I dati occupazionali di settembre mostrano un netto cambio di rotta: al contrario di quanto accaduto nei mesi precedenti, a crescere sono gli occupati maschi e con più di 35 anni. Si interrompe bruscamente il calo degli inattivi e il lavoro è più precario.
Occupati e disoccupati
Dopo la crescita sostenuta dei mesi precedenti – solo ad agosto erano stati creati 36mila nuovi posti di lavoro – l’occupazione a settembre rimane pressoché invariata: il saldo è positivo di 2mila nuove unità ed è frutto di un calo di 13mila occupate femmine e di un incremento di 15mila nuovi occupati maschi. Considerando la suddivisione per fasce di età, emerge poi come il leggero incremento occupazionale, oltre a essere concentrato sui maschi, sia dovuto a dinamiche positive tra gli occupati over 35 e negative per quelli più giovani: nel primo caso c’è stato un aumento di 80mila unità e nel secondo una diminuzione di 78mila.
Di particolare rilievo è poi l’aumento del numero di persone inattive registrato nell’ultimo mese (+25mila), concentrate per la maggior parte tra i maschi. I dati assoluti si traducono in un tasso di occupazione sostanzialmente invariato su base mensile e in un aumento di circa un punto percentuale su base annua (figura 1).
Fonte: Istat
Le dinamiche occupazionali si riflettono così in un tasso di disoccupazione in aumento, su base mensile, solo per le fasce più giovani, nonostante un saldo negativo annuale (figura 2).
Fonte: Istat
Ai margini del mercato del lavoro
I dati occupazionali nascondono in realtà un folto sottobosco di persone ai margini del mercato del lavoro. Alcune di queste, pur rientrando formalmente tra le persone inattive, risultano infatti potenzialmente interessate a ottenere un’occupazione. È il caso di coloro che sono impegnati in attività di ricerca ma non sono disponibili a lavorare nell’immediato, o di coloro che sarebbero disponibili a lavorare, senza per questo essere coinvolti attivamente nella ricerca di un’occupazione. Queste persone mostrano un grado di inattività relativamente basso, che le rende, nei fatti, più affini al profilo dei disoccupati – ossia a coloro (i) senza un’occupazione, (ii) impegnati in attività di ricerca e (iii) disponibili a lavorare nell’immediato. Dai dati (figura 3) emerge come l’Italia, rispetto ai partner europei, abbia numeri decisamente elevati in relazione a questi fenomeni, soprattutto in uno dei due casi. La percentuale di persone che si dichiarano pronte a prender parte a un’occupazione ma che non sono in cerca di essa è infatti pari a circa il quadruplo della media europea. E lo stesso dato per la fascia di età 15-24 anni (figura 4) raggiunge livelli ancor più alti.
In questa categoria incontriamo anche i cosiddetti “scoraggiati”, coloro che hanno smesso di cercare un impiego perché ritengono eccessivamente basse le possibilità di trovarlo, ma che sarebbero comunque disponibili a lavorare nel caso si presentasse l’occasione. Nei periodi di ripresa economica, in un contesto di rinnovata fiducia, molte di queste persone decidono quindi di intraprendere nuovamente attività di ricerca, facendo così aumentare, almeno inizialmente, le fila dei disoccupati. È di fronte a questo fenomeno – in atto da diverso tempo benché nel mese di settembre abbia conosciuto una battuta di arresto – che incrementi del tasso di disoccupazione possono essere salutati in maniera meno pessimista che in altri contesti.
Fonte: Eurostat
Fonte: Eurostat
Un secondo gruppo di persone che può essere considerato ai margini del mercato è rappresentato dai cosiddetti sottoccupati, ossia da coloro che, impiegati con un part-time, vorrebbero lavorare un numero maggiore di ore e sarebbero disposti a farlo nell’immediato. I dati (figura 5) mostrano come, nel complesso, il fenomeno sia in crescita, in particolar modo per le fasce più giovani della popolazione. Il trend non deve in ogni caso sorprendere, se considerato alla luce di come i periodi di ripresa economica siano in media caratterizzati proprio da un utilizzo più flessibile della forza lavoro.
Fonte: Istat
Nuove assunzioni
Se poi consideriamo la qualità dei posti di lavoro dipendente creati nel mese di settembre, vediamo una diminuzione di 18mila unità nel tempo indeterminato e un aumento di mille unità in quello a termine. Si conferma quindi un trend di crescita – in questo caso relativamente debole – del lavoro precario. La figura 6 mostra chiaramente come le nuove assunzioni con contratti a tempo indeterminato rappresentino oggi meno di un quarto delle assunzioni totali, con picchi particolarmente negativi tra i lavoratori più giovani, dove un ruolo importante, oltre che dalle assunzioni a termine, è giocato anche dall’apprendistato e dalle assunzioni stagionali.
Fontre: Inps
Così, dal gennaio all’agosto di quest’anno, solo l’8,5 per cento delle assunzioni di lavoratori con meno di 24 anni è avvenuta con contratti stabili, un numero che nel 2015 si era rivelato più alto di ben 10 punti percentuali. È in questo contesto che arriveranno i nuovi sgravi mirati sulle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani lavoratori, inserite dal governo nella prossima legge di bilancio.
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Henri Schmit
Chiaro e illuminante: il dato della disoccupazione è pessimo, quello della non-occupazione, catastrofico. Quella dei giovani è solo un epifenomeno, particolarmente doloroso. Guai a chi pensa dover risolvere quest’ultimo problema separatamente. Con tutti i fattori economici (investimenti, PIL, crescita, occupazione, etc.) invariati, degli incentivi a favore del lavoro dei giovani hanno solo un effetto negativo sull’occupazione dei più anziani (invece di assumere o dare un incarico a un anziano con esperienza assumo un giovane che mi costa doppiamente meno). L’unica soluzione (per tutti i parametri dell’occupazine) è di favorire, se necessario incentivare, l’investimento.