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Ma la Catalogna ha un futuro nella Ue?

Se la Catalogna lasciasse la Spagna, avrebbe meno peso politico in Europa e nel mondo? No, anzi avrebbe una maggiore influenza politica nella Ue. Certo, l’Unione potrebbe rifiutarsi di riammetterla tra gli stati membri. Ma è una minaccia poco credibile.

Globalizzazione e domanda di autonomia

La crisi politica e istituzionale che si è sviluppata in questi giorni in Spagna con il referendum indipendentista della Catalogna è un altro esempio di come la globalizzazione aumenti la domanda di autonomia e la spinta verso la decentralizzazione.

Le ragioni furono spiegate nel 2011 da Alberto Alesina, Enrico Spolaore e Romain Wacziarg in un visionario articolo dal titolo “Economic Integration and Political Disintegration”. In estrema sintesi, la liberalizzazione degli scambi internazionali e la creazione di un nuovo ordine politico ed economico mondiale riducono i benefici dell’essere parte di uno stato nazionale di grandi dimensioni. Il motivo è che con la globalizzazione si guadagna l’accesso al mercato mondiale, quindi l’accesso a quello nazionale è relativamente meno importante. Ma ci sono costi nell’appartenere a uno stato grande? Sì, e questi non si riducono. Per la Catalogna, consistono nel subire la sovranità di Madrid, pur avendo profonde differenze economiche e culturali con il resto del paese.

Qual è il peso politico di Barcellona nella Ue

Si potrebbe contro-argomentare che qualora lasciasse la Spagna, la Catalogna avrebbe meno peso politico in Europa e nello scenario internazionale. Cercherò qui di dimostrare che questo non è vero. La ragione è proprio l’appartenenza all’Unione Europea, che per il momento do per acquisita.

È possibile “misurare” il peso politico di un paese nell’Ue? Si tratta di un concetto vago, spesso ritenuto non-quantificabile. Tuttavia, nel 1954 Martin Shubik e Lloyd Shapley (quest’ultimo insignito del premio Nobel nel 2012) proposero di misurare il potere politico con la probabilità di un paese di dare il voto decisivo, quello che permette a una coalizione di paesi di raggiungere la maggioranza richiesta. Quindi misurarono il potere con un valore percentuale. La forza di questo metodo consiste nel fatto che deriva da un approccio “assiomatico” e si fonda su ipotesi assolutamente ragionevoli. In altre parole, è difficile sostenere che abbia dei difetti. In un lavoro con il mio coautore Jason Barr (“Who has the Power in the EU?”, Mathematical Social Sciences, 2009, 57/3), abbiamo misurato il peso politico dei membri della Ue, dopo che il nuovo sistema di voto a doppia maggioranza è entrato in vigore nel Consiglio della Ue. Il sistema dà molto peso ai paesi più grandi, perché il potere di voto riflette la loro popolazione. Però dà peso anche ai paesi piccoli, perché per raggiungere la maggioranza occorre che un minimo numero di stati siano d’accordo.

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Vediamo cosa succede con questo sistema di voto alla Catalogna. Oggi la Spagna, con 42 milioni di persone inclusa la Catalogna, ha un potere di voto pari all’8 per cento. I catalani sono circa un sesto della popolazione. Se la Catalogna fosse indipendente, con i suoi 7 milioni di abitanti e un proprio voto in Consiglio, avrebbe un potere in Europa di circa il 2 per cento. Quindi l’influenza politica in Europa dei cittadini catalani aumenterebbe del 50 per cento se a rappresentarli fosse direttamente Barcellona invece di Madrid. A questo si aggiungerebbe il fatto che Barcellona userebbe il suo peso per difendere gli interessi dei catalani, facendo meglio di quanto oggi faccia Madrid.

Sarà ancora uno stato membro

Essere piccoli e autonomi conviene, perché ci pensa l’Europa a difendere i propri interessi nello scenario internazionale e perché il proprio peso in Europa di fatto aumenta, grazie al sistema di voto nel Consiglio dei ministri della Ue. Vale non solo per la Catalogna, ma anche per le regioni dei paesi membri in cui spinte autonomiste sono alimentate da diversità culturali ed economiche. Ci sarebbe quindi da aspettarsi che le tensioni verso la frammentazione si ripetano sempre più frequenti in futuro. Ma l’Europa e i suoi stati nazionali non possono permettersi la frammentazione. Ecco perché i Trattati prevedono che se una regione raggiunge l’autonomia, allora viene di fatto esclusa dall’Unione e può rientrare solo se l’unanimità dei membri è d’accordo, compreso il paese da cui quella regione si è staccata. Nel caso della Catalogna, la riammissione alla Ue richiederebbe il voto favorevole della Spagna.

Molti ritengono che la Spagna voterebbe contro per ritorsione e che il resto dell’Unione la supporterebbe per non creare pericolosi precedenti. Ma sarebbe davvero così? Potremmo davvero immaginare uno scenario in cui la Catalogna viene tenuta fuori dall’Unione Europea solo perché ha voluto staccarsi dalla Spagna? Personalmente trovo difficile crederlo. All’Europa converrebbe avere la Catalogna come membro, piuttosto che avere una seconda Svizzera. Molto più verosimile è che si tratti solo di una minaccia (in sé poco credibile) fatta per aumentare l’incertezza attorno allo scenario della secessione della Catalogna, e per prevenire pericolosi effetti di imitazione.

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24 commenti

  1. Bruno Gibbardo

    Mi sembra un argomento un po’ tecnicistico per sostenere le istanze di indipendenza catalane. In pratica si sostiene che organizzare un referendum, dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale spagnola, in sfida aperta alle leggi spagnole, non riconosciuto da nessuna organizzazione internazionale, e quindi dichiarare l’indipendenza unilaterale, sarebbe una sagaccissima mossa (popolare) per aumentare il peso nelle istituzioni europee dall’1 al 2%. Violare le leggi spagnole (la Costituzione è anche dei Catalani) per cavillare sui regolamenti europei? Se così fosse i Catalani sarebbero proprio sprovveduti! Chi li scrive i regolamenti europei, i piccoli stati da 5-10 milioni di abitanti? Si fa qualcosa senza Francia e Germania? A me sembra che la Brexit, l’indipendenza catalana, la crisi belga, le istanze pseudosecessisioniste italiane… se tutte avessero successo lascerebbero uno scenario di mini-stati polverizzati e ininfluenti intorno al gigante franco-tedesco (un po’ come l’effetto che esercita Giove sulla fascia di asteroidi o Saturno sui suoi anelli). Questo scenario mi sembra già presente a est: ex Jugoslavia, ex Cecoslovacchia, ex Ucraina tra un po’… L’Europa così configurata non può essere un modello perché sarebbe l’Europa delle periferie e dunque delle disuguaglianze. D’altra parte stati fortemente unitari e centralisti come la Francia non favorirebbero mai processi di devolution interna, per bilanciare il potere verso gli stati più piccoli, perché non conviene.

  2. giuli 44

    Fermo restando che, viste anche le condizioni in cui si è svolto il referendum, la dichiarazione di indipendenza sarebbe effettuato con un voto minoritario (il 90% del 42% dei votanti), la secessione della Catalogna è VS la Spagna, non VS Europa. E se gli ottocenteschi stati nazionali avessero fatto il loro tempo? Se le varie regioni, anche transfrontaliere, (non le nostre nano regioni, ma finalmente le macro regioni) aderissero ad una Federazione Europea con veri poteri politici sulle materie comuni (difesa, fisco, politica estera, istruzione, ecc.) sul modello degli Stati Uniti D’America, con l’abolizione dei vari Stati “nazionali”? Non si allenterebbero buona parte di quelle tensioni anti europeiste che montano in molte persone e partiti?

