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Paradossi italiani: pochi laureati e poco pagati

L’Italia ha la metà dei laureati rispetto alla media degli altri paesi Ocse. E quei pochi hanno salari bassi. Un risultato dovuto alla preferenza per le facoltà umanistiche. Ma anche ai tagli a risorse e docenti registrati nell’università italiana.

Laurearsi non rende

L’ultimo rapporto dell’Ocse Education at a glance evidenzia una serie di criticità riguardanti il nostro sistema universitario, molte note, alcune meno indagate.

Tra le più note, nel Country Note dedicato all’Italia si sottolinea la bassa quota di laureati nella popolazione adulta (18 per cento), la metà della media Ocse (37 per cento). Nonostante i notevoli progressi in termini di ampliamento del nostro sistema terziario, sintetizzati dall’aumento di 16 punti percentuali (dal 10 al 26 per cento) della quota di laureati sulla popolazione dei 25-34enni registrato dal 2000 a oggi, la distanza rispetto alla media Ocse si mantiene elevata (17 punti percentuali) anche nella popolazione giovane.

Lo studio imputa la bassa propensione a intraprendere gli studi universitari in Italia ai bassi rendimenti attesi dell’istruzione terziaria, rispetto a costi (diretti) che, pur essendo relativamente contenuti rispetto ad alcuni paesi Ocse, non sono trascurabili. I rendimenti attesi possono essere visti come il prodotto tra la probabilità di occupazione e il salario dei laureati. Per quel che concerne le prospettive di lavoro, l’Italia è uno dei pochi paesi in cui il tasso di occupazione dei giovani laureati (25-34 anni) è inferiore rispetto a quello dei coetanei che si presentano sul mercato del lavoro con il solo diploma tecnico o professionale (64 per cento rispetto al 68 per cento). Se guardiamo ai rendimenti monetari, i laureati italiani hanno un premio salariale del 41 per cento rispetto ai diplomati, un valore elevato ma inferiore al 56 per cento della media Ocse.

L’Italia rappresenta quindi un’eccezione dal momento che, generalmente, i paesi che hanno meno laureati sono anche quelli in cui questi ultimi hanno un maggiore “potere di contrattazione” e, di conseguenza, un maggiore “premio” salariale. Per quel che concerne i costi, Ocse stima tasse universitarie medie che ammontano a 1.700 dollari americani annui, un valore più basso rispetto a Stati Uniti, Cile, Spagna e Paesi Bassi, ma superiore rispetto a molti paesi europei, in alcuni dei quali l’istruzione universitaria è completamente gratuita.

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Da cosa dipendono i bassi rendimenti attesi che, oltretutto, non possono essere spiegati con un elevato numero di laureati? Certamente vi è un effetto composizione che deriva dalle scelte dei percorsi di laurea: paesi in cui sono privilegiati quelli più remunerativi avranno, in media, rendimenti attesi della laurea maggiori. Ocse sottolinea come i nostri studenti abbiano una maggiore tendenza a scegliere corsi di laurea in ambito umanistico, sociale e comunicazione: in Italia il 39 per cento dei laureati ha un titolo in questi ambiti, rispetto a un valore medio del 23 per cento negli altri paesi.

Un’altra spiegazione è rappresentata dalla minore preparazione dei laureati nonché dal loro sotto-utilizzo in ambito lavorativo. I risultati della Survey of Adult Skills (Piaac) riportati nell’imponente studio Oecd Skills Strategy Diagnostic Report – Italy mostrano come i nostri (pochi) laureati abbiano in media competenze in ambito matematico e di comprensione testi inferiori rispetto ai loro “simili” residenti in altri paesi, benché i mezzi di informazione, basandosi spesso su pochi selezionati percorsi professionali di successo all’estero, tendano a sottolineare l’opposto.

Come sempre accade con questo tipo di indagini sulle competenze, ciò che colpisce in relazione all’Italia è la grande eterogeneità dei risultati a livello territoriale, con le regioni meridionali sempre dietro quelle settentrionali, specialmente del Nord-Est.

Risorse scarse per l’università

Ma da cosa dipendono i peggiori risultati complessivi dei nostri laureati? Certamente, non si può prescindere dalla questione delle risorse impiegate per il settore terziario che rappresentano il principale input nella funzione di produzione di istruzione. Come evidenziato nel nostro capitolo di “La finanza pubblica italiana. Rapporto 2017“, a fronte di un sotto-finanziamento complessivo del sistema di istruzione italiano – in parte spiegato dalla bassa numerosità di popolazione in età scolastica -, il sistema terziario risulta tra i meno finanziati nell’ambito dei paesi europei, anche tenendo conto della dimensione della popolazione universitaria. Il dato relativo alla spesa media per studente rapportata al Pil pro-capite – indicatore che tiene conto sia della dimensione della popolazione studentesca sia della diversa disponibilità di risorse necessarie per finanziare, attraverso la tassazione, la spesa pubblica – mostra (figura 1) come l’Italia sia leggermente sopra la media europea per i primi tre cicli scolastici, mentre è decisamente sotto la media per il comparto dell’istruzione terziaria nel quale invece investono massicciamente tutti i grandi paesi (Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna e Svezia).

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Naturalmente questo si traduce in un rapporto studenti/docenti in ambito universitario tra i più elevati a livello europeo (20,2 contro un valore medio pari a 15,7), dovuto anche alla fortissima contrazione del personale docente registrata negli ultimi anni. Se si considera che, dopo la riduzione del 20 per cento del numero di docenti universitari registrato nel periodo 2008-2016, è prevista un’ulteriore fuoriuscita di 10mila professori nei prossimi cinque anni a causa dei pensionamenti, ci si rende conto come l’assunzione di nuovo personale sia un’urgenza non ulteriormente rinviabile.

Figura 1

Fonte: Casalone G. e Checchi D. (2017)

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21 commenti

  1. FRANCESCO FERRANTE

    Solo una precisazione. Il confronto che l’OCSE fa tra il tasso di occupazione e di disoccupazione dei neodiplomati e dei neolaureati a parità d’età non è metodologicamente corretto. Il confronto va fatto a parità di tempo di permanenza nel mercato del lavoro. Che senso ha confrontare i diplomati che sono sul mercato da almeno sei anni con i laureati appena entrati? Sopratutto in un paese con tempi di inserimento lunghi. Se si confrontano i tassi per i diplomati nella fascia d’età 18-29 anni con i laureati nella fascia d’eta 25-34 anni le conclusioni sono molto diverse…Mi meraviglio che si continui a fare questo errore banale.

    • Giorgia

      Certo Francesco, ha ragione. Il confronto non è metodologicamente del tutto corretto. E tuttavia, ciò che rileva per la nostra analisi è che questo svantaggio dei laureati rispetto ai diplomati in ambito tecnico/professionale esista praticamente solo per l’Italia.

  2. davide445

    Sicuramente manca struttura ed efficacia lato offerta ma darai personalmente molto maggiore peso lato domanda.
    Leggendo le cronache è facile trovare allarmi lanciati dalle aziende nostrane che non riescono a trovare in nessun modo specialisti in …. piegatura lamiere, carpenteria, elettrotecnica, etc.
    Quindi sarebbe curioso capire perché un giovane dovrebbe investire in una laurea quando di fatto la nostra struttura non premia queste competenze. Le aziende famigliari mettono nei luoghi più qualificati che potrebbero beneficiare di elevata specializzazione i parenti, i laureati hanno di fatto tratto le conclusioni e agito di conseguenza: se voglio rimanere in Italia non ha senso penare in una laurea tecnica quando comunque posso guadagnare qualcosa in più con meno sforzo con lauree più facili, se voglio una laurea scientifica lo faccio all’estero oppure comunque vado all’estero dove almeno la mia competenza è premiata.
    Quindi prima di investire su altri laureati inutili sarebbe utile investire per preparare l’ambiente in cui dovrebbero essere impiegati, facilitando il dimensionamento e capitalizzazione delle aziende, la loro competitività all’estero, l’investimento in R&D.

  3. Cristina

    Ciao Giorgia e Daniele,
    complimenti per l’articolo, molto interessante!
    Non riesco però a capire perchè un percorso di laurea in ambito umanistico-sociale debba essere necessariamente essere meno remunerativo.
    O meglio, riesco a capirlo, ma non ad accettarlo.
    E’ un problema della nostra società che si è completamente lanciata nel progresso economico-tecnologico e scientifico, conferendo un valore e un potere enorme alla formazione STEM e svalutando quasi in toto tutte quelle aree legate all’analisi culturale, sociale e politica: fondamentali dal mio punto di vista per il nostro essere umani. Se non è così, da dove nasce questa condanna al non valere abbastanza?
    Io non ci sto! Non credo giusta questa netta disparità tra facoltà umanistiche e scientifiche in termini di remunerazione e prospettive future che incide in maniera sempre più forte nella scelta del proprio percorso di studi. E non credo giusto, nè soprattutto sano, questo tendere pian piano a diventare tutti ingegneri, informatici, matematici, scienziati.
    Scusate, forse uno sfogo da una appartenente alla categoria che ha sudato cinque anni per avere un lavoro che avrebbe potuto tranquillamente svolgere con il diploma. 🙂
    Mi piacerebbe pensare che un domani verremo tutti veramente valutati non per cosa fai ma per come lo fai, a prescindere dall’ambito che hai scelto.

