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Ferrovie: i frutti di una liberalizzazione per caso

La liberalizzazione nel trasporto ferroviario serviva per uscire dalle tariffe regolamentate. L’arrivo di un operatore privato in concorrenza sulle linee dell’alta velocità non deriva dunque da deliberate scelte pubbliche. Ma ha avuto effetti positivi.

Le vie della liberalizzazione

Un’impresa ferroviaria privata e profittevole, operante in un segmento liberalizzato e in forte crescita del trasporto passeggeri, è stata ceduta a un multiplo elevato dei suoi margini a un soggetto economico esterno all’Unione europea. Tutto questo si è verificato nel nostro paese ed è la prima volta che accade in Europa, ove è peraltro difficile che possa ripetersi in un futuro prossimo. Com’è possibile che l’Italia, paese poco propenso alle riforme nei servizi pubblici, si trovi ora all’avanguardia nel cambiamento? La risposta più verosimile è che tutto questo sia avvenuto per caso e non in conseguenza di scelte pubbliche organiche e deliberate.
Negli ultimi decenni del Novecento il declino modale del trasporto ferroviario è stato contrastato nei maggiori paesi dell’Unione attraverso due strategie differenti: da un lato, la realizzazione di linee ad alta velocità, in grado di abbattere i tempi di trasporto e rendere il treno competitivo rispetto all’aereo sulle distanze medio-lunghe e rispetto all’auto su quelle medio-brevi. Dall’altro, la realizzazione di processi di liberalizzazione. I paesi che hanno scelto la prima strada hanno generalmente conservato il monopolio (Francia, Germania e Spagna), mentre quelli che hanno adottato la seconda (Regno Unito, nella forma della concorrenza per il mercato, e Svezia, dal 2011 nella forma dell’open access) non hanno ritenuto di investire in linee dedicate ad alta velocità. L’Italia rappresenta un’eccezione: ha messo in esercizio le nuove linee ad alta velocità nella seconda metà del decennio scorso, diversi anni dopo che il monopolio legale nel trasporto ferroviario era stato rimosso (con l’art. 131, comma 1, dalla legge 388/2000, la finanziaria per il 2001).
Questa doppia scelta, che è all’origine del caso Italo, non ha tuttavia rappresentato una strategia esplicita e deliberata. Chi ha liberalizzato nell’ormai lontano 2000 non aveva in mente l’arrivo effettivo di treni privati in concorrenza, ma intendeva solo adottare una salvaguardia ai possibili effetti della deregolamentazione delle tariffe ferroviarie sulle lunghe distanze, richiesta dalle stesse Fs per poter differenziare i prezzi e conseguire maggiori ricavi da mercato. Con la norma del 2000 il regime concessorio veniva pertanto circoscritto alla sola rete ferroviaria, mentre nei servizi di trasporto era sostituito da un regime di autorizzazioni, a questo punto non più in esclusiva. Con la caduta della riserva legale venivano meno le tariffe regolamentate, ma non era previsto l’arrivo di treni in concorrenza. È la ragione per la quale alla “liberalizzazione” italiana sono mancati per lungo tempo due tasselli fondamentali: l’istituzione di un regolatore indipendente del mercato – l’Autorità di regolazione dei trasporti, operativa solo dalla fine del 2013 – e una definizione con criteri trasparenti della tariffa di pedaggio per l’utilizzo della rete.

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Effetto Italo sul mercato

Nonostante i cancelli del campo da gioco siano stati aperti senza prima individuare un arbitro indipendente e ancora prima di fissare il prezzo per l’uso del campo, nel 2006 è stato fondato Nuovo Trasporto Viaggiatori, che nell’aprile 2012 ha iniziato il servizio passeggeri attraverso i nuovi treni Italo. È così nata la concorrenza per la prima – e per ora anche unica – volta in Europa su linee ad alta velocità.
A distanza di sei anni quali sono i risultati conseguiti grazie al nuovo assetto del mercato? Purtroppo, ed è piuttosto sorprendente considerando l’investimento pubblico di oltre 32 miliardi nelle nuove linee, non vi sono rilevazioni ufficiali separate, da parte dell’Istat, del ministero dei Trasporti o dell’Autorità, del traffico ad alta velocità rispetto a quello tradizionale; e dei due operatori, solo Italo pubblica i propri dati di traffico assieme a una stima dell’intero mercato alta velocità, alla quale bisogna pertanto fare riferimento.

