Domenica 8 aprile si sono tenute le elezioni politiche in Ungheria e il risultato, per molti scontato, ha consegnato nuovamente le chiavi del potere a Viktor Orbàn, leader del partito nazionalista Fidesz e primo ministro dal 2010. La politica e l’economia ungherese continuano a suscitare l’ammirazione di alcuni esponenti di centro-destra, come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, sia per le posizioni fortemente euroscettiche e anti-immigrazione di Orbàn che per una serie di misure di politica economica, come la flat tax, che a loro parere avrebbero favorito una ritmata crescita economica.

I numeri dell’Ungheria nella Ue

L’Ungheria è membro dell’Unione Europa dal 2004, quando è entrata insieme agli altri paesi di Visegràd (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia). Non fa parte dell’eurozona e mantiene ancora la sua moneta, il fiorino ungherese, anche se si sta preparando ad adottare l’euro. Rappresenta l’1,94 per cento della popolazione europea e lo 0,75 per cento del Pil della Ue. L’Ungheria ha 21 deputati nel Parlamento europeo (il 2,8 per cento del totale). Di nazionalità ungherese è il commissario Tibor Navracsics, responsabile dell’Istruzione, della cultura, dei giovani e dello sport. Ha presieduto solo una volta il Consiglio della Ue, dal gennaio al giugno 2011.
L’Ungheria è inoltre tra i maggiori beneficiari dei fondi europei: nel 2016, a fronte di un contributo al bilancio dell’Unione di 924 milioni di euro, ne ha ricevuti indietro 4,5 miliardi. Ed è anche grazie a queste risorse che l’Ungheria ha potuto investire ingentemente nell’economia reale. Lo ha fatto in misura molto superiore alla media europea, soprattutto a partire dal 2012, ma decisamente sotto la media del gruppo di Visegràd, con cui si è soliti paraganarla, sebbene ci sia stato un recupero importante a partire da quando ha iniziato a governare Orbàn nel 2010.

Figura 1

Per quanto riguarda il Pil, l’Ungheria nel 2017 è cresciuta del 4 per cento, molto più della media europea che viaggia nell’intorno del 2 per cento. Se però facciamo il paragone con i paesi di Visegràd, si nota come in realtà l’Ungheria stia semplicemente tenendo il passo di un gruppo che tende a recuperare i paesi più sviluppati.

Figura 2

In termini di Pil pro capite, misurato in standard potere di acquisto, l’Ungheria è al quintultimo posto in Unione Europea. Inoltre, come si nota dalla figura 3, nel gruppo di Visegràd è il paese con il reddito più basso e che negli anni è cresciuto di meno.

Figura 3 – Pil pro capite nei paesi di Visegràd

Fonte: Eurostat

La crescita del Pil degli ultimi anni ha consentito all’Ungheria di migliorare la propria situazione di finanza pubblica. Ma, nonostante il debito pubblico sia in riduzione, il livello (73,9 per cento) è molto più vicino alla media europea, che comprende quindi anche i paesi largamente indebitati, che a quella dei paesi di Visegràd, che invece hanno un debito pubblico intorno al 50 per cento.

Figura 4

Spostandoci verso il mercato del lavoro, l’Ungheria sta avendo degli ottimi risultati: il numero di disoccupati è ai minimi storici e il tasso di disoccupazione è sceso a gennaio sotto il 4 per cento. Ne abbiamo anche parlato in questo fact-checking.

Figura 5

Se parlare di disoccupazione o crescita può dare una visione di massima della situazione economica di un paese, sicuramente i dati sulla povertà e sulla disuguaglianza danno un quadro più rappresentativo della reale qualità della vita. L’Ungheria è un paese in cui fino al 2013 più di un terzo della popolazione era a rischio povertà. La buona notizia è che negli ultimi anni la situazione sta migliorando sensibilmente. E forse, voti alla mano, questo miglioramento elettoralmente ha pagato.
Comunque, l’Ungheria è ancora al di sopra anche della media Visegràd, che in questi dieci anni invece ha quasi dimezzato il rischio povertà.

Figura 6

Legato al tema della povertà c’è quello della disuguaglianza, che abbiamo scelto di calcolare come rapporto tra quintile massimo e quintile minimo della distribuzione dei redditi. Questo valore è aumentato notevolmente in Ungheria dal 2010, ossia dall’inizio del mandato di Orbàn. Cosa che invece non è accaduta in Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca, che hanno negli anni mantenuto costante questo rapporto.

Figura 7

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