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Ma l’ascensore sociale è bloccato fin dalla scuola*

L’origine sociale non è una condanna, ma le statistiche dicono che la probabilità di ottenere una laurea è spesso legata al fatto di avere genitori a loro volta laureati. Come altri paesi, l’Italia dovrebbe introdurre l’università professionalizzante.

Quanto conta la famiglia

L’origine sociale ha una grande importanza nel determinare l’indirizzo di studi superiore e, dunque, anche le scelte successive in materia di istruzione e gli esiti sul mercato del lavoro. In questo articolo cerchiamo di ricostruire i principali passaggi della stratificazione scolastica (il tipo di scuola superiore, i risultati ottenuti, le aspirazioni a laurearsi, la probabilità di laurearsi davvero e le competenze da adulto misurate da indagini Ocse).

Andiamo per punti.

1) Secondo i dati Invalsi, in Italia il 73 per cento degli studenti con almeno un genitore laureato frequenta un liceo, contro solo il 43 per cento degli studenti senza genitori laureati.

2) I dati Pisa (un’indagine Ocse sugli studenti 15enni che misura le loro competenze in comprensione del testo e matematica) confermano però che nei risultati scolastici il tipo di scuola frequentato conta più del livello di istruzione dei genitori. Nel 2015 i liceali italiani avevano un punteggio medio di 525 punti, 78 punti in più degli studenti degli istituti tecnici e professionali (il punteggio medio è di 178 punti). Per contro, i quindicenni con almeno un genitore laureato avevano punteggi in lettura superiori di soli 17 punti rispetto ai coetanei con genitori meno istruiti.

3) Allo stesso modo, l’87 per cento dei liceali si aspetta di conseguire un titolo terziario, contro il 31 per cento degli studenti degli istituti tecnici e professionali. Il divario in base al grado di istruzione dei genitori è molto più ridotto, in quanto aspirano alla laurea il 69 per cento dei ragazzi con almeno un genitore laureato e il 52 per cento dei ragazzi con genitori meno istruiti.

Lauree professionalizzanti per la mobilità sociale

Ma come evolvono i divari nel corso del tempo? E le aspirazioni sono destinate a realizzarsi?

Per rispondere possiamo guardare ai dati Piacc (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) raccolti nel 2011/12 fra la popolazione adulta (dai 16 ai 65 anni). Come Pisa, Piaac testa le competenze degli intervistati, oltre a raccogliere molte informazioni sul loro percorso educativo e professionale. Ovviamente si tratta di persone diverse nate in anni diversi, ma un confronto fra i divari all’età di 15 anni e quelli in età adulta risulta comunque istruttivo e può essere indicativo di come individui di differente estrazione sociale abbiano una differente transizione verso l’età adulta e il mercato del lavoro.

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La tabella 1 riassume i principali risultati, mettendo l’Italia a confronto con Francia e Germania.
Innanzitutto, è interessante notare come, fra i 20-24enni, il divario nei punteggi al test Piaac fra i figli di genitori laureati e non laureati sia maggiore in Italia (45 punti) che in Francia e in Germania (rispettivamente 30 e 25 punti).
Inoltre, se guardiamo agli individui di età compresa fra i 30 e i 44 anni, vediamo che le aspettative sul conseguimento di un titolo di studio terziario si realizzano, in Italia, solo per i figli di genitori laureati: il 65 per cento di essi infatti ha una laurea in età adulta, contro appena il 14 per cento di chi ha genitori meno istruiti. In Francia arriva alla laurea il 30 per cento dei ragazzi con genitori non laureati (e il 77 per cento dei figli dei laureati). In Germania le quote sono, rispettivamente, il 23 per cento e il 60 per cento.
Il divario è legato soprattutto al fatto che gli studenti figli di genitori non laureati hanno una probabilità molto maggiore di abbandonare l’università dopo l’iscrizione: il 36 per cento di loro infatti non termina l’università dopo essercisi iscritto, contro il 15 per cento dei figli di genitori laureati. Nel confronto internazionale, il tasso di abbandono dei figli di laureati è in linea con quello osservato negli altri maggiori paesi europei, mentre quello degli studenti con genitori meno istruiti è nettamente superiore.