    • Alberto

      Forse dipende dal fatto che il tessuto delle imprese italiane sia costituito, al 95%, da micro o piccole imprese che arrancano in un mercato globalizzato che spesso non rispetta le regole. Non è assolutamente vero che la cultura classica non valga abbastanza, è che il mercato detta le sue spietate condizioni; lo stesso ingegnere che percepisce meno di mille euro al mese, talvolta si chiede: “chi me lo ha fatto fare ?”.

      • arthemis

        @ Alberto

        concordo sull’appunto: andrebbe evidenziato come in Italia i laureati STEM abbiano sì prospettive di lavoro migliori di altri percorsi di studio, ma con retribuzioni comunque inferiori a quelle di altri paesi (Germania su tutti).

        @Cristina:

        non è difficile trovare un ingegnere con un master in economia o giurisprudenza (la formazione STEM non preclude l’attività in ambito ‘umanistico’), ma non ho ancora trovato qualcuno che abbia fatto il percorso inverso..

    • Corrado Tizzoni

      Gentile sig.ra Cristina, la risposta alla sua domanda mi sembra semplice: in Italia i laureati in discipline umanistiche hanno retribuzioni più basse perchè sono troppi in rapporto ai posti disponibili per tali discipline. Questo giudizio lo si ricava dai confronti statistici con gli altri stati europei e dal confronto dei livelli di disoccupazione per tipologia di laurea in Italia. Quindi è la realtà fattuale che ci dice che in Italia occorre avere più ingegneri e meno avvocati, più matematici e meno letterati. Può non piacere o non piacere ( a me non dispiace e ritengo che uno dei mali della nostra società sia proprio il diffuso analfabetismo scientifico, se non addirittura l’ avversione tout court alle scienze) ma così è : in Italia, in Europa, in USA, e nel mondo sviluppato.

  4. Savino

    Analizziamo bene chi è che, oggi, in Italia ha un lavoro e si sente professionalmente realizzato. Soltanto chi è passato attraverso l’inerzia delle raccomandazioni, senza alcun merito e senza dimostrare alcunchè, vive felice ed intoccabile. Abbiamo maestre che picchiano bambini e non hanno pazienza di fare quel mestiere, medici che chiedono tangenti per cure che sono dei diritti, dirigenti e funzionari pubblici che chiedono di “oliare” per agevolare iter apposta sempre più complicati, sportelli di complicazione di cose semplici, dove c’è un imbranato è già pronto il posto, pubblico o privato, in cui sistemarlo, la produttività è la più scarsa del mondo, la formazione e la preparazione, anche in cultura generale, sono le più scadenti del mondo, si lavora con i piedi e si pensa solo a cosa fare nel tempo libero, senza serietà, senza puntualità, senza onesta etica ed intellettuale, senza senso del dovere e spirito collaborativo. Se gli italiani pensano di prendere in giro i giovani continuando a credere che la vita e l’economia siano solo un gioco con paga il 27 del mese commettono un errore imperdonabile, perchè le leggi dell’economia non hanno mai perdonato le cicale e non lo faranno neanche questa volta.

  5. EzioP1

    E’ da tempo che si sa che i baroni dell’insegnamento altro non fanno che insegnare all’uso delle nuove tecnologie ma che non hanno la minima capacità di insegnare e stimolare gli studenti a creare. Questa è la grande differenza tra l’insegnamento negli USA dove nascono i veri creatori del nuovo mondo tecnologico (Bill Gates, Zukerberg, Steve Jobs, Robert Metcalf, e tanti altri). E’ opportuno cambiare marcia nell’insegnamento e insegnare a creare non solo a sapere usare ciò che altri hanno creato. Per fare ciò bisogna insegnare agli studenti come sono strutturati i prodotti nelle loro singole funzioni operative e richiedere ad essi di creare loro un prodotto con analoghe funzioni ma con diversa struttura e diversa logica operativa. Quando in USA si vollero creare gli “unmanned vehicles” più Università si candidarono al progetto il cui primo obiettivo era di far percorrere al veicolo almeno 4 km in un percorso ad ostacoli. Il primo anno i veicoli percorsero meno di 100metri, ma nei 4 anni successivi giunsero allo sviluppo voluto che ha poi dato origine a tutta la tecnologia dell’auto-navigazione. E non è stata una questione di finanziamento perchè il primo che raggiunse gli obiettivi ottenne in premio 10mila dollari.

