La Commissione di indagine sulle banche è solo un ring per lo scambio di accuse. Sarebbe molto più utile, invece, una discussione aperta su come costruire un sistema di vigilanza adeguato alle nuove esigenze di tutela di risparmiatori e investitori.
Boxe pre-elettorale
Non è molto elegante l’autocitazione, ma in questo caso è necessaria. Circa sei mesi fa, quindi in tempi non sospetti, con Raffaele Lungarella abbiamo pubblicato su questo sito un articolo sull’allora progetto di legge di costituzione della Comissione d’inchiesta sulle banche che così concludeva “Già si sono avute le avvisaglie di possibili ping pong di reciproca attribuzione di responsabilità sulle vicende degli ultimi anni, e non è certo un azzardo temere che la Commissione si trasformi in un ring di battaglia tra partiti, man mano che le elezioni si avvicinano. Per evitare il classico palcoscenico dove tutti incrociano le armi per poi produrre corpose quanto inutili documentazioni, sarebbe opportuno focalizzare l’attenzione sulle direttrici in grado di realizzare in tempi ragionevoli risultati concreti e praticabili. È evidente, ad esempio, che il nostro assetto regolamentare, anche nei suoi rapporti con la disciplina comunitaria, deve essere ripensato. Una Commissione che si concentri su questo snodo fondamentale per il futuro del nostro sistema bancario, e che elabori indirizzi e principi, inevitabilmente destinati alla prossima legislatura, per una seria e organica riforma farebbe un buon lavoro e darebbe un senso alla sua esistenza”.
Le previsioni, purtroppo, si stanno rivelando giuste: i lavori della Commissione offrono spettacoli di boxe pre-elettorale, dove il ping pong funziona a pieno regime e quindi tutto si annacqua. Così, il compito più importante affidatole dall’articolo 3 della legge istitutiva, e cioè “verificare l’adeguatezza della disciplina legislativa e regolamentare nazionale ed europea sul sistema bancario e finanziario nonché sul sistema di vigilanza, anche ai fini della prevenzione e gestione delle crisi bancarie”, corre il rischio di rimanere lettera morta. Con una relazione finale priva di un serio dibattito e proposte concrete sui nuovi assetti regolamentari e destinata rapidamente al dimenticatoio post-elettorale.
L’architettura della vigilanza
A proposito di dimenticatoio, forse qualcuno ha dimenticato che all’inizio del secolo, in occasione dei grandi scandali societari che pure coinvolsero migliaia di risparmiatori, il parlamento discusse a lungo con diversi disegni di legge la possibilità di rivedere una architettura della vigilanza che già aveva segnalato evidenti criticità, soprattutto nel coordinamento tra le autorità competenti. Ma anche allora incombeva la fine della legislatura e non se ne fece niente: il parto finale, la legge 262/2005, fu decisamente troppo timido e contraddittorio rispetto al tentativo di ridisegnare il sistema dei controlli. E non è un caso che quelle criticità si siano puntualmente ripresentate.
In occasione delle feste natalizie, è allora consigliabile la lettura di un recente contributo del centro studi Bruegel curato da Dirk Shoenmaker e Nicolas Véron, A twin peaks’ vision for Europe.
I due autori affrontano uno degli ostacoli più difficili che lastricano la strada dell’unione bancaria e cioè la riorganizzazione delle competenze delle autorità di controllo. Un tema non certo nuovo, ma che adesso, alla luce dell’evoluzione del sistema finanziario e delle crisi che hanno coinvolto suoi importanti settori, si pone al centro dell’agenda politica e con urgenza. Il lavoro adotta una prospettiva tutta europea, ma è interessante perché, richiamando rapidamente le esperienze maturate nei vari paesi, ne sottolinea costi e benefici.
Va detto che su questo terreno da tempo si confrontano orientamenti diversi, tra chi privilegia modelli organizzativi di ripartizione delle competenze per finalità e chi invece preferisce la creazione di un’unica autorità di controllo. Ma proprio per questo sarebbe proficua una aperta discussione su quali possano essere le soluzioni migliori per costruire un sistema di vigilanza adeguato alle nuove esigenze di tutela di risparmiatori e investitori, per far sì che quello che è successo non si ripeta più. Una discussione sicuramente molto più utile degli stracci che oggi volano nel parlamento italiano.
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Henri Schmit
Non capisco come una Commissione parlamentare d’inchiesta istruita in campagna elettorale possa escogitare e formulare gli elementi per una riforma della vigilanza finanziaria. Non sembra nemmeno concentrata sugli errori e le omissioni dei controllori, ma più interessata alla gestione dei vertici bancari e alle iniziative presunte improprie di singoli ministri. I membri della commissione sono interessati a compiacere ai loro capi che stanno per decidere le liste e l’ordine di presentazione quindi di elezione delle elezioni politiche. Nemmeno i futuro legislatori saranno in grado di pensare e approvare una riforma effettiva della vigilanza finanziaria e della governance bancaria. Meglio abdicare e consegnare l’intero compito, la legislazione e i controlli all’UE.
carlo giulio lorenzetti settimanni
Nella vicenda delle crisi bancarie quel che si può rimproverare a Bankitalia non è tanto di non aver esercitato adeguatamente l’attività di vigilanza (le ispezioni in tutti gli istituti coinvolti sono state numerose e penetranti),
quanto di non aver adottato con la dovuta tempestività le misure previste dal T.U. bancario per fronteggiare le situazioni di “mala gestio” e le gravi irregolarità emerse proprio nel corso delle ispezioni stesse.
Un punto, a mio avviso, sottostimato nel dibattito in corso riguarda il placet concesso da via Nazionale alla nomina di molti esponenti bancari privi dei requisiti previsti dalla legge e rivelatisi in molti casi incompetenti o felloni. La nomina di buoni amministratori, dotati della necessaria esperienza e delle qualità morali e professionali per l’esercizio di compiti così delicati , che coinvolgono gli interessi di migliaia di risparmiatori, dovrebbe essere la prima garanzia per evitare il ripetersi di nuovi episodi scandalosi.