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Fragilità di un paese demograficamente sbilanciato

In Italia si registrano ormai più morti che nascite. Con una popolazione che invecchia, senza gli immigrati lo sbilanciamento sarebbe più accentuato. Un miglior equilibrio demografico passa dalle opportunità nel mercato del lavoro per giovani e donne.

I dati dello squilibrio demografico

L’Italia è un paese demograficamente sempre più sbilanciato. A indicarlo sono soprattutto due dati forniti dall’Istat.

Il primo è il divario negativo crescente tra nascite e decessi. Nel corso del 2016 le persone che hanno iniziato sul suolo italiano la loro vita (i nati) sono state 142mila in meno rispetto a coloro che l’hanno conclusa (i morti). Il numero di nascite diminuisce non solo per le difficoltà ad avere i figli desiderati, ma anche per la progressiva riduzione delle potenziali madri: le donne di 50 anni sono oltre 500mila, mentre le donne di 30 anni sono meno di 350mila e quelle di 20 anni meno di 300mila. Le donne nate nel periodo del baby boom sono oramai uscite dall’età fertile e il ruolo riproduttivo è ora sempre più assegnato alle generazioni demograficamente meno consistenti nate dopo la fine degli anni Settanta. Riguardo ai decessi, il loro numero diminuisce con la longevità, ma aumenta con l’invecchiamento della popolazione. Ovvero viviamo più a lungo e si riducono i rischi di morte in età avanzata, ma cresce il numero di persone nelle età in cui i rischi sono più elevati.

Il secondo dato che evidenzia il nostro progressivo sbilanciamento demografico è, appunto, quello relativo alla struttura per età. La bassa natalità non porta solo a una riduzione della popolazione, ma anche a una accentuazione dello squilibrio strutturale. A fronte, infatti, di un numero di anziani che aumenta grazie ai miglioramenti delle condizioni di vita in età avanzata, la riduzione delle nascite porta a una diminuzione del numero di giovani. Tanto per fare un esempio, negli anni Sessanta la fascia 65-69 anni contava meno di 2 milioni di abitanti ed era circa la metà rispetto alla fascia 20-24 anni, mentre oggi ci troviamo con 650mila abitanti in più nella classe 65-69 rispetto alla classe 20-24.

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Immigrati ed emigrati

Questi dati tengono conto dell’apporto dell’immigrazione, senza il quale lo sbilanciamento risulterebbe ancora più marcato. Senza stranieri il deficit delle nascite sui decessi lievita a 205mila e la fascia 20-24 anni scende di 880mila persone sotto quella 65-69 anni. Da un lato, quindi, la popolazione di cittadinanza italiana aumenta nel tempo il suo saldo negativo, dall’altro la popolazione straniera riduce la sua capacità di compensarlo. Le stesse nascite straniere, dopo essere salite da 30mila nel 2000 a 80mila nel 2012, sono poi scese a 69mila.

A ridurre e a invecchiare la popolazione contribuisce poi anche il crescente numero di cittadini italiani, prevalentemente in età lavorativa, che cancellano la residenza per spostarsi all’estero (saliti nel corso del 2016 a 114mila).

Di cosa abbiamo davvero bisogno per rendere meno squilibrato il nostro futuro? La risposta principale sta nell’aumento della popolazione che partecipa alla produzione di ricchezza economica e benessere sociale per il paese. Prima di tutto, questo significa rimuovere gli ostacoli e favorire le opportunità della presenza delle nuove generazioni e delle donne nel mercato del lavoro. Il tasso di occupazione in età 25-29 maschile è il più basso tra i paesi europei, sotto di circa 17 punti percentuali rispetto alla media Ue-28. Ancora peggiore il dato femminile, sotto di 22 punti. Ciò produce ritardi e incertezze nelle scelte di autonomia e formazione di una propria famiglia, a cui si sommano le carenze delle politiche di conciliazione tra lavoro e figli nel resto della vita riproduttiva femminile. Lasciando scadere al ribasso i percorsi occupazionali e di vita di giovani e donne difficilmente potremo tornare a dar vitalità al paese.

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12 commenti

  1. Dario

    Credo che bisogna smetterla di vedere la diminuzione della popolazione come una disgrazia, si tratta, invece, di una benedizione. L’Italia è una paese fortemente sovrapopolato in cui la popolazione totale dovrebbe ridursi almeno della metà per uno sviluppo sostenibile. Certo che nella fase di trasizione ci sarebbero notevoli problemi (pochi giovani al lavoro e molti vecchi da mantenere) ma questo è uno scotto da pagare, il problema non è solo Italiano ma riguarda buona parte del mondo che sovrapopolato sta distruggendo il pianeta.

