La Catalogna gode già di una autonomia molto ampia. E infatti nelle elezioni i catalani non hanno mai dato la maggioranza ai partiti separatisti. Così come non è vero che la regione sia sfruttata economicamente dal governo centrale spagnolo.
Il popolo catalano e l’indipendenza
Domenica 1° ottobre è in programma il referendum sull’indipendenza della Catalogna promosso dalla Generalitat de Catalunya e indetto con una legge del parlamento della regione. Il quesito è semplice: “Volete che la Catalogna sia uno stato indipendente in forma di repubblica?” Il governo spagnolo considera illegale la consultazione, e la contrasta in ogni modo, anche con l’intervento della polizia.
Cerchiamo di fare chiarezza su alcuni punti della questione.
La Catalogna ha goduto e gode di una amplissima autonomia. Il governo locale (la Generalitat) è composta solo da catalani ed è competente su moltissimi settori, inclusi la sanità, l’istruzione e la polizia locale. I catalani, in Catalogna, possono tranquillamente vivere da “catalani”. Tutti i documenti ufficiali sono scritti in catalano. Si può vedere la televisione in catalano, moltissimi libri e film sono tradotti in catalano. I deputati catalani eletti al parlamento nazionale hanno diritto di utilizzare il catalano nei loro interventi. Il catalano è riconosciuto dallo stato spagnolo come una delle lingue ufficiali.
Forse anche in virtù di ciò, la maggioranza dei catalani non si è mai espressa per l’indipendenza da Madrid. Nelle ultime lezioni regionali (2015), diversi partiti separatisti si sono uniti in un’unica lista (JxSí) che ha ottenuto il 39,4 per cento dei voti e 62 seggi. I due partiti principali della lista sono gli eredi di CiU (Convergència i Unió) e Erc (Esquerra Republicana de Catalunya). Nelle precedenti elezioni del 2012 questi due partiti si erano presentati separatamente e avevano ottenuto complessivamente il 44,36 per cento dei voti e 71 seggi. Si può tranquillamente dire che l’unione non ha fatto la forza. Anzi, il CiU da solo nel 2010 aveva ottenuto il 38,47 per cento dei voti. Ma allora non era dichiaratamente separatista e ha più volte sostenuto governi nazionali a guida tanto del Partito popolare come del Partito socialista, quando questi due partiti non avevano la maggioranza assoluta in parlamento.
Per poter governare, JxSí si è così dovuta alleare con il partito antisistema Cup (Candidatura d’Unitat Popular) che alle elezioni del 2015 ha ottenuto l’8,2 per cento e 10 seggi. Quindi, il governo locale rappresenta meno della metà dei voti (47,6 per cento) e ha la maggioranza dei seggi solo per un gioco di ripartizione dei voti nelle varie circoscrizioni.
Riassumendo: l’attuale governo separatista non rappresenta la maggioranza dei catalani e la sua componente principale non ha un passato dichiaratamente separatista. Un plebiscito a favore del progetto indipendentista non si è mai verificato finora.
Il contesto nazionale
La Spagna, però, vive un momento politico molto complesso. Dopo decenni di bipolarismo quasi perfetto (il Pp e il Psoe si sono alternati al governo dal 1982 fino al 2015), le elezioni del 2015 sono state le prime senza un chiaro vincitore. Sono infatti quattro i partiti con una forte rappresentanza nel parlamento nazionale: Pp, Psoe, Unidos Podemos e Ciudadanos, e ciò ha provocato quasi un anno di impasse. Nel 2016, la Spagna è tornata al voto e il risultato è stato sostanzialmente lo stesso. Tuttavia, questa volta il Pp è riuscito a ottenere l’appoggio “esterno” di Ciudadanos e ha formato un governo di minoranza, che ha ottenuto la fiducia grazie all’astensione del Psoe, partito che a sua volta vive una grave crisi interna.
In questa situazione è molto difficile formare un fronte di “unità nazionale” contro il separatismo catalano. Le “fratture” del sistema politico centrale hanno in un certo senso favorito la deriva secessionista perché ognuno dei partiti maggiori nazionali ha cercato di utilizzare la situazione a suo vantaggio, impedendo una chiara presa di posizione del parlamento nazionale.
Tuttavia, la Costituzione spagnola, approvata nel 1978 anche dai catalani, non permette la celebrazione di un referendum sull’indipendenza di una regione senza il permesso del parlamento nazionale e per sola iniziativa del governo regionale.
