Lavoce.info

Crisi delle nascite, un macigno sul nostro futuro

Politiche che aiutino le famiglie a realizzare i propri obiettivi di vita dovrebbero diventare la priorità. E non solo per frenare la denatalità, ma anche per ridurre le diseguaglianze e per una più solida crescita economica. Il buon esempio della Francia.

Italia e Francia a confronto

La fecondità oscilla in Europa da valori attorno ai due figli in media per donna a valori poco sopra un figlio. Quando rimane persistentemente bassa (più vicina a uno che a due figli), il calo delle nascite diventa progressivamente riduzione nelle età giovanili e successivamente erosione della popolazione al centro della vita attiva (asse portante della crescita economica e della sostenibilità del sistema di welfare).

Due casi interessanti da confrontare sono Francia e Italia. I due grandi paesi presentano livelli simili di longevità, livelli simili di preferenze riproduttive, ma dinamiche molto diverse sulla fecondità realizzata. Francesi e italiani partono a vent’anni con un analogo numero di figli desiderato (entrambi poco sopra ai due, come indicano i dati del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo), ma i primi, nel corso della loro vita, riescono sostanzialmente a raggiungere l’obiettivo, mentre i secondi si trovano progressivamente a rinviare e a rivedere al ribasso le proprie scelte.

La conseguenza è che: a) gli italiani hanno in media il primo figlio dopo i 30 anni, ovvero quando i francesi stanno in media per avere già il secondo, b) il nostro tasso di fecondità totale (pari a 1,34) è circa un terzo sotto il loro (1,96).

Il confronto indica due cose. Che i maggiori squilibri demografici tra i due paesi (figura 1) sono da ricondurre soprattutto alle diverse dinamiche della natalità (che ci portano ad avere oltre 6 milioni di under 35 in meno) e che i più bassi valori italiani non sono da imputare a un più basso desiderio di formare una famiglia con figli. Gli squilibri a livello di popolazione stanno, quindi, soprattutto nella differenza tra quanto si vorrebbe realizzare e quello che effettivamente si riesce a fare nei progetti di vita individuali. E quella differenza è lo spazio di azione delle politiche, carenti e occasionali in Italia e ben mirate e solide in Francia. Insomma il divario nasce da un approccio culturale, a monte, con opportuni strumenti a sostegno delle scelte individuali e di coppia, nel mezzo, da cui derivano i comportamenti riproduttivi, a valle.

Leggi anche:  Il patriottismo del calcio? È a doppia faccia

Approccio cultuale e servizi fanno la differenza

Sulle differenze a valle abbiamo già detto. L’approccio diverso a monte ha a che fare con l’idea, più presente in Italia, che i figli siano un costo privato dei genitori, contro la convinzione, più consolidata in Francia, che le nuove generazioni siano un bene collettivo su cui investire in modo solido a vantaggio di tutto il paese. Coerentemente, il sistema di tassazione francese rende meno gravosi i costi dell’allevamento di un figlio. Il loro “quoziente familiare”, in particolare, consente di calcolare l’imposta non solo in relazione al reddito complessivo, ma anche in funzione delle persone a carico di quel reddito.

Il sostegno sul versante economico alle famiglie con figli risulta nel complesso più generoso, mentre in Italia risulta sia più debole che più frammentato (una selva di assegni, detrazioni, bonus) e alla fine anche più inefficiente e iniquo, ovvero meno in grado di aiutare davvero le famiglie e ridurre le diseguaglianze di partenza.

La proposta di Matteo Renzi di un bonus figli di 80 euro (per famiglie con minori) può essere utile solo se è alla base di un progetto più ampio di razionalizzazione e maggior stabilità delle misure a favore delle famiglie (nella prospettiva di un “assegno universale unico” come previsto da un disegno di legge in discussione in Parlamento).

Oltre agli aiuti monetari – che vanno soprattutto razionalizzati e meglio mirati – la differenza con la Francia e altri paesi con fecondità meno sofferente, la fanno i servizi. Quello che va potenziato sono soprattutto strumenti che mettono demografia ed economia in relazione virtuosa tra di loro, grazie a un welfare attivo che aiuti a riconnettere lavoro e scelte di vita. In particolare, la carenza di politiche attive (a cominciare da servizi per l’impiego efficienti) contribuisce a far scivolare molti giovani nella condizione di Neet (o a mal collocarsi nel mondo del lavoro), con il conseguente rinvio dell’autonomia dai genitori e della formazione di una propria famiglia. Non è un caso se siamo uno dei paesi con maggior crollo della fecondità under 30 e maggior rinvio del primo figlio. Quando poi arriva il primogenito, le coppie italiane si scontrano con carenti politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia, in particolare con un meno diffuso e meno accessibile (per costi e orari) sistema di servizi per l’infanzia (il tasso di copertura italiano è la metà di quello francese). Non vale solo per il lavoro dipendente, come confermano le richieste di “Donne Impresa” di Confartigianato.

Leggi anche:  Dimmi cosa mangi e ti dirò che partito voti

L’impegno a rendere più solido il futuro

Misure di questo tipo dovrebbero diventare la priorità non solo per la denatalità, ma anche per ridurre le diseguaglianze e per una più solida crescita del paese. Consentono, infatti, ai cittadini di realizzare meglio i propri obiettivi di vita e alle famiglie con figli di proteggersi dal rischio di povertà. Ma aiutano anche a contenere gli effetti dell’invecchiamento della popolazione, a renderne più sostenibili i costi e a rafforzare la crescita economica aumentando la platea (in particolare nuove generazioni e donne) di chi è attivo e produce ricchezza nel paese.