    • Marcomassimo

      Gli Stati Uniti sono un melting pot storico e naturale e si parla una sola lingua, l’inglese; l’europa è un mosaico di nazionalità millenarie, è una babele linguistica e, per di più, ha in sè differenze di reddito medio di 1 a 20 tra le aree economiche più estreme; per fare un paragone in Italia, che è gia nota come terra di contrasti, la differenza fra nord e sud è di 2 a 1; a 150 anni dalla unità. Anche ipotizzando una europa federale i problemi non si allevierebbero: uno stato federale comporta una moneta unica e delle forme di trasferimento più o meno cospicue da regione a regione; a meno che non si verifichi una crescita economica costante ed equilibrata sia fra ceti sociali che fra regioni, in una compagine eterogenea la tentazione di buttare le colpe dello stecchetto sociale sugli altri sono sempre spiccate; e se lo sono per regioni che sono ad un tiro di schioppo e in cui le differenze antropologiche sono solo sfumature, figuriamoci come lo possono essere quando una regione vede il sole a mezzanotte mentre l’altra ha un caldo africano. La tendenza alla disgragazione sarebbe sempre presente, assieme al rancore e alle susseguenti rivendicazioni per le differenti impostazioni economiche o per il valore della moneta o almeno, come succede da noi, per i trasferimenti da regione a regione che “impoveriscono” le regioni più ricche: comunque la rigiri il malessere sociale si incrocia con quello etnico generando miscele esplosive di “tutti contro tutti” generalizzato.

  3. bob

    ” Il motivo è che con la globalizzazione si guadagna l’accesso al mercato mondiale, quindi l’accesso a quello nazionale è relativamente meno importante” Passarelli questo che Alesina sostiene è pura utopia. Basta analizzare i blocchi geo-politici della globalizzazione stessa. USA, Cina, India, Brasile a fronte di simili giganti quello che Alesina sostiene circa “l’accesso ai mercati” a me viene da ridere. Il punto è solo uno: come creare un blocco europeo o Stati Uniti d’ Europa chiamiamoli come vogliamo per “gareggiare” sul mercato del mondo. La Catalogna come altre cosidette ” minoranze” non sono altro che “interessi privati localistici in atto pubblico” lo dice anche lo scarso risultato ottenuto dalla farsa del referendum. Stride di per sé il concetto di gareggiare con tutto il mondo facendo castelli con il fossato e coltivando il proprio orticello.

  4. Michela Nardo

    Gentile prof. Passarelli, che la Spagna non ostacoli il rientro della Catalunya è tutto da vedere. Le ricordo che la Spagna non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kossovo e che si è opposta fermamente al rientro della Scozia nell’Unione Europea. Che cosa possa arrivare a fare la Spagna è chiaro: sta mandando l’esercito. E questo non è sintomo di ragionevolezza né di acume politico. Nell’altro lato, a proteggere un sentimento anti-spagnolo profondamente radicato nella popolazione ma che non ha riscontro storico (la Catalunya non è mai stata una nazione, anzi: Contea del regno di Arago’ è stata la protagonista della creazione del regno di Spagna alla fine del 400) ci sono un miscuglio eterogeneo di forze politiche prevalentemente di impronta anti-capitalista, con poche idee e nessun progetto economico serio, molto interessate a legare la loro permanenza al potere alla bandiera rivoluzionaria, quindi interessate a spingere il governo di Rajoy a gesti estremi. Insomma tutti gli ingredienti per un pessimo finale.

  5. Savino

    Il popolo ha il dovere di manifestare il malcontento col suo vero nome e non può nascondersi dietro patriottismi e campanilismi di facciata. I problemi sono quelli della crisi, della disoccupazione, della corruzione, della eccesiva burocrazia.
    Si abbia il coraggio di scendere in piazza per questo e si lasci perdere la geografia che, con tutto questo, non c’entra nulla.

  6. Giuseppe G B Cattaneo

    Condivido totalmente l’analisi del professor Passarelli, con una precisazione. Le istituzioni statali stanno diventando un doppione delle istituzioni europee (o viceversa) e quindi sono percepite sempre di più come un costo al quale non corrisponde nessun servizio. Le regioni con una tradizione di indipendenza come la Catalogna, la Scozia, etc. sono quelle dove, anche in conseguenza della crisi economica, questa percezione è maggiore.

    Mi sembra evidente che il problema non sia la tendenza a trasferire le competenze statali alle macroregioni economiche, ma la mancata presa di coscienza dell’esistenza del problema. In parole povere o si fa l’Europa, e allora si deve dare spazio alle nazionalità regionali, riducendo il peso degli Stati, o si trova un modello federativo fondato sugli Stati nazionali nel quale l’Europa conti meno e costi meno.