Il referendum che si vuole celebrare il 1° di ottobre non ha ottenuto il visto del parlamento nazionale. E anche nel parlamento regionale è stato imposto dalla maggioranza alla minoranza, senza un dibattito parlamentare. Il Tribunale costituzionale lo ha dichiarato illegale del referendum ed è sulla base di questo pronunciamento che le forze di polizia (Policia Nacional e Guardia Civil) hanno cominciato a intervenire in Catalogna per impedire lo svolgimento del referendum.
La questione economica
I fautori dell’indipendenza sostengono spesso che lo stato spagnolo “sfrutta” economicamente la Catalogna.
Secondo i dati dell’Istituto Nacional de Estadística il Pil della Catalogna rappresenta il 18,77 per cento di quello nazionale, mentre la popolazione rappresenta il 15,98 per cento. Il contributo della Catalogna alle finanze dello Stato oscilla tra il 19 e il 19,5 per cento. La spesa pubblica che ricade nella Catalogna è tra il 14 e il 15 per cento. Se accettiamo la logica di un sistema progressivo (si contribuisce in base al reddito e si riceve in base alla popolazione), è vero che la Catalogna paga leggermente di più di quello che dovrebbe e riceve leggermente di meno, però riesce difficile qualificare le differenze come uno “sfruttamento” della Catalogna da parte dello Stato centrale. E la sua situazione è molto simile a quella della Comunidad de Madrid, come dimostra la figura 1.
Figura 1
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Savino
Invece di restare tutti uniti continuiamo a creare confini e muri, nazioncine e sub-nazioni.
Questo non è stato detto con la necessaria forza.
La stigmatizzazione si deve estendere anche al referendum fasullo indetto da Veneto e Lombardia.
Zaia, ad esempio, ci spieghi perchè non si sente indipendentista e secessionista quando, coi soldi di tutti gli italiani, vengono salvate Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza dalle gestioni spavalde del loro management.
Stefano
Suppongo che le banche da lei citate non siano state salvate per decisione della regione Veneto ma in virtù di una scelta Parlamentare Nazionale (vd. decreto salva banche). Il “rimanere uniti” è una condizione auspicabile e, dinanzi ai mercati globali, necessaria. Purtroppo in un gruppo di persone non legate da rapporti sentimentali, come potrebbe esserlo la famiglia, la solidarietà, se limitata nel tempo, gli aiuti reciproci (tralascio gli sprechi e le ruberie) e l’egoismo non imperante può durare; altrimenti accade quello che nella storia si è ripetuto innumerevoli volte e la favola della formica e della cicala lo insegna.
Luigi Boglioni
E’ tutto molto vero e la situazione è riportata con rigore. Si dimenticano però i pregressi storici che spiegano l’incompatibilità Governo Centrale/ Catalogna. Durante il franchismo, dopo i massacri compiuti a Barcellona, furono proibite tutte le manifestazioni di “catalanità” dalla lingua ai balli popolari e Barcellona fu tenuta anche dopo il franchismo, fino a quando risorse con le Olimpiadi dell’82, in una situazioni di manifesta oppressione. Il governo Centrale, ancora oggi molto franchista, non tralascia nessuna occasione per “offendere” la catalanità. vedi collegamenti ferroviari Barcellona Valencia mai realizzati. Per andare a Valencia da BCN con TGV bisogna passare per Madrid.
Tutto ciò premesso l’indipendenza catalana oggi sarebbe un grave errore, per la Catalogna stessa. Basterebbe che il Madrid mostrasse maggior rispetto, anche formale, nei confronti dei catalani, cosa che Madrid non farà mai.