Ma per andare in questa direzione ci vuole coraggio, che è quello di non promettere nessun euro in più alle pensioni (semmai rendere al suo interno la spesa più efficiente ed equa) e investire tutto quello che serve per rendere più solido il paese con le nuove generazioni. C’è qualche forza politica pronta a prendersi questo impegno?

Figura 1 – Popolazione per età. Italia e Franca 2016, previsioni Italia 2036 (scenario mediano Istat, base 2016)

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  È ora di un medagliere alternativo

Precedente

Effetto immigrazione sull’abbandono scolastico

Successivo

Nel duello Vivendi-Mediaset a perdere è Tim

12 commenti

  1. oscar

    ma chi ha mai deciso che l’italia sia sottopopolata? ben venga la depopolazione in un paese ovviamente sovrappopolato. Riprodursi per far crescere il PIL illustra la superficialita’ delle premesse dichiarate mentre suddividere le stesse risorse fra meno individui non possa se non essere desiderabile.

    • Stefano Schiavon

      Caro Oscar, evidentemente non hai figli perché altrimenti ti preoccuperesti delle conseguenze sociali causate dall’invecchiamento della popolazione. Solo un esempio, con il nostro sistema pensionistico, gli oneri di una popolazione che invecchia sempre di più sono, e saranno, a carico dei sempre meno giovani che popoleranno questo paese. E proprio il caso di augurare loro di potersene andare il prima possibile.

      • oscar

        bisogna che il paese decida se le generazioni future saranno sottoccupate o sovraoccupate.
        al momento sembra siano sottoccupate
        il paese invece e’ sovrappopolato, l’ambiente troppo sfruttato
        oscar

  2. Giuseppe Spazzafumo

    Sono anni che alcune forze politiche parlano di quoziente familiare, ma nessuno va oltre le chiacchiere ed invece il nodo è proprio quello. Semplice ed efficace, altro che elemosine in ordine sparso.

  3. Emanuele Bracco

    Mi domando pero’ quanto di questa differenza e’ fatta da una maggiore presenza di immigrati di seconda/terza generazione che mantengono maggiori tassi di fertilita’ (penso agli immigrati nord e centro africani in particolare).
    Non sono certo che il mio sospetto sia vero, ma mi incuriosirebbe sapere quanto di questa differenza puo’ essere spiegata da preferenze culturali/religiose.

  4. Savino

    Il vero macigno è l’egoismo delle generazioni più anziane.

  5. Fabio Rosi

    “Ma per andare in questa direzione ci vuole coraggio … C’è qualche forza politica pronta a prendersi questo impegno ?”.
    Questo è il succo dell’articolo, molto ben fatto. Peccato che il contenuto in soldoni è lo stesso di articoli simili (molto pochi per la verità) scritti da altri (pochi) autori illuminati già 30 anni fa e da allora non è stato fatto praticamente nulla … Dai tempi della sentenza della Corte Costituzionale in cui invitava il Legislatore a sanare la diseguagluaglianza per la quale un marito lavoratore con moglie a carico e tre figli e che guadagni 100.000 euro paghi più tasse di una coppia con tre figli nella quale moglie e marito guadagnino 50.000 euro ciascuno. Da allora non si è mai fatto nulla ! E ho detto tutto.

  6. Claudio Pagnani

    Ritengo la scelta di non avere figli frutto anche dell’egoismo e riconducibile a motivazioni culturali, poiché il “desiderio di avere figli” manifestato nel sondaggio, così come l’autonomia dai genitori, non si vedono concretizzati neppure fra i giovani con una situazione economica solida.
    A tal proposito consiglio questa lettura, dove si cita la Finlandia, che, con politiche pubbliche a livello di quelle francesi, ha un tasso di natalità più vicino a quello italiano:
    https://www.ilfoglio.it/politica/2017/09/21/news/il-dramma-di-una-politica-che-fischietta-sullapocalisse-demografica-153244/

    • Umar Jamil

      A tal proposito citerei anche la Germania, che pur avendo uno dei standard di vita più elevati, uno dei tassi di disoccupazione più bassi, un sistema di welfare molto efficente, ha comunque un tasso di fertilità non tanto lontano da quello italiano (rispettivamente 1.46 e 1.45 nel 2015); e non stiamo parlando di un paese con pochi abitanti, ma ben 80 milioni di abitanti di cui almeno il 25% con background straniero. Rimuovere l’elemento socioculturale credo sia molto riduttivo nell’analisi presentata dall’autore dell’articolo. In Danimarca uno spot che chiede ai danesi di fare più figli diventa un successo, lo stesso spot realizzato in Italia scatena una bufera: solo un caso?

      Spot danese: http://video.corriere.it/danimarca-spot-invitava-fare-piu-sesso-anno-boom-nascite/6c5aace2-2970-11e6-aa4c-a2d9e3978e50

  7. ELIO SMEDILE

    Qualsivoglia iniziativa per porre rimedio ad una previsione agghiacciante (nel 2036 l’Italia sarà un Paese di vecchi) potrà dare risultati nel medio-lungo periodo. La soluzione più semplice nel breve periodo sono. come ha suggerito Boeri; gli immigrati

  8. ELIO SMEDILE

    La previsione per il 2036 è agghiacciante, l’Italia diventerà un Paese di vecchi. Resta una soluzione sola, fare affidamento sull’inserimento delle famiglie immigrate.

  9. L’ONU ha previsto che alcuni paesi, tra cui il nostro, vedranno la loro popolazione dimezzata nei prossimi cinquant’anni. I tassi di nuzialita’ e natalità, gia’ prima della pandemia, erano ai minimi e in continua discesa. Secondo l’associazione avvocati divorzisti nel 2020 le separazioni sono aumentate del sessanta per cento.
    La pandemia è come l’ultima spinta contro un edificio, quello della famiglia, che stava già crollando.
    https://wordpress.com/post/newslettismo.wordpress.com/750

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén