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Quanto contano le leggi elettorali*

Il sistema elettorale è importante nel determinare i contenuti delle scelte pubbliche, ma il suo ruolo non va sopravvalutato. Tutte le leggi elettorali hanno pregi e difetti e il loro effetto complessivo dipende dal contesto culturale si inseriscono.

Due sistemi a confronto

La variabilità delle regole elettorali è una caratteristica della politica italiana, che si è tuttavia accentuata negli ultimi decenni. Dal 1993 abbiamo votato con tre formule diverse e il prossimo anno ne utilizzeremo una quarta.

La letteratura segnala l’importanza del sistema elettorale nel determinare i contenuti delle scelte pubbliche. Importanza che però non va sopravvalutata, attribuendo alle regole elettorali virtù salvifiche o, al contrario, la responsabilità di tutti i mali.

In un nostro recente lavoro abbiamo comparato il sistema in vigore in Italia per l’elezione dei senatori prima della riforma del 2005, incentrato prevalentemente su collegi uninominali, con quello immediatamente successivo, fondato invece sul voto alla lista e senza possibilità di esprimere preferenze a favore di singoli candidati.

Il confronto ha senso solo per il Senato, ove la riforma ha fatto sì che la competizione avesse luogo esclusivamente in collegi uninominali: è vero che un quarto dei seggi era assegnato attraverso il proporzionale, ma ai migliori perdenti dell’uninominale. Gli elettori non percepivano le due “quote” come arene di gioco distinte, in quanto disponevano di un’unica scheda elettorale. Al contrario, per la Camera dei deputati le schede erano due, la prima per la competizione uninominale, la seconda destinata alla quota proporzionale. Ne deriva che – al Senato – le piattaforme di tutti i candidati riflettevano gli incentivi caratteristici dell’uninominale.

Come si comportano i senatori

Nel nostro lavoro abbiamo guardato a due aspetti del comportamento degli eletti: i) l’impegno profuso nell’attività legislativa, misurato con il numero di progetti di legge sottoscritti tra il 1993 e il 2012; ii) la tendenza a privilegiare provvedimenti che avvantaggiano solo il proprio collegio elettorale, a sua volta misurata come la quota di progetti “localistici” sul totale di quelli sottoscritti.

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Le nostre stime (che tengono conto di possibili effetti fissi temporali e spaziali) mostrano che i senatori eletti con il sistema uninominale svolgono un’attività legislativa più intensa, ma hanno anche una maggiore propensione al localismo.

Tuttavia, le differenze nei comportamenti tra i senatori eletti prima e dopo la riforma si riducono –in molti casi fino ad annullarsi – nei distretti in cui è maggiore il cosiddetto “capitale sociale” (civismo). Ad esempio, come mostrato dalla figura 1, la riduzione nella quota di proposte legislative con orientamento localistico determinata dal passaggio dall’uninominale al plurinominale con liste bloccate è di oltre il 10 per cento nei distretti con più bassa dotazione di capitale sociale, mentre è quasi nulla in quelli con la più alta dotazione. Un risultato simile si ha per l’indicatore di impegno legislativo.

Una possibile interpretazione del risultato è che le istituzioni informali (il capitale sociale) possono in parte sostituire le istituzioni formali (le leggi elettorali): l’effetto della riforma è meno evidente dove il capitale sociale è più alto – le aree in cui la quota di proposte legislative con orientamento localistico era già più bassa, e in cui l’impegno legislativo degli eletti era già relativamente elevati.

Figura 1

I risultati peraltro non appaiono dovuti a effetti di selezione (ad esempio, al fatto che individui con una più alta propensione a beneficiare il proprio distretto tenderebbero a candidarsi ed essere eletti con maggiore probabilità nell’ambito del sistema uninominale) né a effetti di anticipazione (date le modalità con cui si è arrivati alla riforma, è difficile pensare che i legislatori abbiano previsto i nuovi incentivi che la nuova legge avrebbe determinato).

Le evidenze raccolte suggeriscono alcune riflessioni di portata più generale. Innanzitutto non si può parlare di un sistema ottimale in senso assoluto: tutti i sistemi elettorali hanno pregi e difetti e ogni riforma implica un bilanciamento tra costi e benefici (quello da noi evidenziato tra impegno legislativo degli eletti e gradi di localismo è solo un esempio). In secondo luogo – ed è questo un aspetto più sottile, ma secondo noi non meno importante – gli effetti dei vari aspetti, e quindi quello complessivo, sembrano dipendere in misura significativa anche dal contesto culturale in cui la riforma viene calata.