    • Andrea

      L’idea di sovrappolazione è data dalle colate di cemento che hanno distrutto il nostro territorio; ma si tratta spesso di seconde case, che per la maggior parte dell’anno restano vuote…..se sparissero le seconde case, sostituite da alberghi sviluppati in altezza, il consumo del suolo sarebbe notevolmente inferiore e potremmo ancora godere di località incontaminate.

  2. Savino

    Auguriamo lunga vita a tutti, ma ci si deve rendere conto, a tutte le latitudini di reddito, proprio perchè non esiste l’immortalità, che, una volta raggiunto un certo livello di benessere, si può anche rinunciare a qualcosa per favorire le generazioni future. Vedo, invece, che stravincono sempre di più i fattori “sentirsi giovane” e “non mi basta mai”.
    L’Italia sta scegliendo volutamente di non far valere il principio costituzionale di opportunità citato nell’articolo.
    Le opportunità vogliono continuare ad averle le stesse persone, senza diversificazione nè di età nè di genere.
    E’ una scelta netta di cui ci si deve assumere le responsabilità,con nomi e cognomi, perchè se le cose non vanno, come non vanno in effetti, dobbiamo sapere con precisione chi ne è responsabile.

  3. bob

    le politiche demografiche di un Paese sono frutto di progetti a lunga scadenza fatte da politici lungimiranti e da Paesi che funzionano con il concetto di sistema-Paese ( gli esempi più conosciuti di politiche demografiche sono qquelli fatti da Cina e India). L’ Italia non solo soffre di disavanzo negativo demografico ma anche di uno squilibrio geografico territoriale tra aree densamente ( troppo) popolate e aree completamente spopolate. Questo squilibrio crea danni economici importanti. Basta vedere l’ultimo episodio delle vaccinazioni obbligatorie dove ad uno Stato si contrappone il ” folkloristico governatore” di turno che per obiettivi politici di breve respiro, impedisce qualsiasi progetto valido o meno da attuare. Il Paese dalla scarsa memoria viaggia barcollando come un ubriaco! Solo l’inizio il bello a tra poco….!

  4. Domenico Gianni

    Paesi occidentali che hanno una partecipazione maggiore delle donne al mercato del lavoro hanno lo stesso problema, quindi c’entra veramente poco.
    Ignorare poi che se le donne lavorano fanno meno figli o li fanno più tardi quando è pericoloso per la salute della donna e del potenziale bambino (già dai 30 anni è sconsigliato) puzza di politicamente corretto, che certo non contribuisce a trovare soluzioni.
    Statisticamente parlando, il crollo delle nascite inizia con la rivoluzione sessuale (si arrabbino pure le femministe, ma si rischia davvero la distruzione del mondo occidentale). Il problema è sostanzialmente culturale e va risolto con una contro-rivoluzione dello stesso tipo.

  5. Henri Schmit

    Ma quanto è interessante l’informazione fornita! e quanto sarebbe importante tenerne conto, intervenire! La situazione già drammatica è in continuo peggioramento.L’immigrazione è una magra “consolazione”. L’emigrazione è aggravata dal fatto che il paese esporta risorse qualificate (di cui ha già sostenuto la costosa formazione) mentre importa risorse non qualificate. Nel paragone con gli anni 60 bisognerebbe tenr conto della massiccia emigrazione di allora (o del periodo appena antecedente), con la differenza che si trattava allora di esportazione di manodopera maschile non qualficata. Un mondo alla rovescia. In questo paese per la massa dei giovani manca tutto: lavoro, casa, asili, impianti sportivi, un’economia aperta, investimenti, e ancora lavoro; vanno avanti (quasi) solo i figli di, i raccomandati, i lei non sa chi sono io. Anche su questo esistono statistiche e studi, http://www.lavoce.info/archives/27721/mobilita-sociale-in-italia-e-ferma/, con l’Italia fanalino di coda della mobilità sociale. That is no country for young men, potrebbe dire il poeta ….

  6. Marcomassimo

    Il fatto è che il cosiddetto libero mercato tende per definizione a causare avvitamenti al ribasso; lavoro precario, disoccupazione, bassi salari, incertezze essitenziali; che poi ai piani alti ci sia chi magari si arricchisce in modo spropositato come certi finanzieri o certi manager che vengono strapagati a prescindere dai risultati, questo non compensa la quantità consistente di persone che tirano avanti arrangiandosi; e poi certo se l’economia non cresce se la gente non può consumare; a prescindere dalla vetustà del welfare italiano se non si cambia paradigma a livello globale è un pantano da cui non usciremo mai veramente; occorre tornare a mirare keynesianamente alla piena occupazione prima che alle altre cose.

