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Con Industria 4.0 il distretto si rinnova

I distretti industriali sono oggi profondamente diversi da quelli di un tempo, con il ruolo delle imprese leader che è diventato fondamentale. Industria 4.0 spinge a ulteriori trasformazioni e richiede più forti interazioni con i grandi centri urbani.

Un nuovo modello di distretto

Tra le caratteristiche del sistema produttivo italiano che incuriosiscono gli stranieri vi è sicuramente la presenza dei distretti industriali. Operatori, studiosi e politici si interrogano ancora oggi su come può funzionare un sistema basato sull’interazione tra piccole imprese, focalizzate su specifiche attività manifatturiere, in un territorio ristretto. In realtà, da almeno quindici anni questo modello è evoluto verso uno completamente diverso, nel quale vi sono rapporti gerarchici tra imprese leader e subfornitori, il focus dell’attività dei leader è concentrato a monte e a valle della filiera (ricerca e commercializzazione) e i confini del territorio in cui si opera si sono estesi all’estero in seguito a numerosi investimenti diretti. Oggi parliamo, quindi, sempre di distretti, ma intendiamo qualcosa di profondamente diverso.

Le imprese leader – frutto di tante storie di crescita accelerata – sono divenute uno snodo fondamentale in quanto hanno investito nel territorio e, al contempo, hanno potuto far leva sul know-how presente nel tessuto produttivo locale. In termini relativi, oggi ci sono più grandi imprese nei distretti che altrove: gli addetti delle grandi aziende distrettuali (utilizzando la soglia dei 50 milioni di euro di fatturato) rappresentano il 41 per cento del totale distrettuale (9 punti percentuali in più rispetto ai territori non distrettuali), mentre se si considera il fatturato il loro peso sale al 54 per cento (contro il 45 per cento).

Anche grazie alle imprese leader, i distretti sono ormai da tempo diventati un luogo privilegiato per la diffusione e l’adozione di comportamenti complessi e catalizzatori di innovazione tecnologica, organizzativa e di mercato. Nei distretti è più elevata la percentuale di imprese con attività di export e dotate di marchi registrati a livello internazionale (31 per cento contro 25 per cento) e maggiore è l’impegno sul fronte dell’innovazione (53 brevetti ogni 100 imprese, rispetto a 40).

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Al contempo, soprattutto le imprese leader distrettuali hanno accresciuto la loro internazionalizzazione in uscita, cercando di sviluppare sia la produzione diretta sui mercati di sbocco sia la propria rete distributiva. Nei distretti vi sono 29 imprese partecipate ogni cento imprese; nelle aree non distrettuali ci si ferma a 20.

Negli ultimi anni di crisi, i distretti industriali hanno vissuto le difficoltà della nostra industria, con perdite pesanti sul piano del numero di imprese operanti sul mercato e dell’occupazione, tant’è che spesso sono stati dati per morti. Tuttavia, anche grazie alle trasformazioni descritte, in ogni anno tra il 2009 e il 2015 le imprese distrettuali sono cresciute di più di quelle non distrettuali.

Figura 1 – Brevetti, marchi, export e Ide nei distretti

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Database

Industria 4.0 aiuta a superare le criticità

Il futuro, tuttavia, richiede di affrontare alcune criticità, in parte comuni all’industria nel suo complesso. La rivoluzione digitale sta modificando l’organizzazione della produzione e della distribuzione nei distretti. In particolare, il ritardo nell’adozione di sistemi di smart manufacturing è evidente anche in questi territori.

Le tecnologie di Industria 4.0 possono tuttavia favorire le imprese distrettuali. Permettono infatti di rafforzare le loro capacità di produrre in piccole serie e con prodotti realizzati su misura del cliente e di gestire in modo più efficiente i tradizionali e fitti rapporti di filiera tra tante Pmi.

Devono però essere soddisfatti alcuni prerequisiti, che richiedono investimenti: una maggiore dotazione di capitale umano con le competenze necessarie; una maggiore capacità di banda per connettere le imprese al mercato; investimenti in macchinari, ricerca e sviluppo e software da parte delle imprese.

Soprattutto, è richiesta una maggiore “apertura”. Tradizionalmente, buona parte degli scambi lungo la catena del valore avveniva su territori circoscritti. La globalizzazione ha reso necessaria una prima fase di allargamento della localizzazione della propria catena del valore, con la delocalizzazione di alcune fasi a minore valore aggiunto. Le imprese hanno poi cominciato a concentrarsi maggiormente sulle fasi a monte e a valle dell’attività strettamente manifatturiera, sulla ricerca e sulla commercializzazione.

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Industria 4.0 si inserisce su questa tendenza richiedendo sempre più lavoratori con formazione universitaria; più capacità di investire in R&S e produrre innovazioni; maggiore offerta di servizi per le imprese a elevato valore aggiunto (Kibs). Queste risorse sono distribuite sul territorio in modo asimmetrico e tendono spesso a essere concentrate nei grandi centri urbani, quindi fuori dai confini distrettuali.

Non si può prescindere pertanto da una più ampia apertura dei distretti ai territori specializzati su queste risorse, attivando e utilizzando reti di connessione. Possono aiutare trasporti più rapidi, banda larga, networking dei giovani locali che hanno studiato in altri territori con i loro ex compagni di università.

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  1. Non vi è dubbio che il Piano nazionale industria 4.0 abbia rappresentato un punto di svolta nella politica industriale del nostro paese. Tuttavia il nostro panorama produttivo è costituito per oltre il 90% da micro-piccole imprese che durano molta fatica ad agganciare i driver per la crescita. Occorre pertanto un ulteriore sforzo da parte del legislatore che dopo l’introduzione della formazione i4.0 (legge di bilancio 2018), ponga le basi per agevolazioni ad hoc per le aggregazioni delle MPMI, contemplando altresì l’apertura (incentivante) a manager anche esterni.

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