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Tra comuni la fusione è fredda

Sono quindici i referendum in programma a fine ottobre per la fusione di comuni. Gli incentivi statali e regionali sono rilevanti, ma non bastano. È fondamentale costruire il consenso facendo comprendere ai cittadini i vantaggi di simili operazioni.

Scende il numero dei comuni

Il 22 ottobre non si voterà solamente per l’autonomia di Veneto e Lombardia. Nella stessa giornata (e in quella del 29 ottobre), infatti, si terranno i referendum per la fusione di 43 comuni (38 delle regioni ordinarie e 5 del Friuli Venezia Giulia).

Nel corso del 2017, i referendum per la fusione sono già stati nove, con esito positivo in cinque casi. E quindi il numero dei comuni italiani continua a scendere, anche se molto più lentamente rispetto ad altri paesi europei, come descritto in una recente pubblicazione dell’Ocse. La stessa Francia con i suoi 35mila comuni – in realtà poveri di funzioni e quasi tutti inseriti in associazioni intercomunali – è riuscita in un solo anno a fondere tra loro più di mille amministrazioni locali.

I quindici referendum in programma a fine ottobre in Piemonte, Lombardia, Toscana e Calabria (più 2 in Friuli Venezia Giulia) interesseranno oltre 140mila abitanti. Come si può vedere nella tabella 1, se escludiamo il caso calabrese (77mila abitanti per Corigliano-Rossano), si tratta di aggregazioni di piccola-media dimensione, comprese tra i 500 abitanti scarsi di Val Cannobina e i 15mila di Casentino La Verna.

Sulla base della nostra analisi, gli incentivi destinati alle fusioni sono molto rilevanti. In termini pro capite, in 12 fusioni su 15 il contributo oscilla tra 100 e 180 euro, ma nelle realtà più piccole si superano addirittura i 400 euro. Se rapportiamo gli incentivi alle entrate correnti, la quota del contributo statale varia dal 4 al 25 per cento, ma è quasi ovunque superiore al 12 per cento. Per favorire i percorsi di fusione, la legge di bilancio 2017 ha innalzato gli incentivi (per un periodo di dieci anni), portandoli dal 40 al 50 per cento dei trasferimenti statali, con una soglia massima di 2 milioni di euro.

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Come accelerare il percorso

La rilevanza economica degli incentivi, quindi, non si discute. Tuttavia, il successo del referendum si gioca su altri campi, altrimenti non si spiegherebbe il fallimento di numerose consultazioni. Qual è l’idea progettuale per il nuovo comune? Quali sono le iniziative da sviluppare insieme, rese possibili solamente dall’unione delle forze? Sono questi gli interrogativi cui dare risposta e rispetto ai quali i contributi statali (e regionali) diventano uno strumento. E deve essere questo l’oggetto del percorso di partecipazione, fondamentale per raccogliere e consolidare il consenso.

Come, d’altro canto, è sempre più importante monitorare la fase successiva alla fusione (interessante in tal senso il percorso dell’Emilia Romagna), per descrivere i tanti progetti realizzati dai nuovi comuni istituiti a seguito di fusione.

Serve però una spinta riformista maggiore per accelerare il percorso di riorganizzazione delle istituzioni locali. Incentivi a parte, il consenso locale va costruito con un’importante operazione culturale condotta anche su base nazionale.

D’altro canto, le interdipendenze tra aree contigue che valicano i tradizionali confini amministrativi – il concetto di coalescenza territoriale definito da Antonio Calafati – testimoniano la necessità di individuare una scala territoriale adeguata per la programmazione dello sviluppo. Al tempo stesso, il sottodimensionamento degli enti locali rappresenta la principale causa dell’inefficienza e inefficacia nella gestione dei servizi.

In questo senso, allora, la fusione dei comuni è un modo per rendere più competitive anche le istituzioni locali, mettendole nelle condizioni di governare le trasformazioni in corso nella società e nei sistemi economici. È una strada che il nostro paese dovrebbe percorrere, se vuole imboccare con decisione la via della crescita.

Tabella 1 – Le fusioni di comuni oggetto di referendum a ottobre 2017: stima degli incentivi dello stato (euro).

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat e ministero dell’Interno.

* nel Comune di Chiusi della Verna si terranno due referendum per altrettante proposte di fusione (“Casentino La Verna” e “Chiusi Verna Chitignano Castel Focognano”).
(1) attualmente è pari al 50% dei trasferimenti statali del 2010.
(2) riferite al rendiconto 2016.

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Scomode verità sul referendum per l’autonomia

  1. Articolo molto interessante, perchè fa luce su un fenomeno poco attenzionato ma nel contempo strategico per il percorso di riorganizzazione delle istituzioni locali. Segnalo inoltre un piccolo refuso contenuto nella frase: “Nel corso del 2017, i referendum per la fusione sono già stati noce,….”

