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Se i conti del treno uscissero dalla nebbia

Fs ha appena approvato un nuovo piano quadriennale, rilevante soprattutto per la quantità di risorse pubbliche che si propone di impegnare. Urgente definire priorità di investimento, basate su analisi economico-finanziarie comparative, indipendenti e trasparenti. Scelte distributive opinabili.

IL PIANO QUADRIENNALE DI FS

Il nuovo Governo e la “spending review” del commissario Cottarelli dovranno presto confrontarsi con l’altrettanto nuovo piano quadriennale (2014-1017) delle Ferrovie dello Stato, approvato dalla SpA pubblica in contemporanea al varo dell’esecutivo Renzi. Si tratta di un documento rilevante soprattutto per la quantità di risorse pubbliche che si propone di impegnare.
Occorre ricordare innanzitutto che un recente studio dell’Università Bicocca ha messo in luce che i trasferimenti unitari a Fs (cioè per unità di traffico, di rete eccetera) sono tra i più alti d’Europa. (1)
Un primo aspetto peculiare del piano Fs è l’esplicita menzione dell’integrazione tra servizi ferroviari e quelli di autobus, verosimilmente anche urbani. Non a caso, il gruppo Fs ha recentemente acquistato l’azienda urbana fiorentina, e sembra intenzionata a espandersi in questo settore.
Sarebbe cosa ottima in termini funzionali, senonché Fs è impresa dominante nel suo settore (con circa il 90 per cento del fatturato complessivo). Ora, l’integrazione “a valle” di un’impresa dominante (e quanto dominante), che ne rafforza indubbiamente il potere, dovrebbe suscitare molta attenzione da parte della nuova Autorità di regolazione dei trasporti.
Alla voce investimenti del piano Fs sono previsti 24 miliardi di euro nel periodo, di cui quelli interamente a carico dello Stato sono 15,5 miliardi, cioè circa 4 miliardi all’anno, importo lievemente superiore alla media degli anni precedenti. Quelli autofinanziati da Fs stessa sono 8,5 miliardi in tutto, cioè circa 2 miliardi all’anno.
Il primo problema, di cui certo Fs non è responsabile direttamente, è che lo Stato per gli investimenti che finanzia a totale fondo perduto, non sembra richiedere alla società verifiche ex-ante né ex-post di sorta, cioè nessuna contabilità sociale né industriale (analisi economiche le prime, finanziarie le seconde), ma nemmeno un banale rapporto costi-ricavi, come se ciò non fosse rilevante in condizioni di scarsità di risorse pubbliche. La stessa dirigenza di Fs, se pur indirettamente, ha denunciato questo comportamento, spingendosi persino in alcune occasioni a esprimere in pubblico dubbi sulla priorità di alcune “grandi opere” (per esempio, la contestatissima linea Torino-Lione e, molto più di recente, il “terzo valico” tra Milano e Genova). Sembra davvero urgente la definizione di priorità di investimento pubblico, basate su analisi economico-finanziarie comparative, indipendenti e trasparenti, come dalle migliori prassi internazionali.
Gli stessi investimenti “autofinanziati” sono tali in buona parte grazie a quelli a carico diretto dello Stato. Prendiamo a titolo di esempio il caso dei servizi di alta velocità, quelli che verosimilmente generano maggiori profitti: consentono ampi margini di redditività nella misura in cui lo Stato ha deciso di non far pagare agli utenti nessuna quota dei costi, rilevantissimi, dell’investimento, che è rimasto interamente a carico delle casse pubbliche. Ora, come i contenuti di efficienza economica di alcune tratte del sistema alta velocità potrebbero generare forti perplessità, altrettante ne potrebbero suscitare i contenuti distributivi della scelta di non far contribuire minimamente l’utenza all’investimento, dato che questi servizi si rivolgono a un pubblico soprattutto interessato alla velocità (come per esempio quello dei servizi aerei). Dati analitici per la Francia evidenziano che “(…) La distribuzione degli utenti dei treni ad alta velocità per gruppi socioprofessionali è altamente sbilanciata a favore dei gruppi a reddito elevato. Le ricerche mostrano che i manager e i professionisti, che rappresentano il 6 per cento della popolazione, sono il 46 per cento degli utenti dei treni ad alta velocità sulla linea Parigi-Lille, e il 39 per cento sulla Marsiglia-Lione; al contrario gli operai e gli impiegati, che rappresentano il 26 per cento della popolazione, costituiscono rispettivamente il 12 e il 9 per cento degli utenti sulle stesse linee. I treni, e in particolare i treni ad alta velocità, rappresentano quindi un classico caso di tasse applicate ai poveri per sussidiare i ricchi”. (2)
Un’altra quota di investimenti “autofinanziati”, soprattutto relativi al materiale rotabile per i servizi pendolari, sembra poi essere condizionato dai contratti di servizio da rinnovare con le Regioni, quindi di nuovo con un sostanziale contributo di risorse pubbliche.