  6. Dodo

    Non mancano i dati relativi alla istruzione terziaria di alcuni Paesi?

  7. bob

    “..ciò che colpisce in relazione all’Italia è la grande eterogeneità dei risultati a livello territoriale, con le regioni meridionali sempre dietro quelle settentrionali, specialmente del Nord-Est.” ma come si può sostenere queste cose? Ma lei ha mai fatto un giro nel Nord- Est? Si vada a leggere ricerche sulle percentuali di analfabeti fatti da sociologi e società di ricerca del posto…ma soprattutto si faccia un giro! Con tutto il rispetto per il suo lavoro mi sembra di sentire l’intervista della mamma leghista che alla domanda sulle priorità del figlio riguardo la scuola rispose ” ..a me che impari l’italiano non importa l’importante che impari il computer e l’inglese”. Ha perfettamente ragione Cristina riguardo le lauree umanistiche. Questo Paese ha bisogno come il pane di cultura di base prima di tutto che è quella che ti consente di acquisire , di capire di essere critico. Il resto, con le tecnologie attuali, oserei dire che sono “corsi” di specializzazione.Il problema dell’inserimento e delle basse paghe è un fatto solo e soltanto politico. Un Paese che da oltre 30 anni non fa un piano di sviluppo, un piano industriale…dove possono trovare sbocco i laureati? Il chimico cosa va a fare se non c’è più la Montedison..la varecchina con l’imprenditore del Nord Est??

    • Stefano

      Vuole sostenere che una mamma del Nord-Est sia diversamente colta nelle materie letterarie perché vota lega o in virtù della sua territorialità ? Forse l’autore si riferiva al test Pisa-Ocse che pone le regioni, soprattutto del Nord-Est e in particolare nelle capacità matematiche, ai vertici Europei, mentre la Sicilia in fondo con la Turchia. Forse al fatto che l’ISTAT dichiari che nel meridione la lettura di libri sia meno diffusa. Forse troppi intraprendono un percorso universitario, che poi abbandonano, per conseguire un titolo accademico che, soprattutto in alcune regioni italiane, è più un vanto famigliare e non per una vera vocazione personale. Conosco mediocri laureati in giurisprudenza o sociologia che sarebbero stati ottimi elettricisti o meccanici.

      • bob

        caro signore della territorialità ha parlato l’autore e lei non io. Io ho risposto portando un esempio ( intervista tv) per fare capire come certa gente approccia il discorso cultura e in risposta alla critica (giusta) che sollevava Cristina riguardo materie letterarie ! I dati, visto che Lei ama le statistiche, sulle condizioni in certe fascie di età di analfabetismo sono a disposizioni e sono ricerche fatte sul territorio. Chi non ha cultura non sa di matematica, come di medicina o giurisprudenza..io conosco elettricisti e meccanici colti più di un professore ! Il suo livello di cultura si evince da questa frase ” conseguire un titolo accademico che, soprattutto in alcune regioni italiane, è più un vanto famigliare e non per una vera vocazione personale” ..credendo di fare una offesa, io invece credo che sia ” un vanto di famiglia” in qualsiasi parte del mondo magari con modalità diverse. Le statistiche come i test sono ” roba” seria e scienze da maneggiare con molta cultura oltre che con molta onestà intellettuale. Altrimenti come diceva qualcuno si riduce che ” se tu mangi un pollo e io niente per la statistica abbiamo mangiato mezzo pollo a testa”. La realtà come la storia non è manipolabile come crede Lei

        • Stefano

          Spett. commentatore, è evidente che abbiamo pareri discordanti sull’argomento e che lei, quale persona colta, “sa” di matematica, medicina o di giurisprudenza. Un percorso universitario però, se affrontato seriamente, prepara, o dovrebbe farlo, solo in un ristretto ambito della cultura idonea per trovare sbocchi occupazionali, salvo che lei non voglia sostenere che un laureato in medicina, dotto nella sua disciplina, abbia appreso durante il suo percorso di studi anche nozioni di teoria assiomatica degli insiemi o i fondamenti di approccio scientifico al diritto del Kelsen e possa, “sapendo” ora anche di matematica e giurisprudenza, finalmente definirsi “colto” in modo assoluto. Mi sembra lei confonda una più o meno approfondita conoscenza e preparazione in uno specifico ambito di studi con una cultura generale più o meno vasta del suo meccanico o elettricista.Sono pure conscio che nel meridione, da cui presumo sia originario, esistono molte punte di eccellenza ma una nazione deve fare riferimento ai suoi valori medi tra cui esistono anche valori estremi come quelli della signora leghista (si era qualificata come tale?); media intesa, come nel suo commento al pollo di Trilussa ed è questa la differenza che volevo farle notare e che il test Pisa-Ocse o l’Invalsi evidenzia.Come giustificare infine la minore quota di iscritti alle facoltà e il maggiore tasso di abbandono durante gli studi o dei fuori corso rispetto a quella di altre nazioni ? Perché sbagliano facoltà?

