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Autostrade: quando l’investimento ripaga

L’analisi costi-benefici su sei autostrade italiane costruite negli ultimi anni dimostra che in alcuni casi si è trattato di un buon investimento. Soprattutto dimostra che serve una valutazione analitica per ogni singola opera, senza preferenze arbitrarie.

Sei autostrade sotto analisi

In Italia le decisioni sui nuovi investimenti nelle autostrade, e più in generale in tutto il settore delle infrastrutture, non sono mai precedute da analisi costi-benefici pubbliche.

Non si può dunque escludere che vi siano casi di infrastrutture che non hanno alcuna giustificazione sotto il profilo economico, ma che sono state realizzate esclusivamente in ragione della certezza della remunerazione del capitale investito oppure con risorse pubbliche. Proprio a questo dubbio cerca di rispondere una analisi costi-benefici, presentata di recente al Politecnico di Milano, che valuta sei autostrade realizzate negli ultimi anni: Asti-Cuneo; Valdastico Sud; autostrada Brescia-Milano; Passante di Mestre; Variante di Valico; autostrada Messina-Palermo (completamento).

Alla luce dei risultati che emergono dalla valutazione, non sembra un’eventualità diffusa.

Dei sei casi presi in esame, tre presentano un valore attuale netto positivo, due marginalmente negativo e un altro molto negativo, l’asse “Valdastico Sud” in Veneto.

Il quadro appare essere congruente con alcuni elementi di valutazione di carattere generale, consolidati in ambito scientifico, pur se scarsamente acquisiti tra i decisori politici e dalle parti interessate. In particolare, il fatto che le maggiori criticità della rete autostradale e, dunque, i più elevati benefici potenziali che possono essere conseguiti con un ampliamento della capacità esistente, riguardano le tratte a ridosso delle maggiori aree urbane. Il Passante di Mestre, per esempio, ha un rapporto benefici-costi superiore a 2. In tre casi i benefici sono dello stesso ordine di grandezza dei costi sostenuti, mentre in un altro assommano a meno del 60 per cento delle risorse impegnate (figura 1).

Un altro elemento che emerge dalla analisi – ovvio, ma di norma ignorato nel dibattito pubblico – è il fatto che l’opportunità di realizzare o meno una infrastruttura dipende sia dal livello di traffico soddisfatto che dai costi di realizzazione e di gestione. La “marginale” positività della Variante di Valico, nonostante i benefici considerevoli sia in termini di risparmio di tempo che di carburante, è da ricondursi agli altrettanto elevati costi di costruzione. Simmetrico è il caso della Asti-Cuneo, che pur con flussi di traffico del tutto modesti presenta un rapporto benefici-costi positivo perché ha richiesto investimenti molto contenuti (il tracciato è parzialmente sovrapposto a quello di una infrastruttura preesistente e non vi sono opere d’arte particolarmente onerose).

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Il confronto con la ferrovia

Tutto ciò dimostra la necessità di una valutazione analitica di ogni singola ipotesi di investimento, mentre è fuorviante un approccio politico che non distingua i diversi tipi di investimento (“occorre colmare il deficit infrastrutturale”).

Ancor meno giustificata risulta essere un’aprioristica preferenza accordata a un singolo modo di trasporto, come la ferrovia con “la cura del ferro”. Infatti, nel complesso i risultati dell’analisi per le sei autostrade appaiono migliori di quelli che, tramite analoghe procedure di valutazione, sono stati ottenuti per investimenti ferroviari su tratti di lunga percorrenza, come la linea Torino-Lione e il cosiddetto “Terzo valico” tra Genova e Milano. In entrambi i casi, pur assumendo ipotesi ottimistiche in termini di traffici e di costi di realizzazione, il valore attuale netto dell’investimento risulta essere molto negativo: pari a -6,8 miliardi per la linea Torino-Lione nella sua versione completa e a -3,4 per il progetto “fasato” e a -4 miliardi per il Terzo valico.