    • Mario Capalbo

      Si dovrebbe entrare nell’ oggettività delle cose, Corigliano Rossano i soldi statali e regionali sono arrivati? Se si cosa ne hanno fatto? Dopo 5 anni ancora si paga l Imu su due piani differenti, perché? La razionalizzazione della spesa, nonché il decentramento dei servizi e uffici, perché privilegia una parte del territorio?E in corso una raccolta firma referendaria per un nuovo comune, la regione cerca di affossarlo con un articolo 8 del 22 dicembre, Perché?Per quanto riguarda l identità del luogo, sembra che il nuovo soggetto ibrido non ha scalfito nulla,in fine le periferie sono abbandonate a cosa passa il convento. Un articolo sul mio punto critico sarebbe verità contro i tanti che col faremo, diremo, avremo, illusioni che stanno minando la pace cittadina

  2. Alfonso Salemi

    Non riesco a comprendere perché si debba fare un referendum per unire i comuni appartenenti alla stessa Provincia. Non ci vuole molto a comprendere che la miriade di piccoli comuni appartenenti alla stessa Provincia non sono altro che distaccamenti della Provincia stessa, una sorta di quartiere di una città metropolitana.
    I vantaggi ottenibili sono innumerevoli e altrettanto i risparmi. Non ci vuole molto a capire che i veri comuni sono i capoluoghi di provincia.
    Molto spesso la fine di un comune e l’inizio di un altro comune è rappresentato da un cartello.
    Dalla tabella pubblicata si constata che alcuni comuni che chiedono di unificarsi hanno una popolazione inferiore a 1000 abitanti ed è oggettivamente ridicolo avere sindaco, consiglio comunale, giunta, assessori per comunità così piccole. Le comunità più grandi, come quella indicata nella tabella, potrebbero essere elevate a capoluogo di provincia. Formulo un cordiale invito ai valenti relatori a produrre uno studio approfondito e autorevole su uno scenario che comprenda tante città metropolitane quante sono le attuali Province.
    Nei piccoli e piccolissimi comuni si potrebbero eleggere i rappresentanti delle comunità con prerogative limitate in base al numero di abitanti e all’importanza del comune stesso.
    L’operazione di accorpamento dei piccoli comuni di una stessa provincia dovrebbe essere effettuata con una legge dello Stato anziché favorita attraverso referendum.

  3. Federico Leva

    Un settore in cui la fusione o creazione di comuni potrebbe avere un maggiore impatto è l’informatica. Ne è esempio il comune di Lampano, la cui amministrazione intende creare un’infrastruttura digitale efficiente e sostenibile (quindi necessariamente in software libero) come previsto dal codice dell’amministrazione digitale, ma ha trovato in questo ben poco appoggio dall’AgID a ciò preposta: http://www.ils.org/comune-from-scratch

  4. VANNI PANCALDI

    Per capire l’efficacia reale il tutto poi misurato anche ex-post, per misurare oggettivamente se si sono raggiunti i risultati voluti a parte i soldi che il potere centrale destina alle fusioni. Nessuno ha ancora pubblicato seri studi del costo globale delle fusioni, somma di costi/vantaggi economici e sociali e di riduzione/aumento della partecipazione e controllo popolare sull’agito delle giunte sempre più lontane anche geograficamente dalle popolazioni.La mia esperienza a livello delle unioni intercomunali è stata negativa sopratutto economicamente e come livello dei servizi e le prime fusioni non risulta abbiano nemmeno diminuito i carichi fiscali come sempre ampiamente promesso. Indagare sul campo dopo le fusioni e non solo teorizzare prima è indispensabile.

    • Alberto

      Può spiegare in che senso ha avuto un’esperienza negativa? Come è possibile che i servizi messi in comuni risultino più costosi di prima? Sulla questione della vicinanza geografica, siamo nel 2017 ed esistono cellulari, auto (pure troppe), internet e via dicendo; spetta ai politici muoversi e andare a guadagnarsi i voti, non ai cittadini

  5. Savino

    Come si può garantire servizi decenti ai cittadini se si è sotto i 20.000 abitanti?
    E, poi, ci fosse un sindaco che, dopo essersi lamentato dei tagli, consegna davvero la fascia e le relative competenze.

  6. Alberto

    Dobbiamo arrivare quanto prima a 1000 comuni, per avere delle masse critiche decenti..
    Per fare ciò, prima o poi si dovrà procedere per decreto. La volontarietà è ben accetta, ma non basta, i tempi sono troppo lunghi.

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