Marco
Caro Luigi, la parola “oppressione” é molto forte e genera reazioni forti. E nostra responsabilitá usarla con le dovute cautele. Continuo a sostenere che é assolutamente inadeguata per descrivere la situazione catalana. I catalani possono votare chi vogliono sia alle elezioni nazionali sia alle elezioni regionali che si svolgono regolarmente. Possono manifestare le loro opinioni liberamente tanto a Madrid come a Barcellona. Possono fischiare il re quando va a assistere a una finale di coppa (salvo poi celebrare la vittoria di una coppa intitolata proprio al re…) senza nessuna conseguenza. Possono parlare catalano liberamente. E un mese che quando cerco di vedere il telegiornale mi passo mezz’ora leggendo sottotitoli perché i politici catalani parlano sempre in catalano. Chi ha visitato la Catalogna recentemente avrá visto che é una “Stato” fondamentalmente monolinguista catalano dove é tollerato l’uso dello spagnolo e non viceversa. “Oppressione” mi sembra proprio una parola che sicuramente era giustificata sotto Franco, ma non lo é nel 2017. Chiedo a chi la usa di sostentarla con esempi piú forti della mancanza di un collegamento ferroviario di alta velocitá tra Barcellona e Valencia. Questo collegamente non esiste nemmeno tra Madrid e Murcia, tra Murcia e Valencia, tra Badajoz e Sevilla, tra Sevilla e Valencia…
Leonardo Bargigli
Se gli indipendentisti sono minoranza, perché non lasciare che siano sconfitti dal voto invece che scegliere la strada della repressione poliziesca? Il comportamento del governo spagnolo è nella linea di approcci che normalmente vengono fragorosamente criticati dalla UE, come quelli di Erdogan. E’ o non è una contraddizione gigantesca?
Marco
Caro Leonardo, anche se posso essere d’accordo con lo spirito del tuo intervento, devo sottolineare la pericolositá di fare una votazione senza nessun tipo di garanzia sul fatto che si possa svolgere in maniera trasparente e libera. Non esiste censo elettorale. Non si sa ancora esattamente dove si potrá votare. Non si sa qual é il quorum minimo per dichiarare la votazione valida. Purtroppo é giá successo nel passato che in momenti di confusione politica una minoranza é riuscita a imporre il suo dominio scavalcando la legge e le regole e grazie alla permissivitá delle istituzioni. E una volta che questa minoranza controlla i gangli nevralgici dello stato, la maggioranza si puó “creare” attraverso la strategia dell’intimidazione e della menzogna.
María Laura Bufano
Mancando alcune informazioni importanti:
1- nel 2010 fu cancellato, su istanza del PP, da un Tribunale Costituzionale abbastanza “schierato” lo statuto di Catalogna varato dal governo Zapatero. Allora gli indipendentisti erano dal 10 al 15% dei catalani, ora son schizzati a più del 40% (vedremo domenica che succederà).
2 – Il Psoe non è affatto schierato con l’indipendentismo. Propone una riforma costituzionale chiaramente federale: in questo modo non sarebbe più consentito, con l’alternarsi di governi di destra e di sinistra, che si possa giocare con le autonomie secondo propri interessi di potere. Peraltro il Psoe è chiaramente schierato con la difesa della legalità costituzionale e vorrebbe una modifica della costituzione del 78 per via costituzionale.
3- In questi mesi Rajoy e il presidente e in vicepresidente della Generalidad di Catalogna hanno continuato a lanciarsi provocazioni. Il governo spagnolo non ha preso nessuna iniziativa politica e ora si affida ai tribunali. Questo rischia di far crescere molto l’indipendentismo.
4 – Il distacco della Catalogna dalla Spagna sarebbe probabilmente una tragedia innanzi tutto per la Catalogna. Però è utile capire le “ragioni irrazionali” delle spinte indipendentiste. Si parla molto poco di “interessi”, tasse ecc.; molto di lingue, tradizioni, enfatizzate quando non semi-inventate ecc.. Nella oggettiva condizione di ponte fra Oriente ed Occidente, molti catalani inclinano verso l’Europa, la Francia ecc.
bob
Il distacco della Catalogna dalla Spagna sarebbe probabilmente una tragedia innanzi tutto per la Catalogna. Però è utile capire le “ragioni irrazionali” delle spinte indipendentiste. Si parla molto poco di “interessi”, tasse ecc.; molto di lingue, tradizioni, enfatizzate quando non semi-inventate” ! No soltanto piccole mafie
Amegighi
Penso che tutte le cose e i fatti vadano analizzati con freddezza e raziocinio. Lasciamo gli slogan ai chi li vuole fare per produrre poi disastri da cui puntualmente, si dissocia non ritenendose responsabile.
Leggendo la Costituzione spagnola e le citazioni dell’articolo, tutto mi sembra, tranne che il Governo spagnolo sia sulla strada della repressione poliziesca e che la Carta spagnola sia simile a quella di Erdogan.
Forse Lei è più giovane di me, ma io ricordo come “repressione poliziesca” quello che succedeva nei Paesi ex-comunisti europei, nel Cile di Pinochet o nell’Argentina dei Colonnelli. Definire quello che ha fatto il Governo legittimo spagnolo in Catalogna come “repressione poliziesca” mi pare eccessivo e fuori luogo.
