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Che fare se l’automazione porta alla scomparsa il lavoro

La quarta rivoluzione industriale rischia di creare una netta divisione nel mercato del lavoro: i privilegiati e i precari. Fioccano perciò le proposte per attenuarne gli effetti. Ma conviene concentrarsi su misure attive di prevenzione o compensazione.

Arriva la quarta rivoluzione industriale

Sta arrivando – a tutta velocità e con effetti sistemici – la quarta rivoluzione industriale. Si tratta di applicazioni dell’intelligenza artificiale e della robotica che mettono in dubbio le tradizionali linee di confine fisiche, digitali e biologiche tra uomo e macchina. Grazie alle nuove tecnologie, la vita quotidiana di tutti viene resa più semplice. Si può chiamare un taxi, prenotare un volo, comprare un prodotto, fare un pagamento, ascoltare la musica in remoto, ottenendo un servizio personalizzato. Un grande vantaggio rispetto a prima. Ma i benefici di tutto ciò rischiano di essere concentrati nelle mani di pochi: innovatori, azionisti, investitori. E anche il mercato del lavoro potrebbe essere diviso in due segmenti, forse non comunicanti. Da un lato, i precari: lavori e lavoratori con basse qualifiche e bassi stipendi. Dall’altro lato, i privilegiati: lavori e lavoratori con qualifiche elevate e stipendi corrispondentemente elevati.

Secondo il premio Nobel Michael Spence e l’ex capo economista di Barack Obama Laura Tyson, il rischio concreto è che la quarta rivoluzione industriale accoppiata con la globalizzazione metta il turbo a disuguaglianze già molto elevate. La concorrenza sui mercati digitali premia il più bravo nel fornire un servizio molto più che in passato e ciò si traduce in un netto aumento della concentrazione industriale settore per settore. Ma l’aumento delle disuguaglianze si alimenta in modo cruciale della globalizzazione. Le aziende vincenti sono quelle che hanno perfezionato i modi di delocalizzare, monitorare e coordinare la produzione in varie parti del mondo così da ridurre i costi del lavoro, gestionali e di approvvigionamento delle materie prime. Rischia di spezzarsi il processo di distruzione creativa tipico delle rivoluzioni tecnologiche precedenti: la creazione dei nuovi posti di lavoro che rimpiazzino quelli cancellati stavolta tarda o rischia di avvenire in altri paesi, demograficamente o istituzionalmente meglio posizionati.

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Automazione e lavoro: lo studio di McKinsey

In un recente studio, il McKinsey Global Institute ha analizzato gli effetti dell’automazione sul lavoro per 46 paesi e per lavori che coprono l’80 per cento della forza lavoro globale. La ricerca si è servita di una rigorosa metodologia di stima del potenziale di automazione dei lavori sulla base delle tecnologie già oggi conosciute (dunque senza fare congetture difficili da giustificare sui futuri trend tecnologici). I risultati ottenuti derivano da una accurata classificazione dei lavori in attività elementari (in tutto duemila) e competenze, di cui sotto viene riportato un esempio relativo a un lavoro particolare, quello del venditore al dettaglio.

Un primo risultato dello studio McKinsey è che la frazione dei lavori interamente automatizzabili sarebbe solo una piccola parte del totale: meno del 5 per cento.

Lo studio però contiene anche un secondo risultato, molto meno rassicurante: secondo i calcoli della società di consulenza, il 60 per cento delle occupazioni è costituito da attività che sarebbero almeno parzialmente automatizzabili (per il 30 per cento o più). Nello specifico, sarà più facile affidare a una macchina attività ripetitive e operative che avvengono in contesti caratterizzati da limitata incertezza. Esempi? I servizi di accoglienza, la raccolta di prodotti agricoli, le attività manifatturiere in generale, ma anche le attività di back-office nel commercio al dettaglio e all’ingrosso. Sarà invece più complicato automatizzare attività che richiedono interazione umana e sociale come i servizi di assistenza sanitaria, di istruzione, il management e altre professioni che comportano una sofisticata elaborazione delle informazioni. Tra queste, la politica.