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* Le opinioni espresse sono personali e non impegnano in alcun modo l’Istituzione di appartenenza.

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  1. Savino

    La stabilità è garantita, per fortuna, da un assetto datoci, nel dopoguerra, da menti raffinate ed inarrivabili e, grazie al quale, il motore delle istituzioni si avvia sempre (lo abbiamo già visto nel 2013).
    Decisivo sarebbe, invece, uno stop al trasformismo dei meri “cambi di casacca”, non paragonabile nemmeno a quello del Regno nell’800. Questo è sicuramente un fattore di instabilità e che intacca la credibilità della politica anche con risvolti negativi per l’Italia nell’economia globalizzata.

  2. Henri Schmit

    Battendomi per una legge elettorale giusta (i diritti costituzionali) e conveniente (gli obiettivi di rappresentazione dei partiti e di formazione di maggioranze stabili) penso che l’articolo invece di sbrogliare l’annoso problema della formula elettorale contribuisca alla confusione cinicamente sfruttata dai furbi. Si confrontano due aspetti (misurabili?) del comportamento dei senatori prima (L Mattarella) e dopo (L Calderoli) il 2005, perché la differenza caratteristica era più netta al Senato. Condivido l’idea, dubito della pertinenza dei parametri e contesto quasi tutte le conclusioni: il territorio civicamente più sviluppato favorirebbe l’elezione di rappresentanti attivi e curanti dell’interesse nazionale a prescindere dalla legge elettorale. Trovo più azzeccata il giudizio di PF Casini che dopo aver votato tutte le leggi ora contestate dice che le liste bloccate della 270/2005 hanno modificato il DNA degli eletti, inclusi quelli in carica, incuranti dell’opinione pubblica rispondendo ciascuno al capo-padrone che stabilisce le liste. Non è vero che tutte le leggi elettorali sono uguali. È determinante che i deputati siano scelti dagli elettori e da loro soli. Non importa se in collegi uninominali, più ampi o in uno solo nazionale, con o senza liste (a riparto proporzionale) le quali si abbinano perfettamente con un voto rigorosamente individuale. È vero invece, ma all’inverso, che il fattore culturale conta: la migliore legge può essere svuotata con costumi deviati.

  3. filippo aleati

    Come dire forse un pò banalizzando che a gradi di civiltà superiori la legge elettorale è meno importante e più semplice dibattito, devo dire che tormentoni come Pocellum, Mattarellum etc si sono visti solo in Italia, con una minoranza degli elettori che ci capisce veramente qualcosa ed una maggioranza che se ne frega

  4. Henri Schmit

    Altri ricercatori (Panizza e Russo su Lavoce.info) hanno notato l’imprecisione dei termini del confronto nelle ricerche di Tabellini (e altri) e propongono di indagare meglio definendo come criterio divisorio l’alternativa fra scelta individuale e liste bloccate, senza tuttavia approfondire l’idea (condivisa da chi scrive). “Un limite del lavoro di Tabellini (e altri) è che non individua l’effetto sulla corruzione di aspetti molto dibattuti, come le preferenze e le liste bloccate. Tuttavia, a giudicare dai risultati così netti in favore dei collegi uninominali sembra che l’elezione tramite lista, bloccata o con le preferenze, incentivi comunque una maggiore corruzione. Qual è dunque il sistema che abbassa la corruzione e migliora il livello e la composizione della spesa pubblica, il proporzionale o il maggioritario? Entrambi hanno caratteristiche apprezzabili e semplificare troppo la risposta non aiuta a capire.” La mia risposta alla domanda di questi autori è che occorre una doppia distinzione fra diritti costituzionali (scelta individuale degli eletti dagli elettori) e obiettivi politici (rappresentazione dei partiti e formazione di una maggioranza stabile) e confrontare separatamente l’effetto di sistemi con o senza scelta individuale e quello di sistemi con più o meno rappresentazione proporzionale attraverso liste in collegi più o meno grandi. Propongo da tempo questa evidente DOPPIA distinzione analitica come l’unica coerente.

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