Il governo ha promesso di aumentare i fondi destinati agli istituti tecnici superiori. Una promessa da mantenere perché gli Its, con alternanza scuola-lavoro e apprendistato, sono i tasselli di un sistema d’istruzione adeguato al lavoro del futuro.
La promessa di Calenda
Gli istituti tecnici superiori (Its), introdotti in Italia con una legge del 2008 sulla falsariga delle università professionali tedesche (le mitiche Fachhochschulen), sono una tessera fondamentale del tipo di formazione necessaria per affrontare la quarta rivoluzione industriale già in atto in molti paesi avanzati.
Con lungimiranza, il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, li aveva di recente riportati al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e dell’azione del governo, promettendo di aumentare in pochi anni fino a 100 milioni i fondi a essi destinati, che attualmente sono solo pochi spiccioli. Ciò avrebbe dovuto consentire di triplicare i diplomati dagli attuali 8mila a 24 mila l’anno. Tuttavia, l’assalto alla carovana della spesa pubblica che si prepara lungo il percorso parlamentare della legge di bilancio rischia di sacrificare la promessa di Calenda sull’altare del prossimo impegno elettorale. Sarebbe un peccato, un altro tiro mancino alla realizzazione di una strategia di diversificazione dell’offerta di istruzione superiore di cui il paese ha bisogno come dell’acqua nel deserto per le proprie imprese, ma anche e soprattutto per i giovani e per le famiglie.
Qualche giorno fa a Pixel, la trasmissione di Rai 3 sulle nuove tecnologie, un docente di ingegneria ha dimostrato che i robot possono ora apprendere dall’osservazione degli esseri umani. Ha fatto indossare a un pizzaiolo una camicia che consentiva al robot di imparare tutti i suoi gesti, così il robot è riuscito a fare una pizza identica a quella del pizzaiolo. Non è più impossibile pensare che in futuro le pizzerie si serviranno di robot per preparare la pizza, un lavoro ritenuto finora creativo e irriproducibile. È solo un esempio di cosa potrebbe essere il lavoro nei prossimi anni.
È proprio questa una delle sfide fondamentali del piano Industria 4.0. La diffusione dell’automazione a livelli impensabili solo fino a qualche anno fa farà scomparire non solo le attività ripetitive, come quelle legate alla catena di montaggio, ma anche le attività che richiedono la creatività umana.
Il futuro del lavoro continuerà a essere roseo e affascinante, ma solo per chi riuscirà ad avere tanta creatività applicata alle proprie competenze lavorative specifiche a un certo posto di lavoro. Solo queste ultime saranno irriproducibili per i robot. La creatività si allena con l’istruzione di carattere generale, ma va accoppiata anche alle competenze professionali che si acquisiscono nell’arco di un periodo di tempo sufficientemente lungo in azienda.
L’azienda come luogo di apprendimento
Creatività e competenze specifiche saranno sempre più complementari nei lavori del futuro e si affineranno solo attraverso il lavoro in azienda.
In altri termini, l’industria 4.0 richiederà un’interazione sempre più profonda fra istituzioni di formazione a tutti i livelli e il mondo delle imprese. Qualche giorno fa gli studenti delle scuole superiori sono scesi in piazza per protestare contro l’alternanza scuola-lavoro: dovrebbero invece capire che sempre più occorrerà spostare il luogo della formazione, almeno di una parte di essa, dalle aule scolastiche o universitarie alle imprese.
Finora, istruzione e impresa sono stati due mondi paralleli; in futuro, dovranno imparare ad andare a braccetto, come fanno in Germania già da alcuni secoli. Si devono preparare non solo le scuole e le università, ma anche le imprese. Si parla dell’alternanza scuola-lavoro come della terza missione dell’università, dopo la ricerca e la didattica; nello stesso modo anche le imprese dovranno avere una terza missione: produzione e lavoro, ma anche formazione. Solo così saranno entrambe pronte a sviluppare le necessità dei lavoratori per l’industria 4.0.
Un tassello importante del mosaico
In effetti, gli Its garantiscono in tempi rapidissimi un quasi pieno impiego (80 per cento circa) ai pochi diplomati che hanno il privilegio di frequentarli. È necessario che il governo mantenga la promessa del ministro Calenda di triplicare il numero dei diplomati. È anzi un obiettivo minimo.
Insieme all’alternanza-scuola lavoro e all’apprendistato (sul quale ho già scritto in passato su lavoce.info), gli Its dovrebbero diventare una delle tessere fondamentali del nostro futuro sistema d’istruzione.
L’Italia è già molto in ritardo. Sembra però che le cose stiano cambiando e che le imprese siano ormai pronte a fare la loro parte, pur con tutte le difficoltà del caso. Naturalmente, ciò potrà avvenire solo se pure il governo farà la sua parte. Investire di più su alternanza scuola-lavoro, Its e apprendistato è importante anche per fare crescere la cultura della formazione e l’idea chiave dell’interazione necessaria fra impresa e sistemi di istruzione e di formazione professionale.
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Lucia
sono d’accordo che i ragazzi entrino nel mondo del lavoro ma è nostra responsabilità insegnare loro e non tenerli soltanto a fare fotocopie o a spazzare il magazzino, va bene fare anche questo ma non solo!
Michele
Sai che vantaggio ad avere un robot pizzaiolo quando un pizzaiolo umano lo posso pagare pochissimo, cacciare quando voglio e quando ha finito di fare le pizze fa pure le pulizie…Il robot pizzaiolo è come l’alternanza scuola-lavoro: non serve a nulla, ma fa scrivere tanti belli – inutili – articoli
Henri Schmit
Ha senz’altro ragione l’autore, bisogna offrire e promuovere l’insegnamento tecnico. La sfida della 4a rivoluzione industriale è però molto più ampia: non solo tecnologica, ma economica, culturale e sociale. Non si tratta solo di tenere il passo con l’evoluzione tecnica dovuta al digitale, ma di comprendere come questa incide sul mondo in cui lavoriamo, viviamo, pensiamo e decidiamo. Non è una sfida da poco, e non solo per i ragazzi che si affacciano al mondo del lavoro.
Maria Cristina Migliore
Sono assolutamente d’accordo della necessità di sostenere gli ITS. Sarebbe importante che le università collaborassero attivamente nelle Fondazioni degli ITS. Il ruolo delle università è necessario per qualificare i processi formativi. Lasciare troppo in mano alle imprese gli ITS, come mi pare a volte accada, rischia di essere deleterio, perchè non tutte le imprese sono portatrici di innovazione e pensiero innovativo. A volte potrebbero essere imprese troppo tradizionali. Pare però che ci siano università che vedano gli ITS come competitors.
Federico Tassoni
Io mi sono diplomato all’ITS di Genova quest’anno e posso confermare tutto.
Però ritengo valida la protesta degli studenti contro l’alternanza scuola – lavoro: io ho avuto modo di fare due stage in un’azienda informatica, ossia il mio campo di studi, ma per i ragazzi mandati da mcdonalds è uno spreco del loro tempo e nonchè sfruttamento di manodopera non pagata.
Quindi: alternanza scuola lavoro si o no? Sì, ma solo in aziende qualificate e d’eccellenza e disposte a insegnare e trasmettere la loro conoscenza.