Per queste infrastrutture ferroviarie tutti i costi di investimento sono a carico del settore pubblico, mentre in quattro dei sei progetti autostradali esaminati sono interamente o in larghissima misura a carico del concessionario. È perciò evidente che il beneficio per euro “pubblico” investito nelle autostrade risulta molto più elevato rispetto a quanto accade non solo per le due linee ferroviarie citate, ma pressoché per tutti gli investimenti ferroviari per i quali non è previsto un ripagamento, neppure parziale, dell’investimento iniziale.

A ciò si aggiunge il beneficio relativo alla incidentalità, che viene ridotta con il trasferimento del traffico dalla rete ordinaria a quella autostradale. Invece, i costi esterni ambientali aggiuntivi sono in media inferiori all’1 per cento dei benefici conseguiti. E le entrate fiscali aggiuntive dovrebbero essere pari a poco meno del doppio dei costi esterni arrecati all’ambiente. Il principio del “chi inquina paga”, che teoricamente dovrebbe rappresentare un cardine della politica dei trasporti europea, è quindi integralmente rispettato, contrariamente a quanto accade in altri ambiti come quello agricolo e del riscaldamento domestico con biomasse – entrambi incentivati economicamente pur essendo pesantemente inquinanti. Tra il 1990 e il 2010 le emissioni di polveri sottili (PM10) del settore stradale sono infatti diminuite del 62 per cento mentre quelle del settore residenziale sono triplicate (figura 2).

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In questa condizione non risultano giustificate a fini ambientali politiche di investimento e sussidio a favore di modi di trasporto a minore impatto ambientale che rappresentano misure di second best da attuare solo qualora i costi esterni non siano internalizzati per via fiscale.

Figura 1 – Rapporto benefici/costi dei sei maggiori progetti autostradali realizzati in Italia tra il 2001 e il 2015

Figura 2 – Emissioni di PM10 in Italia

 

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  1. Mauro Alberti

    Buongiorno, fatico a spiegarmi l’aumento così marcato di PM10 in settore “residenziale e altro”, a meno che non sia perlopiù “e altro”. Ha qualche riferimento da darmi? Grazie

  2. umberto marchesi

    caro prof, sarebbe possibile disaggregare il dato sulle polveri sottili fra “residenziale” ed “altro”. Sarei curioso di approfondire gli effetti del maggior utilizzo di legna e derivati in campo domestico

  3. Massimiliano Rizzato

    Non posso supportare con dati quanto affermerò qui di seguito, ma ritengo che le mie affermazioni, derivate da osservazioni personali, possano essere prese come punto di partenza per una verifica sul perché uno dei sei investimenti è fortemente negativo.
    La Valdastico Sud è fondamentalmente una cattedrale nel deserto: doveva congiungere L’A4 con l’asse A13 PD-BO, ma si ferma nel “nulla” a circa 20 Km da Rovigo, e circa alla stessa distanza da Ferrara, portando il traffico sulla viabilità normale per molti Km prima che si possa rientrare in autostrada. Ne consegue che il traffico diretto a sud dalla A4 non trova convenienza a prendere questa direzione, ma continua a proseguire per Padova dove prende la diramazione A13 come nel passato.
    Il fatto che questo ramo autostradale finisca nel nulla ha origini politiche: i compromessi sul percorso, che originariamente doveva riconfluire in A13 vicino a Rovigo, hanno portato ad un’opera parziale, che, così com’è sarebbe stato meglio non costruire. Non tocco il tema rifiuti tossici stoccati durante la costruzione della Valdastico Sud.
    La Valdastico, anche presa nella sua interezza, è necessariamente in perdita come investimento, dato che anche a Nord manca il completamento della tratta verso la A22 a Rovereto o Trento. Anche qui, pressioni politiche hanno impedito di finire l’opera, per la sua impopolarità e per il suo impatto ambientale previsto sulle zone prealpine (almeno per come era il tracciato previsto dai progetti originale).

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