    • gregorio ignazi

      Non capisco quale ulteriore spazio si possa dare alle “nazionalità regionali”, almeno non nel caso Catalano. L’autonomia di cui gode la Catalogna non ha pari in Europa ed è pressochè totale (per lingua, competenze, polizia, economia) e ben poco si può aggiungere (salvo l’indipendenza). Invece di portare questo come esempio di regionalismo positivo, si vuole alimentare una nuova era di separatismi che l’Europa di oggi non solo non è pronta ad affrontare, ma che non può tollerare visto che non è mai stata pensata come una federazione di regioni.

      • Giuseppe G B Cattaneo

        Se l’UE serve agli Stati nazionali semplicemente come un mercato allora l’Europa è costosa e inutile, se si vuole più Europa allora è necessario che gli Stati in quanto tali deperiscano lasciando alle regioni ed alle comunità più spazio. Quale strada scegliere? non lo so, ma so che così come è oggi l’UE non funziona, è un costo inutile, che potra diventare insostenibile creando situazioni catalane, ungheresi, fiamminghe, etc. difficili da governare

  7. Francamente questo articolo mi sembra condizionato da un’ideologia di sfondo. Tanto per dirne una: definire “impossibile trovare difetti” in un algoritmo che calcola il peso politico di un paese nell’UE in base ai meccanismi di voto è talmente ingenuo da sfiorare il grottesco (provate a dirlo alla Merkel che il peso della Germania nell’UE è quello calcolato dall’algoritmo).
    La verità a me pare che sia che l’autore favorisce il regionalismo per principio, dando per assunto che gli interessi dei catalani possano essere meglio difesi se non soggetti a mediazione, e poi “ridimostrando” l’assunto.
    Purtroppo questo modo di ragionare non solo indebolirebbe gli stati nazionali, di cui all’autore nulla interessa, ma la stessa UE, estenuata da processi decisionali sempre più ingestibili, con le regioni che pretendono di pesare come staterelli e paralizzare ancor più la già farraginosa Europa (v. la vicenda della Vallonia).
    Veramente questo livello di approssimazione sarebbe da lasciare ai quotidiani online.

  8. stefano fontana

    Insomma, non è in alcun modo spiegato il motivo per cui il diniego della Ue all’ingresso della Catalogna sarebbe poco credibile. Vorrei proprio sapere sulla base di quale logica la Spagna voterebbe per la riammissione dei catalani.

  9. Henri Schmit

    In qualche misura l’UE bluffa, perché una Catalogna indipendente non potrebbe stare a lungo fuori. Non vedo l’alternativa CH, che non è una minaccia per l’UE ma semmai un rischio per la Catalogna. Però anche la Catalogna bluffa. Non ci sarà alcuna indipendenza da Madrid (a meno che la Spagna ridivenga una dittatura). Contrariamente a quello accaduto in UK con la Brexit, i Catalani capiranno presto che una vera secessione avrebbe più costi che benefici. La bolla presto si sgonfierà per ragioni di convenienza. Gli ingenui a Barcellona e i duri a Madrid ne usciranno male. Manca una teoria democratica delle autonomie e dell’autodeterminazione. Serve un potere superiore per fare rispettare eventuali regole. Sarà pensabile all’interno dell’UE, ma solo fra decenni, per il momento il potere vero è nelle mani degli stati nazionali, e prima di avere un ombrello superiore sicuro, faremo bene perfezionare la democrazia nello stato. I paesi vincitori saranno quelli efficienti, economicamente e democraticamente. Forse la Catalogna è attrezzata meglio della Spagna. L’Italia invece per ora è perdente su entrambi i registri.

    • Giuseppe G B Cattaneo

      Infatti il problema nasce dalla crisi economica e dall’involuzione dell’autonomia catalana durante i governi del partito popolare. Adesso è diventata una questione di principio che mette in discussione l’Unione Europea, che come sempre si rivela incapace di mediare. Questo è il vero problema: a cosa serve questa Europa?