Cosa fare per ridurre l’impatto negativo dell’automazione

Non è dunque strano che si discuta su cosa fare per attenuare il probabile impatto negativo dell’automazione sul lavoro. Bill Gates ha proposto di tassare i robot. Una proposta suicida per un paese cronicamente arretrato nell’innovazione tecnologica come l’Italia. Il reddito di cittadinanza – una misura con elevati costi per il bilancio pubblico – sarebbe un’assicurazione sociale anche contro gli effetti incerti dell’automazione. Forse più praticabili sono misure attive di prevenzione o compensazione, come programmi di formazione permanente, prestiti a lungo termine a fini di riqualificazione professionale e programmi di assicurazione sui salari. Misure come queste sono già in atto da molti anni negli Stati Uniti dove l’Ataa (Alternative Trade Adjustment Assistance for Older Workers) prevede un’integrazione di stipendio per lavoratori con più di 50 ann e, redditi inferiori ai 50mila dollari che perdono il lavoro e lo recuperano entro sei mesi. L’integrazione sarebbe pari a metà della differenza tra il vecchio e il nuovo stipendio, con un tetto di 10mila dollari. Invece di tassare l’innovazione o trasformarci in un mondo di persone che vivono di sussidi, meglio aiutare i lavoratori a rimanere tali insieme con i robot.

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Figura 1 – L’esempio delle attività elementari e delle competenze di un venditore al dettaglio

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16 commenti

  1. Savino

    Se arrivano i robot, facendo sparire (in fondo, lo si intuisce sotto traccia) lavori di manodopera semplice e impiegatizi d’ordine, bisogna rafforzare e valorizzare la competenza, la professionalità, la serietà professionale, la qualificazione professionale, la produttività, la responsabilizzazione, la formazione e l’aggiornamento continuo e costante del lavoratore dipendente. Cioè, bisogna fare esattamente il contrario di quella che è la mentalità prevalente di gran lunga nella società italiana, laddove, già a livello di selezione, sono penalizzati quelli studiosi e volenterosi, che si sanno muovere nelle dinamiche del mondo del lavoro flessibile contemporaneo, in favore di metodi da signorotti alla Don Rodrigo, che portano all’assunzione di persone incapaci ed irresponsabili in tutte le professioni e in tutti i mestieri, i cui risultati negativi, in termini di produttività, sono sotto gli occhi di tutti e non li vede solo chi non vuole vederli.

  2. Ezio Casagranda

    Tassare i patrimoni e le rendite finanziarie, ridurre l’orario di lavoro e fare il reddito di cittadinanza.
    Se il lavoro non c’è non c’è. Quindi la formazione e assicurazioni come proposte sono semplici palliativi.
    Le risorse non mancano basterebbe trasferire le ingenti risorse oggi dedicare alla guerra e tassare i patrimoni.

  3. Antonio Rossi

    Il lavoro non sarà più né un diritto né un obbligo, ma diventerà una scelta: occorrerà creare le condizioni reddituali per consentire di sopravvivere con dignità a chi sceglierà di non lavorare (ma dovrà continuare a consumare, per tenere in piedi il sistema efconomico) e di vivere con agio a chi, invece, sceglierà di lavorare, qualunque lavoro sia. Solo così, peraltro, potrà darsi una giustificazione accettabile alla disuguaglianza sociale, che costituisce una funzione logaritmica della diffusione della tecnologia.

    • Giovanni

      Anch’io spesso sono portato a pensare, come lei Antonio, che il lavoro debba giungere ad essere una scelta; ma temo d’altro canto, che molti resteranno senza lavoro non perché l’abbiano scelto, ma perché non c’è sufficiente lavoro per tutti, e allora solo i più forti potranno ottenerlo. Quello che mi preoccupa è che chi resterà escluso, non venga messo in condizione di avere una vita dignitosa. Qui sta il nodo più grande secondo me: se si tratterà di “sopravvivenza” o di “vita dignitosa” per chi sarà escluso dal lavoro.

  4. Henri Schmit

    Ottimo articolo che suscita riflessioni e merita approfondimenti. Il problema non è solo il rischio di perdere posti di lavoro. La quarta rivoluzione industriale crea un’illusione di uguaglianza di accesso alla rete ma rinforzerà sempre di più le differenze fra quelli che il prof. Daveri chiama i “pochi beneficiari” (“innovatori, azionisti, investitori”), manager , proprietari e consulenti delle multinazionali vincenti, dall’altro lato “i perdenti”, sfruttati ed esclusi, precari senza diritti, dipendenti da accordi d’impresa, sempre meno protetti da garanzie nazionali (regole generali), non qualificati o peggio qualificati ma esclusi. L’asimmetria del rapporto di lavoro rinforzata dall’asimmetria dell’informazione utile, se non contrastata, porterà a un aumento delle disuguaglianze, della povertà, del malessere sociale, dell’odio. L’errore sarebbe di trattare gli scenari attuali e futuri con le ideologie dell’800, tanto di moda in Italia e in America, la libertà fra disuguali: basta pensare a settori maturi, alle banche, alla telefonia e all’energia per rendersi conto che non basta ragionare in termini di libero mercato. La libertà esiste solo perché è garantita da uno stato, e se lo stato è democratico, non è immaginabile che una maggioranza si faccia sfruttare da una minoranza di privilegiati che si giustificano come più bravi, più meritevoli, ….