Grafico 1 – Il mercato passeggeri ad alta velocità (miliardi di passeggeri km)

Fonte: Italo spa

In base ai dati di Italo, il mercato italiano dei servizi passeggeri ad alta velocità risulta cresciuto dagli 8 miliardi di passeggeri km del 2010, primo anno in cui la rete Av era completamente in esercizio ma non ancora in concorrenza, sino ai 15 miliardi del 2017, dei quali il 35 per cento, corrispondenti a poco più di 5 miliardi, trasportati da Italo e i restanti da Trenitalia. In sette anni il mercato è pertanto quasi raddoppiato e la sua crescita media annua dall’introduzione della concorrenza è di poco superiore al 10 per cento. L’aumento delle dimensioni del mercato non ha creato beneficio solo a Italo ma anche a Trenitalia, il cui traffico ad alta velocità risulta accresciuto dagli 8 miliardi del 2010 sino ai quasi 10 del 2017, circa un quarto in più. Quanto della crescita del mercato è merito della concorrenza, che ha abbassato i prezzi, e quanto delle nuove linee, che hanno aumentato la velocità? Difficile dirlo con precisione, tuttavia il grafico 1 segnala un’accelerazione della crescita, sia per Italo che per il mercato, nel 2015, anno nel quale cambia la strategia di Italo, passando da una concorrenza prevalentemente focalizzata sulla qualità del servizio a una focalizzata sui livelli di prezzo.

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Grafico 2 – Il mercato ferroviario passeggeri (miliardi di passeggeri km)

Fonte: Eurostat e Conto nazionale dei trasporti, stime per l’anno 2017. Il valore totale 2017 è stimato in base ai dati Eurostat dei primi tre trimestri e le sue tre componenti sono ottenute nel seguente modo: dato effettivo per Italo, ipotesi costante per gli altri operatori e valore residuale per Trenitalia. TreNord, costituita nel 2011 e partecipata al 50 per cento da Trenitalia e al 50 per cento da Fnm, è inclusa, non essendo disponibili i dati specifici, tra gli altri operatori.

La concorrenza sull’alta velocità ha prodotto un’inversione della tendenza al declino, anche in termini assoluti e non solo come quota modale, dell’intero trasporto ferroviario passeggeri che si era manifestata nella seconda metà del decennio scorso. Dopo il valore di 50,2 miliardi di passeggeri km nel 2001, il mercato si era infatti ridotto a 46,8 miliardi nel 2011, anno di entrata di Italo, ed è successivamente risalito sino ai 53,5 miliardi che possiamo ragionevolmente stimare per il 2017. È il dato più elevato in tutta la storia delle ferrovie italiane.
Se in sei anni la concorrenza è riuscita a far crescere da 8 a 15 miliardi di passeggeri km il traffico dell’alta velocità, quali effetti potrebbe produrre sui restanti 40 miliardi di passeggeri km sui quali non ha potuto sinora manifestarsi?

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Truffe rosa in Parlamento

  1. Michele

    Non è la concorrenza in se a far crescere il numero dei passeggeri della AV. Al massimo la concorrenza ha diminuito i prezzi e aumentato la frequenza delle corse totali, cosa che avrebbe potuto fare agevolmente anche un monopolista adeguatamente “stimolato” da un regolatore capace. Significativo invece che nessun altro paese che ha investito nella AV abbia elimininato il monopolio. Forse perché altrove non è facile far passare esternalità positive di 32mld di investimenti pubblici a favore di operatori privati. Così si spiega una valutazione così generosa di 16/17 volte Ebitda adjusted

  2. Mario Sebastiani

    Non è esatto che con il venir meno della riserva legale al trasporto pax nel 2000 i prezzi siano stati deregolamentati. Fino al 2007 hanno seguitato ad essere approvati dal CIPE e solo poi sono stati deregolamentati per i servizi non in OSP . Questo cambio di indirizzo è stato propiziato dalla stessa Commissione europea, che nel luglio 2007 (commentando il d.l. governativo sulla istituzione di una Autorità indipendente per i trasporti) comunicava al governo italiano che le tariffe per servizi di media e lunga percorrenza non potevano ricadere nell’ambito delle competenze di questa in quanto l’autonomia delle imprese ferroviarie in materia tariffaria è sancita dalla direttiva comunitaria 1991/440 (art. 5) dove si stabilisce che «(…) le imprese ferroviarie sono in particolare libere di disciplinare le modalità della fornitura e della commercializzazione dei servizi e stabilirne la tariffazione (…)», con esclusione dei servizi disciplinati da un contratto di servizio pubblico