Piuttosto sarebbe ora di capire, politicamente e nei fatti, cosa intendono fare questi movimenti separatisti. Anche riguardo all’UE. Ad esempio come intendono la possibilità per i lavoratori di muoversi in UE? Come intendono la distribuzione dei fondi UE? Come intendono il fatto che la Ricerca scientifica UE sia centralizzata per renderla migliore e competitiva rispetto agli USA e Cina? Intendono l’UE come un insieme di Stati sempre più piccoli, ognuno dei quali in competizione con gli altri e di poco peso nel panorama internazionale? O intendono dirigersi verso una forma di federazione tipo USA per avere peso? Perchè questo è il problema principale. Avere peso o no.
Giovanni Dettori
Ai Catalani viene chiesto “Volete vivere bene con due pensioni ricche o sopravvivere male con una pensione minima”. Nessuno ha spiegato loro (come fece invece l’Inghilterra di Cameron con la Scozia) cosa vuol dire indipendenza da uno stato membro delle Unione Europea. Junker glielo ha detto in tutte le salse, ma tant’è…Concordo con quanto scritto nell’articolo e infatti, se io dovessi decidere farei pure fare questo benedetto referendum per finalmente stanare questi avventurieri al governo della Catalunha. In catalunha ci sono un sacco di Andalusi che non credo siano contenti di dover farsi fare un passaporto per andare a trovare i parenti in Andalusia. Il problema è che se il Governo in qualche modo accetta questo referendum, subito dopo c’è la fila della altre comunità spagnole (in testa i baschi) che vogliono fare lo stesso. La Spagna non può semplicemente cedere su questo punto. I più imbarazzati, comunque, sono i Socialisti che a lungo hanno flirtato con i separatisti Catalani mentre la loro base nazionale (Soprattutto la Andalusia) non sono per niente d’accordo (e ci credo, visto che Andalusia succhia risorse nazionali da sempre…).
Henri Schmit
Il referendum catalano solleva una serie di questioni: conviene alla Catalogna essere (più) indipendente dalla Spagna? La C ha il diritto di chiedere l’indipendenza? A quali condizioni potrebbe la C decidere l’indipendenza? Come gestire una rivendicazione d’indipendenza che si vorrebbe evitare? Sul primo punto sono d’accordo con l’autore, ma non spetta a noi decidere. Il secondo punto è relativo: NO secondo la costituzione spagnola, SI secondo i promotori dell’indipendenza; http://blog.juspoliticum.com/2017/09/18/crise-catalane-qui-a-suspendu-quoi-par-anthony-sfez/. siamo in mezzo a un dilemma che ripropone quello che gli studiosi chiamano l’aporia della sovranità. Per rispondere alla terza domanda si può sostenere che decisioni popolari su temi fondamentali come un cambiamento totale della costituzione, della sede della sovranità, dell’appartenenza a un ordinamento internazionale (cf. Brexit) non si possono prendere a una maggioranza stretta dei votanti, ma che serve una maggioranza più solida, durevole e calcolato sugli aventi diritto, tanto più se una parte di un insieme più grande intende imporre la propria scelta a tutti. A prescindere dalla sussidarietà l’UE deve difendere la sovranità degli stati (membri!). La quarta questione è molto ampia perché riguarda l’arte del convincimento; ma una cosa è certa: il confronto blocco contro blocco – come all’altro estremo un eccesso di indeterminazione e di ambiguità – non portano a nulla di buono, per nessuna delle due parti.
bob
Aporia = problema le cui possibilità di soluzione risultano annullate in partenza dalla contraddizione. La Catalogna è tutta una contraddizione sia in termini di numeri che di istanze ideologiche insensate
giuli 44
Credo che queste tendenze autonomistiche che percorrono diverse realtà Europee potrebbero trovare posto in una Europa riformata con un suo effettivo governo centrale in una federazione delle realtà regionali. Salterebbero i Governi Nazionali di stampo ottocentesco che si sono dimostrati, negli ultimi anni, solo di ostacolo ad una effettiva unità Europea. Ovviamente l’Italia non potrebbe presentarsi ad un simile appuntamento con le sue micro regioni.
giuli 44
E se gli ottocenteschi stati nazionali avessero fatto il loro tempo? Se le varie regioni (non le nostre micro regioni, ma finalmente le macro regioni) aderissero ad una Federazione Europea con veri poteri politici sulle materie comuni (difesa, fisco, politica estera, istruzione, ecc.) sul modello degli Stati Uniti D’America? Non si allenterebbero buona parte di quelle tensioni anti europeiste che montano in molte persone e partiti?