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LA QUESTIONE DEI SUSSIDI

Veniamo ora all’esercizio: a questo titolo Fs nel passato ha ricevuto in varie forme circa 3 miliardi all’anno dallo Stato. Più in dettaglio, circa 1 miliardo per la rete ferroviaria, circa 1,65 per i servizi regionali (inclusi quelli pagati dallo Stato per alcune regioni a statuto speciale) e circa 0,35 tra sussidi ai servizi merci e a quelli passeggeri di lunga distanza non alta velocità. Il piano verosimilmente prevede la continuazione di tali trasferimenti, anche se fino ad ora non sono noti i dettagli.
La scelta di sussidiare servizi giudicati di interesse sociale è certo legittima, però appare inspiegabile quella di non fornire mai analisi sulla quantificazione dell’ammontare stanziato: per chiarire, perché non il doppio, o la metà?
Il sospetto che suscita questo peculiare atteggiamento, è che questi sussidi poco abbiano a vedere con la socialità dei servizi offerti, e molto invece abbiano a che vedere con il garantire l’equilibrio dei conti di Fs.
Infatti, quando sono stati drasticamente ridotti per alcuni anni (sempre senza spiegazioni se non di urgenze di cassa), i conti di Fs sono andati in deficit per importi circa dello stesso ordine di grandezza. E logiche simili hanno contraddistinto il recente risanamento dei conti, coinciso con il ritorno “a regime” dei trasferimenti. Ha fatto però indubbiamente parte del risanamento la graduale riduzione dei costi complessivi del lavoro.
Tuttavia vige da anni un regime speciale di prepensionamento per le Fs, purtroppo molto simile a quello degli esuberi di Alitalia, che determina costi annui per l’erario stimati in più di 4 miliardi di euro. Quale impresa avrebbe problemi a “risanarsi” a tali condizioni?
Ne consegue che parlare di profitti, Ebit, Ebitda e gli altri indicatori significativi per le imprese che operano in un mercato concorrenziale ha scarso significato reale per quelle che dipendono così sostanzialmente da trasferimenti pubblici.
D’altronde è prassi comune delle aziende che godono di ampi trasferimenti pubblici, formalmente “contrattualizzati” con lo Stato proprietario, parlare di profitti e perdite come se operassero nel mercato: lo fanno le imprese di trasporto locale, e lo fanno la principali società ferroviarie pubbliche europee.
Di nuovo, niente di sbagliato nel sussidiare i servizi di trasporto pubblico; ma la trasparenza sembra essere una condizione irrinunciabile, verso i contribuenti, o in un’ottica solo apparentemente diversa, verso chi non godrà di servizi sociali a cui dovrà rinunciare a motivo di questi trasferimenti.

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Trasferimenti totali al gruppo FS (valori correnti in milioni di euro)

Cattura

Fonte: U. Arrigo e G. DiFoggia, cit.

