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Comuni sciolti per mafia: qualcosa non ha funzionato

Lo scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose è uno strumento che non ha dato i risultati sperati. Andrebbe riformato uscendo dal paradigma dell’urgenza e con una progressione degli interventi, così da agire in modo preventivo ed evitare ricadute.

Uno strumento poco efficace

La misura dello scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose è oggetto di un ampio dibattito. I dati statistici evidenziano che dal 1991 sono stati adottati 454 decreti del Presidente della Repubblica, di cui 272 decreti di scioglimento, 158 decreti di proroga e 28 annullamenti e 34 decreti di esito negativo. Tra il 2016 e il 2017 i Dpr sono stati 40, di cui 28 di scioglimento, 11 di proroga, 1 di annullamento e 3 di esito negativo. Complessivamente, sono stati sottoposti a scioglimento 204 comuni, di questi 149 sono stati sciolti una volta, 42 comuni sono stati sciolti due volte e 13 comuni sono stati sciolti tre volte. Le figure 1 e 2 evidenziano chiaramente queste tendenze.

Figura 1 – Serie storica Dpr di scioglimento – Riepilogo nazionale – Anni 1991-2017

Fonte: Avviso pubblico

Figura 2 – Andamento scioglimenti per regione – Anni 1991-2017

Fonte: Avviso pubblico

A una prima valutazione appare evidente che lo strumento è stato poco efficace. In primo luogo, perché lo scioglimento è stato decretato sempre su comuni di dimensioni piccole. E gli interessi che gravitano intorno a un municipio di poche anime possono essere poco appetibili. Nei grandi comuni o nelle provincie le richieste sono state quasi inesistenti. I motivi sono due. In primo luogo, i grossi centri hanno interessi politici molto forti e con risvolti regionali e nazionali, la scelta quindi deve tenere conto di delicati equilibri politici. In secondo luogo, in questi casi la presenza della criminalità è più indiretta e realizzata attraverso quella che viene definita “l’area grigia”.

Lo scioglimento è poi una politica non scevra di effetti collaterali, sia in termini di immagine, sia in termini di capacità gestionale delle strutture commissariali, che spesso aggravano i problemi amministrativi del comune.

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In diversi casi, poi, lo scioglimento si reitera a intervalli di tempo ravvicinati, cosa che conferma la scarsa efficacia del provvedimento.

In sintesi, i nodi problematici della procedura di scioglimento sono: l’inefficacia del provvedimento; l’aggravamento dei problemi amministrativi e gestionali dei comuni; l’applicazione a realtà piccole; l’incapacità di colpire l’area grigia che si pone come cerniera fra le istituzioni e la criminalità; la limitazione degli effetti agli amministratori, con la sostanziale esclusione della dirigenza; l’esagerata confidenza sulle capacità taumaturgiche delle terne commissariali.

Proposte per una riforma

Da questa sommaria analisi si possono trarre alcune riflessioni sulle ipotesi di riforma dell’istituto.

Ci troviamo in una situazione in cui si opera con il paradigma dell’urgenza e senza una graduazione degli interventi. Una volta che la commissione d’accesso si è insediata può verificarsi solo una di due ipotesi: a) consiglio comunale sciolto; b) consiglio comunale non sciolto. Quanto poi all’accertamento dell’esistenza del condizionamento occorrerebbe rendere meno arbitrari i canoni su cui si basa la valutazione, spostando l’attenzione dai soggetti alle condotte amministrative per evitare che il rapporto di semplice parentela o una interlocuzione occasionale possano essere interpretati come una forma di contagio.

Una proposta potrebbe essere quella di eliminare il carattere di urgenza alla procedura e costruire invece strumenti ordinari di verifica dell’attività ammnistrativa e di affiancamento per tutti i comuni italiani.

L’esito della verifica sulle infiltrazioni della criminalità potrebbe dare origine a sanzioni differenziate, come:

  1. divieto di espletare appalti
  2. obbligo di rotazione degli incarichi dirigenziali
  3. licenziamento o trasferimento dei dirigenti e dei dipendenti
  4. obbligo di espletamento di tutti gli appalti attraverso la stazione unica appaltante (Sua)
  5. modifiche sui bilanci approvati
  6. modifiche o bocciature di delibere e determine
  7. verifica sui requisiti di moralità degli eletti e dei candidati
  8. decadenza o sospensione temporanea di sindaci, consiglieri e assessori
  9. affiancamento di una task force per il monitoraggio dell’attività amministrativa
  10. scioglimento del consiglio comunale

In casi gravi, alla verifica ordinaria, si può aggiungere l’insediamento di una commissione d’accesso.

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Queste misure mirano a evitare l’evoluzione della patologia, mentre gli interventi attuali si basano su un approccio di tipo chirurgico che interviene con il bisturi quando la situazione si è incancrenita. Nell’ambito della nostra proposta di riforma, lo scioglimento del consiglio comunale diventa un rimedio estremo, che deve essere accompagnato da un monitoraggio successivo dell’attività amministrativa per evitare ricadute.

In sintesi, si propone di trasformare da straordinaria a ordinaria la procedura di verifica delle infiltrazioni mafiose all’interno degli enti locali e di promuovere una serie di sanzioni crescenti, da rafforzare con l’affiancamento degli organi politici da parte di una task force per agire in maniera preventiva ed evitare ricadute.

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  1. Savino

    Il 2017 è stato l’anno record per scioglimenti. Questo deve far riflettere profondamente tutti sull’istituzione Comune e su come viene gestita. Ormai in tutte le località, del sud ma anche del nord, solo gruppi di potere con finalità non collettive ben precise, si interessano alla politica locale, decisamente la più inquinata di tutte.

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