  5. Michele

    Licenziati tutti i lavoratori umani, dovranno inventare il robot consumatore che acquista i prodotti e servizi ormai inacessibili per gli umani (disoccupati). Bisognerà però capire come il robot consumatore potrà pagare quei prodotti e servizi. Bisognerà attribuirgli un salario….alto…molto alto….

  6. FRANCESCO FERRANTE

    L’approccio one size fits all non funziona. Il caso italiano richiede ricette ad hoc. La formazione continua e la riqualificazione funzionano se la forza lavoro è sufficientemente istruita. Per diversi anni ancora noi pagheremo il costo del ritardo educativo del Paese, di una forza lavoro poco istruita e gli effetti dell’analfabetismo funzionale legato ad un ridotto utilizzo delle competenze anche nei luoghi di lavoro (indagine PIAAC).

  7. Luca Ba

    Vado contro corrente, credo che quanto detto nell’articolo in molti paesi sviluppati sia già avvenuto e in molti di questi ci sia stato un assestamento del lavoro. Si sono si persi molti lavori ma se ne sono creati molti altri, cito solo alcuni esempi che tocco con mano nella mia zona ovvero i produttori di alimentari di nicchia (birre artigianali, alimenti a base di farro, salumi di razze suine particolari..) che sono nate e crescono grazie alla facilità di accesso ai dati in rete. Sarebbe da analizzare quanto e grande il fenomeno e quanto invece succederà quando la robotica arriverà nei paesi mergenti ad alta intensità di lavoro.

    • Lorenzo

      … e l’autore dell’articolo dice invece ” Il reddito di cittadinanza – una misura con elevati costi per il bilancio pubblico – sarebbe un’assicurazione sociale anche contro gli effetti incerti dell’automazione.” … (ci deve pur essere qualcune che produca reddito per poi distribuirlo!)

  8. Roberto Zanetto

    Per adesso la divisione e’ tra chi e’ assunto a tempo indeterminato con eccessivi privilegi e non licenziabile e chi e’ a partita iva

  9. Vincenzo

    Interessante disamnina di come l’automazione e tutto il paradigma della industry 4.0 può incidere sulle dinamiche del lavoro. A proposito sarebbe interessante affrontare l’impatto in Italia della Sbtc – skill-biased technological change – in un contesto dove la tecnologia continua a fornire strumenti a supporto della sostituzione della manodopera per attività di routine (manuali), e dove la specializzazione verso l’alto (con relative conseguenze in termini salariali) non trova ancora un substrato regolamentativo ed economico in cui svilupparsi, e dove la cosiddetta “classe media” di specializzazione (la più diffusa) si contraddistingue per una depressione di valore e graduale impoverimento competitivo.

  10. Aldo Mariconda

    Il problema è grave ed è globale. Le stesse elezioni tedesche, pur in un Paese che va bene quanto all’ecomia in EU, ha fascie di largo scontento, di povertà e precariato. Ragione di più per l’Italia di porsi il problema di accelerare lo sviluppo del PIL con delle riforme incisive come raccomandato da tutti gli osservatori internazionali. Certo non basta, ma è comunque necessario.

  11. Luigi Vignaroli

    per un quadro più esaustivo consiglio la lettura delle seguenti pubblicazioni:
    Le persone non servono;
    Lavorare tutti lavorare gratis;
    Il futuro senza lavoro

  12. giuli 44

    Noto che pochi prendonoin esame quelle che per me sono le vere alternative: più istruzione (accantonando i ‘baroni’ e facendo largo ai giovani e meritevoli nell’insegnamento), riduzione degli orari di lavoro (magari attraverso una sortadi gneralizzazione dei contratti di solidarietà)

  13. Stefano

    Le società che gestiscono le autostrade hanno sostituito il personale che lavorava 24 ore con sistemi d’incasso del pedaggio automatizzati che vengono costruiti all’estero, non si lamentano, non si ammalano, non scioperano, ma nonostante l’enorme diminuzione dei costi, le tariffe aumentano costantemente, ogni anno, a norma di Legge.

  14. Francesco

    Se i robot sostituiscono i lavoratori, i redditi da capitale sostituiscono quelli da lavoro. Quindi l’unica soluzione stabile è redistribuire il capitale. Non è comunismo ma capitalismo da manuale di micro 1, in cui i lavoratori sono al contempo azionisti…bisogna trovare il modo meno drammatico per farlo.

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