      • Henri Schmit

        A che cosa serve l’Europa? L’UE serve AGLI STATI NAZIONALI per creare un grande mercato con benefici per tutti i cittadini e promuovere un certo numero di politiche comuni a vantaggio di tutti i cittadini. Non si occupa di tutto, e vige sempre il principio di sussidarietà. Se i singoli stati sono inefficienti (al loro interno o nella definizione delle politiche europee) i cittadini farebbero bene prendersela con i loro governanti, invece di biasimare Bruxelles dove detta legge il Consiglio dell’UE (ministri) sotto l’impulso del Consiglio europeo (capi di stato e di governo) (e in una certa misura insieme al PE). PS Con questo non ho detto che sono soddisfatto dell’UE.

        • Giuseppe G B Cattaneo

          Se l’UE serve agli Stati nazionali per creare un grande mercato allora è meglio che ci sia “meno Europa”. Se viceversa si vuole più Europa allora gli Stati nazionali devono dimagrire. Il mio concetto era questo. Sull’insoddisfazione concordiamo.

          • Henri Schmit

            L’Europa dei 6 si chiamava CEE e mercato comune (MC). Oggi fra UE e UK si discute come salvare almeno il MC con l’UK. Non esiste alcun mercato senza un’autorità che lo (crei e) regoli. L’€ è un approfondimento del MC. Il mercato è uno strumento, non un fine, né un’autorità. Quello era il patto iniziale confermato ad ogni allargamento, delle politicche comuni e dei paesi membri. Quello che l’UE ha sbagliato è di scommettere su “an ever closer union” allorché servirebbero forse regole che permettano a chiunque di uscire – più facilmente rispetto a quello che sucede ora con l’UK.

  10. Henri Schmit

    Ecco un estratto del lavoro del prof. Passarelli con Jason Barr citato nell’articolo pubblicato nel lontano 2006:
    Conventional wisdom holds that France and Germany, for example, are the big “players” in the EU arena. This is simply true from an a priori consideration due to their having the largest number of votes and consequently the largest Shapley-Shubik indices. But why is the same power not conventionally assigned to Italy and United Kingdom, who have the same weight in the Council?
    Saltando il lavoro econometrico degli autori, provo a dare una risposta intuitiva: l’UE è stata creata, sviluppata e continua a essere difesa da un patto preliminare fra F e D. Due giorni dopo le elezioni tedesche Macron parlando alla Sorbonne ha proposto alla D un nuovo trattato dell’Eliseo da firmare il 22 gennaio per rifondare l’UE. Qualche giorno dopo ha aggiunto (senz’altro dopo proteste diplomatiche) che anche l’Italia è un pilastro importante dell’UE (…). Chi è (per interesse, per convinzione, per tattica) allineato sulle scelte del binomio F-D sembra avere un peso maggiore nelle decisioni, chi rema contro, il contrario.
    Il fatto che, nonostante l’accordo UE per la ponderazione dei voti, le regole di decisione (a maggioranza appunto ponderata) danno più potere ai paesi membri piccoli, è per tutti gli stati membri una ragione in più per NON consentire né alla Catalogna né a nessun altra regione di uno stato membro di accedere all’UE come stato indipendente.

  11. gregorio ignazi

    Trovo l’analisi del Prof. Passarelli alquanto superficiale. Ad esempio non cita il problema di sostenere dei costi fissi da parte di un neo stato indipendente (burocrazia, esercito, infrastrutture, trasporti) ora tutte coperte dallo Stato centrale. Non si cita il problema di eventuali dazi che la Spagna potrebbe imporre alle merci catalane (se fuori UE) o (se dentro UE) ad un boicottaggio naturale da parte degli spagnoli (che sono i principali acquirenti di merci catalane). Né cita il problema del costo del debito catalano che molto probabilmente aumenterà in tale scenario. Pertanto, fuori o dentro la UE, non credo che a nessun nuovo stato piccolo e autonomo convenga un’indipendenza di questo tipo. Oltretutto questo spirito separatista credo contraddica quello europeista