 

(1) Vedi Ugo Arrigo e Giacomo Di Foggia “Gli aiuti di Stato al settore ferroviario nell’Unione Europea”. Paper dell’Università Bicocca di Milano, 2013.
(2) R. Prud’Homme, R. (2011), “Gli investimenti per i trasporti: le cinque tentazioni della politica”, in F. Ramella (a cura di), Trasporti e infrastrutture. Un’altra politica è possibile, IBL Libri, Torino, p. 49

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  1. romeo

    Egr. Prof.
    Le argomentazioni contenute nel suo articolo hanno un carattere vago e risultano prive di una verità di fondo che le sostanzi.
    In parole povere mi sfugge cosa vorrebbe dimostrare se non l’acclarata verità che il sistema è debole, fondato su criteri di approssimazione e privo di progettualita’ di lungo respiro, ecc. in parole povere puro assistenzitalismo italiano.
    S e di disastro si tratta, Il suo curriculum mi suggerisce di poterla annoverare tra i colpevoli di tale disastro, in quanto ha partecipato in modo consistente ed assiduo al suo processo di costruzione.
    Una curiosità: dove desume i costi dei famosi prepensionamenti ? La cifra sembra colossole 

  2. Antonio Gasperi

    Dei tanti interessanti dati contenuti nell’articolo sottolineo quello che riguarda l’effetto redistributivo della recente strategia del gruppo Fs: chiunque viaggi sulle cosiddette linee secondarie (detti anche “rami secchi”) ne può constatare da un lato lo stato di abbandono e dall’altro la frequentazione da parte del segmento meno ricco della popolazione. Segnalo un avviso a pagamento pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali dall’amministrazione Fs concernente la lite con l’editore Chiare Lettere per il contenuto diffamatorio del libro Fuori Orario: tale comunicato stampa si riferisce evidentemente al servizio dell’Alta Velocità, sul quale come sappiamo il dr. Moretti ha puntato tutte le sue carte. Quanto sarà costato questo comunicato stampa al pubblico erario? Che qualcuno abbia la classica coda di paglia?

  3. Paolo

    Sarebbe interessante avere i dati citati per le ferrovie francesi invece sulle nostre: presumibilmente saranno simili, ma non li abbiamo.
    Anche sui servizi “pendolari”, sono le Regioni che si accollano una quota importante di sussidi (e di acquisto diretto di materiale rotabile, chissà perché). Anche qui ci sarebbe da approfondire.
    Infine la posizione dominante viene mantenuta anche nei pochi casi in cui i servizi regionali vanno a gara, dato che Trenitalia si consorzia con Aziende locali.
    Siamo molto lontani da un sistema trasparente e soprattutto concorrenziali.

  4. Stefano Andreoli

    Concordo pienamente con il richiamo finale alla trasparenza. Sono più di vent’anni che FS/Trenitalia spacciano l’idea di essere diventate ormai delle società private, confondendo la questione della forma giuridica con quella della proprietà e soprattutto delle fonti di finanziamento. Una serie di leggi (da ultimo il d.lgs. 33/2013) hanno introdotto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare i curricula e le retribuzioni dei dirigenti, i premi di produttività del personale e tanto altro ancora, in una giusta ottica di “chiedere conto” di come vengono utilizzate le risorse pubbliche. Perchè non chiedere conto anche alle nostre aziende di Stato ?
    Aggiungo un’osservazione sulla giustificazione dei finanziamenti pubblici alle ferrovie. La giustificazione più ovvia è quella ambientale, e Trenitalia ce lo ricorda scrivendo sui biglietti la quantità di CO2 risparmiata rispetto all’auto e all’aereo. Ma per proteggere l’ambiente non è sufficiente tassare i modi di trasporto più inquinanti ? Secondo Giorgio Ragazzi (“I signori delle autostrade” Il Mulino 2008) le imposte sulla benzina sono già ampiamente superiori al costo dell’uso delle strade e delle esternalità (costi ambientali e incidentalità).

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