tanti proclami, è tornata a scendere, in misura molto netta (-18 per cento) rispetto all’anno precedente.
La situazione nel Mezzogiorno
Al Sud sono venute a mancare negli ultimi anni, tanto la spesa ordinaria in conto capitale (dimezzata rispetto ai livelli pre-crisi, più o meno come nel resto del paese), quanto la spesa della politica nazionale di coesione territoriale (quella finanziata dal Fondo sviluppo e coesione). Quest’ultimo elemento è politicamente più rilevante, dato che la politica nazionale di coesione è, in particolare dal 2014, ai minimi storici: intorno a solo 1,5 miliardi di euro all’anno, fra un quarto e un terzo dei livelli medi precedenti. Si tenga presente che in teoria sarebbero disponibili 54,8 miliardi di euro per il 2014-20: cioè 6,3 miliardi all’anno (80 per cento del totale) al Sud. Le necessità di manutenzione e sviluppo del carente capitale pubblico nel Mezzogiorno ricadono quindi in misura spropositata sui soli fondi strutturali europei, che svolgono perciò un ruolo solo parzialmente compensativo (e caratterizzato da ritardi e vincoli procedurali).
Per collocare queste politiche in una prospettiva storica lunga, si può infine notare, riprendendo un’elaborazione contenuta nella Relazione, che la spesa per interventi nazionali finalizzati allo sviluppo del Mezzogiorno, che si aggirava intorno allo 0,85 per cento del Pil italiano negli anni Settanta, è progressivamente scesa, fino allo 0,47 per cento negli anni Novanta, allo 0,33 per cento del primo decennio del nuovo secolo e allo 0,15 per cento del 2011-2015.
La spettacolare compressione degli investimenti pubblici, nel Mezzogiorno come nel resto del paese, rappresenta una scelta di politica economica decisamente preoccupante per il futuro del paese, e in particolare delle sue aree più deboli.
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naldini
Osservazioni interessanti, come al solito, ma la questione forse più rilevante ancora è che la riduzione della spesa in conto capitale è andata a sostenere quella corrente e non ha ridotto l’indebitamento. Questo senza troppe differenze tra nord e sud. E’ un percorso insostenibile e che rimanda all’incapacità di fare scelte strutturali sulla spesa pubblica, che rimane in larga parte inefficiente e votata al consenso a breve termine.Quindi la questione è quale spesa corrente tagliamo per aumentare gli investimenti?
Guido Nannariello
L’articolo di Viesti, come sempre, è interessante. Sul tema sarebbe utile ascoltare anche l’autorevole opinione di altri economisti. Tra 2000 e 2015 la Spesa pubblica si è espansa soprattutto in previdenza e assistenza (+137 mld +70,1%) a danno di tutto il resto, tra cui gli investimenti che hanno fatto registrare un misero +1,7 mld (+4,8%). Si è preferito tutelare i diritti acquisiti di una generazione rinunciando agli investimenti di cui avrebbe avuto bisogno la generazione seguente. E’ un dualismo generazionale, prima che territoriale, nel quale le parole chiave sono “crescita”, “produttività”, “efficienza” prima che “spesa/pro-capite” e “nord/sud”. Come ben descritto nel Rapporto, gli investimenti vanno a rilento anche quando le risorse ci sono.