Netflix ha rotto il predominio delle major nella produzione e distribuzione di contenuti per la tv. Ora Disney passa al contrattacco con l’acquisizione di 21th Century Fox. Il settore si avvia probabilmente a un nuovo cambiamento, Antitrust permettendo.

Un accordo annunciato

Quando a metà dicembre 2017 The Walt Disney Co ha messo sul piatto 52,4 miliardi di dollari per l’acquisizione delle attività audiovisive di 21th Century Fox, la società di Rupert Murdoch che gestisce Sky in Italia, nessuno è caduto dalle nuvole. Per un verso perché l’operazione era nell’aria da tempo, annunciata dalla società di Topolino qualche settimana prima, ma soprattutto perché, come ormai è chiaro, la vera partita sui contenuti, nell’era della convergenza, si gioca tra operatori sempre più globali, internet company da un lato e fornitori di contenuti (major, studios e broadcaster) dall’altro.

Già all’indomani dell’ingresso di Netflix in Italia, il 24 ottobre del 2015, sottolineai su queste colonne come dal quel momento il mondo dell’audiovisivo e della tv, in Italia e nel resto del mondo, non sarebbe stato più lo stesso. Indipendentemente dal successo della sua sfida globale, che potrà essere misurato solo tra qualche anno, Netflix ha cambiato il paradigma consolidato con il quale per decenni la televisione, il cinema e l’immaginario audiovisivo sono stati finanziati, realizzati, distribuiti e consumati. Grandi società di produzione, le sette major, tutte localizzate in una sola area (Hollywood), per meglio sfruttare le economie di scopo – così come avevano fatto altre industrie nel secolo precedente (per esempio, l’auto a Detroit) – hanno dominato per decenni l’industria audiovisiva. Lo hanno fatto controllando la distribuzione nei canali tradizionali e provvedendo a smistare i propri contenuti alle sale cinematografiche, ai distributori dei video-shop e alle tv, a cominciare da quelle a pagamento, attraverso un efficace sistema di finestre basato su esclusive temporali per ciascun mezzo, anche a livello internazionale (la potentissima Motion Picture Association of America).

In questo modo le major massimizzavano i ricavi, estendendoli a una pluralità di fonti di finanziamento, incrementando i costi di produzione per accaparrarsi i migliori talenti e dunque accrescendo le barriere all’ingresso ai potenziali nuovi entranti. A loro volta, i grandi distributori video (la catena Blockbusters in primo luogo) e le tv, comprese quelle a pagamento, potevano acquisire contenuti unici e attraenti da rivendere ai loro utenti o abbonati, aumentando i propri ricavi.

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Verso nuovi equilibri?

Netflix è stata la prima società a rompere questo confortevole oligopolio e a capire che Internet anche in questo ambito avrebbe avuto un impatto distruttivo, come già avvenuto per le altre industrie dell’intrattenimento (musica, stampa, giochi). Così ha cavalcato il cambiamento fin dal suo passaggio, nel 2010, da società di vendita di video per posta a fornitore di servizi online in streaming in abbonamento (il cosiddetto subscription vod). Ha messo in crisi dapprima la componente più debole e più dipendente dalle major, l’homevideo, accelerando la chiusura di Blockbusters. Poi ha iniziato a cannibalizzare la tv a pagamento, favorendo l’abbandono degli abbonati (il cosiddetto cord cutting) e sostituendosi a Hbo come principale servizio di pay tv al mondo con oltre 100 milioni di abbonati. A mano a mano che estendeva la sua sfera d’influenza, iniziava a diventare un pericoloso concorrente, e non più solo un vorace utilizzatore e acquirente, dei prodotti delle major hollywoodiane.

Due sono i passaggi chiave del mutamento di rotta. Il primo è stato la decisione di Netflix di entrare pesantemente nella produzione di film e serie, diventando di fatto un’altra grande major, con 7 miliardi di dollari l’anno di investimenti. In questo modo la società di Reed Hastings si è in parte affrancata dalle major per l’approvvigionamento dei contenuti necessari a nutrire il suo ampio catalogo e nello stesso tempo ha potuto negoziare da una posizione di maggiore forza l’acquisto dei prodotti dalle major stesse.

Il secondo passaggio è stata la decisione di Disney di rescindere da gennaio di quest’anno tutti gli accordi di distribuzione con Netflix, annunciando dal 2018 il lancio di un proprio servizio di video streaming. Così la società di Topolino, certamente la più forte tra gli studios e una delle più note al mondo in termini di brand, è stata la prima a porsi in diretta concorrenza con Netflix, competendo direttamente su tutti i possibili elementi della catena del valore.

Oggi il gigante hollywoodiano aggiunge alla sua strategia globale un altro tassello: la possibilità di operare con il marchio Fox, i suoi contenuti, le sue tv a pagamento, a cominciare da Sky, con lo sport come innegabile consistente vantaggio competitivo rispetto al rivale.

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Bisognerà aspettare che le autorità di concorrenza, nelle varie realtà dove Disney e Fox operano (Usa e Regno Unito in primo luogo) facciano le loro verifiche, che speriamo non siano troppo lunghe, per vedere se la sfida, che non sarà certamente indolore per nessuno dei rivali, determinerà nuovi passaggi e cambi di direzione in quella che è certamente una fase cruciale nella trasformazione dell’industria dei contenuti nell’era digitale.

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