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Testacoda per Tesla

Tesla, l’azienda californiana nota per le sue auto elettriche, attraversa un periodo assai difficile. La società ha corso molto in borsa, ma la produzione è rimasta al palo e la narrazione carica di promesse sembra essersi scontrata con la dura realtà.

La fortuna sociale

Tesla produce auto elettriche premium, ma anche pannelli fotovoltaici e sistemi di accumulo di energia. In pochissimi anni ha raggiunto una notevole notorietà. Buona parte del rimarchevole risultato va riconosciuto al suo eclettico proprietario, Elon Musk, che è anche riuscito a far percepire Tesla come una delle aziende più innovative al mondo.
Un successo, innanzitutto mediatico, che merita qualche specifica considerazione. A cominciare dal contesto che alla fama ha portato, quello statunitense e californiano in particolare, dove Tesla nel 2010 ha rilevato lo stabilimento di Fremont, già di General Motors e Toyota, a poche trafficate miglia dalla Silicon Valley. Lì, prima che altrove, le vetture Tesla hanno “spopolato”, anche grazie a incentivi non solo monetari, come l’utilizzo delle corsie preferenziali.
All’aura innovativa ed ecologica si è aggiunta quella prestazionale. Tesla non ha mai partecipato ad alcuna corsa automobilistica, eppure le sue vetture tutte elettriche sono ritenute velocissime, anche più di quelle a benzina. Tutto ciò è avvenuto semplicemente grazie a brevi filmati, divenuti virali su social e testate a caccia di notizie acchiappa-click, in cui le Tesla sfidano e battono in gare di accelerazione – tipica competizione americana – non solo Audi, Bmw o Mercedes, ma addirittura Porsche e Ferrari. Riducendo all’osso la questione: bravissimi sono stati in Tesla a sfruttare la capacità di accelerazione del motore elettrico e a ottimizzare l’elettronica in tal senso (oltre a puntare subito sul mercato globale) in un filmato di pochi secondi, che è appunto la caratteristica propria perché diventi virale. Nei secondi successivi, infatti, il non ancora vecchio motore a scoppio recupera, così come non c’è confronto in un giro in pista. Questi spunti prestazionali sono finiti in molte news finanziare e in molti hanno fatto ottimi realizzi sfruttando la crescita del titolo.

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La mancanza di concorrenza

Sospinta da crescenti promesse, Tesla non solo è diventata l’alfiere dell’auto elettrica, in cui non aveva concorrenti diretti, ma è parsa allungare su un’altra importante innovazione come la guida autonoma. A molti è sembrato che il futuro fosse lì a pochi chilometri e ci potesse arrivare dalle silenziose, ecologiche ma prestazionali auto di Musk.
Nonostante l’azienda fosse lontana dal generare utili con due soli modelli in listino, poco più 50 mila vetture prodotte nel 2015, il titolo ha continuato a crescere, benché in diversi, noi tra questi, avessero giudicato non realistico l’obiettivo di raggiungere 500 mila unità prodotte all’anno entro il 2018, grazie all’arrivo della più abbordabile Model 3.
Ora, in poco più di un mese, il titolo ha perso più di un quarto del suo valore, Moody’s ha declassato il titolo e ancor di più il debito proprio per le difficoltà produttive sulla Model 3. Per problemi di corrosione ai bulloni del servosterzo, sono state infatti richiamate 123 mila Model S, tutte quelle prodotte prima di aprile 2016 e l’azienda è sotto inchiesta per un incidente mortale occorso quando sulla vettura era attivo il sistema Autopilot. Denominazione a dir poco fuorviante, che rappresenta un ulteriore rischio per Tesla poiché la guida autonoma è ancora lontana.
Possiamo poi aggiungere che le auto non basta venderle, ma bisognerebbe pure guadagnarci e nel caso di Tesla non possiamo esserne certi. La Model 3, ad esempio, ha un prezzo di attacco inferiore a quello della Chevrolet Bolt EV che è di un segmento inferiore. Sul vantaggio innovativo, poi, è come credere che un suv elettrico possa davvero essere più veloce di una Lamborghini. Comunque, i produttori storici, al di là dei proclami, generati anche dal successo borsistico di Tesla, non paiono affatto convinti di puntare tutto sull’auto elettrica, ma la loro capacità d’investimento è comunque più che sufficiente a coprire nuove nicchie. Il Gruppo Volkswagen nel piano industriale 2018-2022 ha destinato 20 miliardi per produrre vari modelli elettrificati, che non vuol dire tutti elettrici (ma non è detto che ciò sia un limite), mentre 90 sono i miliardi investiti su auto benzina e diesel.

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Troppe promesse

Elon Musk è certamente un simpaticone, il 1° aprile ha fatto un bel tweet in cui annunciava bancarotta, però con soldi e prestazioni è meglio non scherzare troppo.
A novembre, insieme a Semi, il primo camion elettrico (troppi fronti aperti hanno piegato anche Napoleone), a sorpresa Musk ha presentato, o meglio annunciato per il 2020, la nuova Roadster, con numeri davvero strabilianti: addirittura più di 400 km orari di velocità massima.
Ora poiché i materiali e gli pneumatici speciali hanno un prezzo alto per tutti (e per quelli della Bugatti Veyron, la prima a superare i 400 all’ora, era di più di 40 mila euro) ci chiediamo come sia mai possibile che tutta l’auto costi solo 215 mila euro.
La domanda non è poi così peregrina, visto che la Veyron è costata alla Volkswagen una perdita di 1,7 miliardi di euro: in media più di 4 milioni ad auto, eppure le auto avevano un prezzo di 1 o 2,5 milioni di euro.

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  1. sancho.s

    Toyota invece continuerà a crescere. Se ha puntato tutto sull’hybrid ci sarà un motivo…

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