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Lavoro indipendente sul viale del tramonto

Le figure più tradizionali dell’occupazione indipendente sono in costante diminuzione. Sono i negozianti e gli artigiani messi fuori mercato dalla concorrenza o alle prese con difficili passaggi generazionali. Aumentano invece i liberi professionisti.

Caduta continua per il lavoro indipendente

I commenti ai più recenti dati sul mercato del lavoro italiano si sono concentrati sulla forte crescita dei lavoratori dipendenti a tempo determinato, che in effetti hanno raggiunto il livello più alto mai registrato dall’indagine Istat sulle forze di lavoro. Ma hanno trascurato di rilevare che anche i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato hanno praticamente raggiunto il loro più alto livello, già registrato nel 2008, prima della crisi. E soprattutto i commenti hanno trascurato di metter in luce che i due risultati, frutto di andamenti fortemente legati alla congiuntura economica, sono compatibili perché è proseguita e anzi si è accentuata la tendenza al declino dell’occupazione indipendente, da sempre molto importante in Italia.

Dal 2004 la caduta dell’occupazione indipendente è continua e non risente affatto dell’andamento dell’economia: da quasi 6 milioni e 300mila i lavoratori indipendenti si riducono nel 2016 a meno di 5 milioni e 500mila, in percentuale sull’occupazione totale dal 25,3 al 22,4 per cento. I primi due trimestri del 2017 mostrano che la caduta addirittura sta accelerando con la ripresa economica, poiché la percentuale diminuisce di un altro mezzo punto.

Così si è un po’ attenuata l’anomalia del paese sviluppato con la più elevata diffusione delle micro-imprese e soprattutto dei lavoratori indipendenti, poiché in dodici anni la differenza tra la percentuale di occupazione indipendente in Italia e quella media dell’Unione europea a 15 (che è rimasta stabile sul 14,5 per cento) si è ridotta di quasi 3 punti. Dovrebbero trarne beneficio i conti pubblici, perché è nota la maggior propensione all’evasione e all’erosione fiscale in questo settore dell’occupazione.

Dal 2004 al 2016 i lavoratori indipendenti sono diminuiti di quasi il 13 per cento, ma, come mostra la tabella 1, la riduzione è ancora maggiore (quasi il 16 per cento) se consideriamo solo coloro che hanno cittadinanza italiana. Infatti, negli stessi anni i lavoratori stranieri indipendenti quasi raddoppiano (da poco più di 170 mila a oltre 320 mila), passando dal 2,7 al 5,9 per cento del totale. La presenza degli immigrati tra i lavoratori indipendenti sfiora addirittura il 9 per cento (contro quasi il 16 per cento tra i dipendenti) se consideriamo tutti i nati all’estero, poiché negli ultimi anni non pochi hanno acquisito la cittadinanza italiana. Tuttavia, l’andamento dell’occupazione indipendente non è omogeneo.

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Tabella 1 – Occupati indipendenti (valori in migliaia e variazioni percentuali)

I liberi professionisti, che si caratterizzano per la natura intellettuale della loro prestazione, sono addirittura aumentati, quelli con studio e dipendenti (quasi il 12 per cento in più) e ancor più quelli, molto più numerosi, senza dipendenti (cresciuti di quasi un quarto).

È probabilmente il fenomeno per cui i giuslavoristi hanno parlato di “fuga” dal lavoro dipendente. La scarsa crescita dell’occupazione altamente qualificata in Italia si caratterizza dunque per una forte componente indipendente, anche per la carenza di una domanda di lavoro intellettuale da parte dei settori ad alta presenza pubblica (istruzione, sanità e pubblica amministrazione). Ma se i liberi professionisti sono cresciuti (sino a costituire un quarto degli indipendenti), tutti gli altri tipi sono diminuiti.

Negozi chiusi e rischio desertificazione

Innanzitutto sono crollati gli occupati che si auto-definiscono imprenditori: oltre il 40 per cento in meno. E, poiché per quasi i tre quarti la caduta è avvenuta dal 2004 al 2008, si può pensare a un processo di ristrutturazione delle micro-imprese che precede la crisi, durante la quale addirittura rallenta. È un risultato che contrasta con la narrazione più diffusa e richiede un confronto con altri dati.

Invece, la riduzione dei collaboratori (oltre il 38 per cento in meno), che ha avuto un’interruzione tra il 2011 e il 2012, accelera bruscamente dal 2015 a seguito del Jobs act, che ha abrogato i contratti a progetto, ed è inevitabilmente destinata a proseguire sino all’esaurimento di questa figura al confine con il lavoro dipendente. All’impossibilità di stipulare nuovi rapporti di collaborazione è molto probabile si debba parte del più recente aumento dei lavoratori dipendenti a tempo determinato.

Si sono significativamente ridotte le figure più tradizionali e più numerose dell’occupazione indipendente: i lavoratori in proprio senza dipendenti (oltre il 16 per cento in meno) e i coadiuvanti (oltre il 44 per cento in meno). Sono i negozianti e gli artigiani che sempre più sono stati messi fuori mercato dalla concorrenza di super e ipermercati. Ma il fortissimo aumento degli stranieri (più che raddoppiati) indica anche una difficoltà di riproduzione generazionale dei negozianti e degli artigiani italiani. All’aumento della produttività, di cui l’Italia ha indubbiamente grande bisogno, si contrappone però il rischio di una desertificazione delle strade, soprattutto nelle periferie e nei piccoli comuni.

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Occupazione: un settembre in chiaroscuro

  1. Roberto

    L’esplosione delle vendite via web da parte di colossi mondiali come AMAZON ed altri manda alla chiusura decine di migliaia di negozi di ‘vicinato’ in città e paesi. Questo prepara problemi difficilissimi. I negozianti non perdono solo il lavoro, ma anche i SOLDI da loro investiti negli esercizi da cui un tempo ricavavano buonuscite (una forma di TFR per loro) oggi azzerate. Quindi la loro condizione è perfino peggiore di quella dei dipendenti messi a casa.L’Italia si svena per salvare il posto di lavoro a 12.000 lavoratori ALITALIA, ma nessuno fa nulla per questa moltitudine di persone che supera ogni anno di molto il numero di piloti e hostess. Non solo, ma al danno si somma la beffa che le multinazionali padrone del business delle vendite on line non pagano che poche briciole di tasse nel nostro paese col trucco ben collaudato di spostare, tramite fatturazioni interne, gli utili in paesi tipo Irlanda e Lussemburgo, dove le tasse sul utili sono irrisorie. Non capisco perché questo problema non sia all’ordine del giorno con l’urgenza e la drammaticità economica e sociale che si porta dietro. I tassisti con azioni al limite (e anche oltre la legge) hanno quasi fermato UBER, ma i tanti negozianti soli ed isolati come possono controbattere i giganti del web? Capisco che il progresso va in quella direzione ed è inarrestabile, ma almeno si tenti di guidarlo e di incassare le tasse dovute dai colossi con OGNI METODO anche al limite del lecito (proprio come si comportano loro).

  2. Francesco

    Veramente i negozi di vicinato sono stati spazzati via non certo da Jeff Bezos ma dall’italianissimo connubio – poco trasparente, diciamo così… – tra enti locali e grande distribuzione, una forza contro la quale nessuno può resistere ma solo arrendersi.

  3. Savino

    Non vengono analizzati a dovere dagli economisti nè l’aumento degli pseudo lavori dipendenti, nè l’incremento dei lavoretti.

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