  12. Michele Lalla

    L’argomento è coinvolgente, perché non siamo estranei a tale pericoloso fenomeno, e i sagaci commenti lo dimostrano. Mi fermo su un solo punto. L’autore dà per acquisito l’ingresso della Catalogna nell’UE. Se fosse cosí facile entrare, la Scozia starebbe già dentro; la Corsica si staccherebbe dalla Francia (lo vede possibile?), il Belgio si spaccherebbe in due (almeno, Vallonia e Fiandre?), eccetera. Da un lato, c’è una ragione politica di integrità nazionale che spinge a contrastare il fenomeno. Dall’altro lato, ci potrebbe essere la convenienza dell’asse franco-tedesco a polverizzare gli altri e spadroneggiare. Penso, tuttavia, che questa sarebbe una visione miope e ignorante la storia, perché le spinte secessionistiche stanno anche dentro di loro, solo che ora non affiorano a sufficienza. Che autorità avrebbe una UE regionalizzata? Una bella domanda, tra tante altre inquietanti e complesse.

  13. Carlo

    “Difficile sostenere che abbia difetti”?
    Le percentuali che lei cita hanno una qualche validità nel caso in cui un singolo paese faccia da ago della bilancia.
    Il suo ragionamento ignora completamente altri punti fondamentali: per qualunque argomento che stia più a cuore alla Catalogna che al resto della Spagna e dell’UE, la Catalogna ha più probabilità di influenzare le politiche europee facendo parte della Spagna che da sola. Ipotizziamo, tiro ad inventare, che una specifica normativa danneggi in maniera notevole quasi solo il porto di Barcellona. Io credo che sarebbe più facile per la politica catalana influenzare Madrid che Bruxelles, il che fa una notevole differenza perché il potere contrattuale e diplomatico di Madrid resta superiore a quella della sola Barcellona; inoltre Madrid avrebbe interesse a proteggere i lavoratori e le relative entrate fiscali se il porto di Barcellona continua a far parte della Spagna, altrimenti che gli interessa?
    Concnetrarsi in maniera così sterile su numeri e percentuali è l’atteggiamento tipico degli economisti che scambiano la matematica per la fisica, e gli esseri umani per dei protoni – peccato che gli esseri umani non obbediscano ai modelli degli economisti come i protoni obbediscono ai modelli dei fisici.

  14. Dario

    mi permetto di sottolineare un’incongruenza logica nel paragrafo “sara’ ancora uno stato membro” di questo non riuscitissimo articolo di Francesco Passarelli.
    1. si dice che l’Europa e i suoi stati membri non possono permettersi la frammentazione, quindi manca il movente politico, economico ed organizzativo per accettare uno stato neonato e poco influente nell’UE
    2. si dice che i Trattati disciplinano in maniera chiara l’ingresso di uno stato secessionista nell’EU e si dice che molti ritengono (probabilmente anche lo stesso Passarelli) che la Spagna voterebbe contro l’ingresso della Catalogna in Europa, quindi manca il supporto legale all’ingresso della Catalogna in Europa
    3. quindi e’ probabile che la Catalogna indipendente entri immediatamente in Europa… mah
    oltretutto adducendo come ragione di realpolitik il fatto che la Catalogna rappresenterebbe un’altra Svizzera, senza rimarcare che la Confederazione Elvetica esisteva ben prima della fondazione della CEE, che di entrare in Europa non ci pensa nemmeno e che ha fatto della sua storica terzieta’ ed indipendenza rispetto al resto del mondo la sua principale ragione di esistere

    • bob

      la storia non si fa con i se e con i ma. La Catalogna non è la Svizzera che ha ben altra Storia e ben altre risorse. Un manipolo di avventurieri come se ne vedono in questi ultimi anni…che passata questa buriana cadranno nell’oblio con conseguenze economiche per il territorio nefaste e che già si intravedono

  15. Eugenio Bevilacqua

    Cominciamo con l’essere precisi: la Spagna ha 46,5 milioni di abitanti, non 42 come riporta l’articolo. Gia’ questo dato altera il computo tecnicistico fatto dall’autore.

  16. Marco

    Con questi argomenti arriveremmo a una Europa di 30/40 paesi (si potrebbero indipendizzare la Lombardia, i valloni, forse la regione di Parigi, Monaco…). Potrebbe funzionare una UE con 40 paesi? Secondo, gli uomini e i politici non sono solo Econs. Io vedo molto difficile che la Spagna autorizzi il rientro nella UE di una Catalogna indipendente per ragioni che van ben al di lá del semplice calcolo economico e della razionalitá.

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