Marcomassimo
Se tutti si mettessero a fare i “conti della serva” nessuno potrebbe fare Stato con nessuno e si verificherebbero scissioni istituzionali a catena dentro lo stesso condominio; una entità statuale dovrebbe essere qualcosa di più di un mero fatto contabile; però in questa specifica fase storica si sono messi tutti quanti all’unisono a rivendicare un a qualche restituzione di quattrini ingiustamente sottratti oppure a minacciare divorzi non consensuali; il fatto è che la crisi sociale strisciante ed inespressa dell’Europa e non solo, fatta di bassa crescita, salari stagnanti, precarietà e flessione numerica del ceto medio, non potendo trovare soluzione nel contesto del presente apparato economico liberista e monetarista, si sfoga per vie traverse sul piano di rivendicazioni regionali o etniche; è un fenomeno sociale abbastanza elementare e prevedibile, di fronte al quale però i più sembrano stranamente bendati nella vista.
Redelf
Mi trovo molto d’accordo con quanto scrive giuli 44: gli stati-nazione nati con la pace di Westfalia del 1648 sono ormai una forma di gestione del potere che non funziona più. Questo perché gli stati nazionne sono troppo piccoli per gestire la globalizzazione e troppo grandi per risolvere le conseguenze che la globalizzazione ha portato a livello locale. Il nazionalismo è stato il cancro del XX secolo, speriamo non lo sia anche del XXI. L’Europa può tornare forte, anche economicamente, solo se si ristruttura in aree economico-culturali più omogenee di quelle attuali. Ciò significa stati più piccoli ma più efficienti, che godono di maggior consenso democratico dai cittadini, più attenti alla cultura e modi di vita locali, ovviamente federati ed aperti agli altri popoli e nazioni d’Europa. L’argomento economicista che uno stato piccolo ha meno forza economica o da malintesa realpolitik in cui esso non conterebbe nulla ha un senso limitato, quando piccoli stati riescono a mettersi in rete e condizionare le politiche a livello UE (es. il gruppo di Visegrad). Oggi ciò che fa la forza economica o politica è la capacità di apertura al mondo e quella di mettersi in rete. Ma ai dinosauri dello stato-nazione non basta vedere il meteorite che solca il cielo, evidentemente, per capire che il loro tempo è finito.
Alberto
Peccato che questo argomento trovi una refutazione sistematica nella cronaca quotidiana. La geopolitica dimostra che sono i megastati coesi e con un forte potere centralizzato quelli che impongono la loro volontà ai piccoletti ed alle coalizioni “arlecchino” come la UE. Citare il gruppo di Visegrad come esempio di forza condizionante fa sorridere, vista l’incapacità di esprimere alcuna posizione comune di rilievo al di là del prevedibile “mandate soldi”.
stefano fontana
Pienamente d’accordo. La follia catalana è sostenuta solamente da un revanscismo storico insensato, sull’onda delle invenzioni di Ildefonso Falcones, il quale ha avuto, per esempio, il coraggio di scrivere che Pietro d’Aragona, cui i magnati siciliani della guerra del vespro offrirono la corona, conquistò militarmente la Sicilia e, per giunta, che i siciliani furono sconfitti dagli almogaveri di Barcellona, quando, esattamente al contrario, quelli furono arruolati da Roberto d’Angiò e sconfitti dai siciliani, che catturarono Roberto. Poi, la miserabile entità del contributo netto che Barcellona versa a Madrid, rievoca la sinistra fama dei catalani per tutto il medio evo, sintetizzata dal poeta con la nota .
Alberto
Le nationalisme, c’est la guerre. (F. Mitterand)
e – aggiungo io – menzogna sistematica, indispensabile a costruire una mistica romantica, che – a sua volta – permette di giustificare la “superazione” delle regole del gioco democratico, ritenute come delle inique catene dalle quali il Volk deve liberarsi. Abbiamo già visto questo film e sappiamo come finisce.
stefano fontana
chiudevo, per la verità, con la frase l’avara povertà di Catalogna, che non risulta trascritta.