  3. Giuseppe Colombi

    Chi scrive si era sbagliato: pensava che Italo non sarebbe riuscito a stare sul mercato e che in un quinquennio le sue perdite sarebbero state riassegnate allo Stato, come è sempre avvenuto, profitti privati, perdite pubbliche. E investimenti sulla rete AV completamente fuori da ogni controllo.
    Per inciso, da un punto di vista ingegneristico, considero l’impatto ambientale del complesso autostrada-Rete AV tra Milano e Torino una vergogna ed un orrore di cui i responsabili dovrebbero essere almeno esiliati per sempre..
    Tornando ad Italo, invece gli investitori non solo hanno marginato più volte con il capitale azionario, ora hanno addirittura venduto per una cifra altissima: E Italo ha abbassato i prezzi di tutti. Su Milano-Roma ad esempio si può arrivare a riduzioni superiori al 70% dei prezzi di monopolio. Trenitalia continua a non fornire dati, mi pare, e continua ad essere un modello negativo di comunicazione e relazione con l’utenza.
    Il prof. Arrigo saprebbe elaborare un’interpretazione dell’operazione americana appena avvenuta? Che cosa ci si potrà aspettare in futuro in questo settore?

  4. Massimo Ferrari

    Condivido con la tesi del prof Arrigo, salvo nella conclusione. La concorrenza sullAlta Velocità in Italia è stata resa possibile dagli ingenti investimenti pubblici che hanno consentito al treno di ritrovare una posizione competitiva sia nei confronti del vettore aereo che dell’autostrada e, quindi, di poter trovare una diffusa clientela disposta a pagare tariffe remunerative che poi la presenza di Italo ha potuto calmierare. Molto diversa è la situazione sulle linee storiche e sul trasporto locale, dove, senza un preventivo miglioramento delle infrastrutture, è abbastanza arduo che la concorrenza da sola possa produrre effetti altrettanto positivi.

  5. Silvia Keller

    Investimenti pubblici per lo sviluppo di UNA rete finalizzata all’offerta di servizi wholesale in un contesto regolato/di monopolio naturale a supporto di PIU’ operatori privati che offrono servizi retail sul libero mercato…una lezione importante altre per altri settori e per altri investitori esteri in Italia.

  6. marcello

    La coincidenza dell’arrivo del Burian e il disastro annunciato della rete ferroviaria italiana è la conseguenza prevista della liberalizzazione dei trasporti ferroviari. Conseguenza prevista perchè già dieci anni orsono il governo di Gordon Brown, l’erede di Tony Blair l’artefice della “modernizzazione” dell’economia, ma forse più noto come il grande bugiardo della seconda Guerra del Golfo, si interrogava sull’eventualità di rinazionalizzare le ferrovie visto lo stato di abbandono della rete e dei trasporti locali. Oggi il Labour Party Jeremy Corbyn ha inserito nel suo programma il ritorno allo Stato della proprietà e della gestione dei principali servizi pubblici: dalle poste, altro memorabile flop, alla sanità, dalle ferrovie, dagli acquedotti all’energia. Non parliamo pioi della rete austradale, quella alienata senza ricevere un soldo cash, il cui stato tuti possono constatatre e dove l’ultima opera degna di nome è stata la Variante di Valico, ai tempi di Di Pietro ministro dei trasporti. Mentre le tariffe sono cresciute, assicurando lauti guadagni, la rete è ancora in gran parte a a due corsie e l’asfalto ai livelli di quello della capitale. Certo vendere una società a due miliardi fa sensazione, soprattutto per le plusvalenze che hanno realizzato i soci, sui benefici dei consumatori … vedremo se il modello sarà lo “spezzatino, la Piaggio aerospace o altro. Davvero ci è convenuto distruggere i monopoli pubblici per favorire gli oligopoli privati? Direi di no.

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