          • bob

            Per rispondere al suo intervento, basterebbe dirle che non sono meridionale e avrei con poca spesa servita “la biada al popolino”. Io non giudico per mentalità, figurarsi se giudico una persona perchè viene da un qualsiasi territorio, tutti siamo nati per caso in qualche posto. Non mi passa per il cervello pensare che se uno nasce in Veneto è analfabeta e ubriacone a prescindere come invece fa lei. Ho portato l’esempio della signora intervistata (ampiamente qualificatasi) solo come esempio di come si pongono certe persone. La cultura è curiosità e non chiusura mentale prima di tutto. I test come le statistiche non sono tabelle da leggere come la schedina, quello che invece fa il politico “furbo” e mediocre”! Per chiudere, come tutti gli intervenuti a differenza di Lei, non ho chiesto di dove è! La cultura prima di tutto è anche questo.

  8. Henri Schmit

    Articolo interessante su un tema importante. Le varie percentuali menzionate sono davvero impressionanti. Tuttavia non condivido la spiegazione delle cause del differenziale con gli altri paesi, a parte il nodo delle risorse. Quello che secondo me è cruciale è la cultura del clientelismo, della raccomandazione e delle carte truccate che rende le capacità acquisite attraverso lo studio un vantaggio meno decisivo. Inoltre in un paese con investimenti privati scarsi la quota di giovani che ambiscono a una carriera nella PA sposta probabilmente l’indirizzo formativo verso materie più umanistiche e meno tecniche.

    • Henri Schmit

      Il rapporto OCSE citato nel articolo distingue non due ma cinque categorie di titoli di studio: Umanistici, sociali (diritto, economia, fiscalità), scientifici (mate e sc naturali), tecnici (ingegneria, etc), sanitari (medicina etc). Per ragioni strutturali (peso della PA, formalismo, flessibilità e incertezza delle regole, complessità delle procedure, bizantinismo) gli esperti di scienze sociali abbondano. Stupisce l’alto livello di remunerazione dei professionisti sanitari rispetto alla media ocse.

  9. Mauro

    Due commenti: quello che fa la differenza nella percentuale di laureati fra l’Italia e gli altri paesi europei è la laurea breve che altrove è molto più frequente. Questo è anche il risultato di avere eliminato il diploma triennale professionalizzante per introdurre l’assurdo 3+2 attuale. Bisognerebbe avere il coraggio di fare marcia indietro.
    Dal rapporto OCSE si puo’ comunque ricavare una consolazione: gli italiani, pur essendo fra i meno laureati, i più malpagati e i piu’ disoccupati, sono anche i meno esposti alla depressione. Di gran lunga rispetto ad esempio ai tedeschi (v. pag. 136)

    • Savino

      Infatti, in Italia i bar sono più affollati delle fabbriche e degli uffici e, anche, delle biblioteche e delle librerie. Un adulto può insegnare ad un giovane dove fanno il cappuccino più buono, ma non gli può insegnare nè il sapere come cultura personale, nè, tantomeno come si utilizza un cacciavite, casomai il ragazzo non avesse voglia di studiare.
      Tutto ciò non genererà stress, ma povertà economica e sociale la genererà sicuramente.

    • Henri Schmit

      Non ci conterei sull’affidabilità del dato relativo alla depressione. Il fenomeno è molto studiato in UK (articoli settimanali sul Guardian). Temo che in Italia il problema sia semplicemente meno conosciuto e meno trattato. I numeri statistici non riescono a coprire la realtà extra-clinica.

  10. Marcomassimo

    L’istruzione non è un fatto solo di titoli; è un fatto di cultura e società in senso lato; il vero indicatore è che il italia si leggono pochi libri rispetto al resto dell’europa; l’educazione alla cultura e alla (auto)formazione permanente deve essere insegnate nelle scuole e fuori ancora prima della presentazione delle nozioni; certamente la nostra grande tradizione umanistica va rispettata e valorizzata, ma la cultura scientifica e tecnologica va stimolata molto di più, ed in questo la televisione pubblica si dovrebbe spendere direttamente invece di attaccarsi al “mercato” degli ascolti banali o triviali di massa; meglio dieci minuti di ascolto di una televisione pubblica di qualità che una settimana di televisione pubblica commerciale.

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