  7. Savino

    L’asse Grillo-Salvini anzichè allearsi per abolire la legge Fornero cominci a mettersi una mano sulla coscienza chiedendo a chi è andato in baby pensione (tutti loro elettori con la ruspa pronta) di rinunciare a qualcosa per consentire, come da Costituzione, pari opportunità anche ai più giovani

  8. Flex

    Anche se la penso meno estremo, sono d’accordo con il commento di Dario sotto. Trovo che la maggioranza delle analisi e commenti sui flussi demografici non tenga conto degli “stock” demografici che si sono accumulati nel mondo e come ciò influisca sulla sostenibilità degli stock ambientali. Per fare un esempio, le principali stime mostrano che lo stock di popolazione esistente ha già consumato ad agosto il flusso di servizi prodotto dall’attuale stock di risorse naturali in un anno. Ciò significa che da settembre dobbiamo ridurre ulteriormente lo stock di risorse ambientali. E’ un evidente circolo vizioso. Detto questo è ovvio, almeno a me, che le politiche raccomandate dall’autore sul mercato del lavoro dovrebbero comunque essere perseguite a prescindere da ciò che provocano sulla demografia. Ma niente allarmismi sul calo della popolazione, anzi è benefico, e soprattutto niente interventi diretti per aumentare le nascite, please, cosa che tra l’altro ricorderebbe un infausto passato italiano.

  9. Fabio Rosi

    Seguo, senza considerarmi un esperto, le tematiche demografiche da più di vent’anni e vivo la questione personalmente con grande apprensione, avendo, tra l’altro, cercato di contribuire con 5 figli alla risoluzione del problema !
    Ci sarebbe tantissimo da dire pro e contro i vari commenti, ma c’è spazio solo per due considerazioni che sono dei dati di fatto, per i quali non è necessario schierarsi.
    Il primo è che, nei paesi avanzati, dove apparentemente il numero di donne al lavoro è pari a quello degli uomini, il tasso di natalità è bassissimo anche lì: ovvero le donne in occidente, stanno rinunciando, volontariamente o meno non lo so, a fare figli.
    La seconda considerazione riguarda le leggi demografiche, che, ahimè per Dario e altri come lui che invocano la “decrescita felice”, non sono lineari, ma esponenziali, sia per la crescita, sia per la decrescita. Se oggi c’è la metà di donne fertili rispetto a 20 anni fa, fra vent’anni ce ne sarà un quarto e poi un ottavo. L’Europa ha già vissuto in epoca romana questa decrescita e sappiamo come è andata a finire con le invasioni barbariche. Ci ha messo secoli per riprendersi.

  10. Carmine MEOLI

    Controcorrente: e se prendessimo in considerazione l’ipotesi di fornire un reddito alle donne che preferiscono non cercare lavoro per prendersi carico di figli e famiglia? Non di tratta di accantonare le iniziative per pari opportunità ma di rendere disponibile un’lteriore opzione. In fondo oggi gli incentivi sono tutti destinati a chi lavora mentre esistono solo penalità per la scelta (anche temporanea) diversa.

  11. Otto

    Paradossalmente una crescente immigrazione, specie nelle citta’, potrebbe avere l’effetto di deprimere nuzialita’ e natalita’ tra gli italiani. Primo, contribuisce ad una corsa al ribasso dei salari e delle condizioni di lavoro (orari etc.); secondo, genera piu’ o meno giustificata paura (quale coppia mette al mondo un figlio vivendo in un quartiere che ritiene degradato?); terzo, mettendo sotto pressione servizi come la scuola, aumenta il costo di ogni figlio (una buona istruzione richiedera’ sempre piu’ scuola privata o spostarsi nel bacino di utenza di una scuola statale buona, dove i prezzi delle case lievitano – vedi UK). Raramente vedo riflessioni su questa dinamica, come pure sui costi aggiuntivi che una buona gestione dell’immigrazione richiede (per evitare guai in futuro): insegnanti addizionali, servizi sociali, politiche abitative. Inoltre raramente si nota come la maggioranza delle ultime ondate migratorie sia costituita da maschi (che da soli non fanno figli!). Insomma, forse scommettendo sugli immigrati tamponiamo la situazione adesso, per creare costi ulteriori in futuro e gia’ ora – inclusi effetti negativi per la natalita’.

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