Tabella 1

Punteggio PIAAC, 20-24anni
Figli di genitori laureati Figli di genitori non laureati
ITA 295 249
FRA 301 271
GER 298 272
% Laureati, 30-44 anni
Figli di genitori laureati Figli di genitori non laureati
ITA 65% 14%
FRA 78% 30%
GER 60% 23%
% Abbandoni universitari, 30-44 anni
Figli di genitori laureati Figli di genitori non laureati
ITA 16% 36%
FRA 13% 22%
GER 4% 8%

 

Ricapitolando: se i tuoi genitori non sono laureati, andrai probabilmente all’istituto tecnico, avrai minori aspirazioni a laurearti e ti laureerai solo nel 14 per cento dei casi. Inoltre, se ti iscrivi all’università, avrai circa un terzo di probabilità di non terminare il percorso di studi.

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Il basso numero di laureati in Italia è anche dovuto al fatto che nel nostro paese esiste sostanzialmente solo una laurea accademica (Tertiary type A), mentre negli altri paesi ne esiste anche una professionalizzante (Tertiary type B).

Figura 1

In quasi tutti i paesi europei la mobilità sociale è stata favorita dalla creazione di titoli terziari (universitari) professionalizzanti, che hanno attratto nella sfera dell’università i figli di genitori senza laurea. Tradizionalmente (e aggiungeremmo anche culturalmente) l’Italia non ha mai investito in un canale vocational di pari dignità del canale accademico. La riforma del 3+2 degli anni Duemila è stata un fallimento nel suo tentativo di creare corsi professionalizzanti perché ha preteso che fossero i professori accademici a insegnare le professionalità. Infatti la riforma 3+2 non ha aumentato la mobilità sociale.

Nella legislatura appena iniziata è necessaria una riforma che introduca in Italia quel che in altri paesi c’è da 20 anni: un canale professionalizzante che parta dagli Its, gli istituti tecnici superiori che oggi realizzano corsi professionalizzanti per 8 mila studenti, e non ripeta gli errori del passato con il 3+2.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono degli autori e non investono la responsabilità delle istituzioni di appartenenza.

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12 commenti

  1. Savino

    Non saranno i figli di papà a farci uscire dalla crisi.
    La mancanza di ascensore sociale nella società italiana di oggi è paragonabile allo storico apartheid sudafricano.
    Se verrà consentito maggiore accesso – dal punto di vista sociale, economico e geografico – a qualcuno in più di studiare – per il bagaglio culturale e professionale – allora ci saranno maggiori chances di sviluppo economico e di realizzare una classe dirigente efficiente e preparata.
    Se continuiamo ad aspettare che questo lavoro lo facciano i figli di papà – tesi solo alla scapigliatura – e se continuiamo a porre mille barriere all’entrata nel mondo elitario agli oggettivamente capaci e meritevoli, ma provenienti da altro ceto sociale, stiamo commettendo un secolare errore, quello di confondere l’èlite con il censo, mentre, come insegna Scumpeter, dovremmo praticare il metodo dell’elitismo democratico, cioè la selezione dalla base dell’èlite.
    Siamo, invece, tra l’incudine della base ignorante ed il martello dell’apartheid dei figli di papà.

  2. Marcello Romagnoli

    Avevamo anni fa una interessante alternativa: i diplomi di laurea con un loro percorso fornativo.

    Siccome dovevamo fare come nei paesi anglosassoni allora abbiamo smantellato una cosa buona……..già gli altri sono sempre migliori di noi……..

    La mobilità sociale c’è se ci sono i posti di lavoro e se le aziende richiedono figure professionalizzanti più evolute. Ciò richiede un sistema produttivo più rivolto all’innovazione. In Italia questo manca.

    Io ho avuto genitori con la III media, ma sono laureato per due motivi principali:

    1) Quando ero piccolo la cultura era vista come una cosa importante. Socialmente un laureato era una persona a cui portare rispetto. Oggi in televisione ci sono persone famose che dicono che studiare è inutile, anzi chi studia è “uno sfigato”. I mass media dicono che non conviene anche se le statistiche dicono il contrario
    2) Il diploma e la laurea ti aprivano possibilità di lavoro che senza titolo di studio ti erano precluse. Oggi si trova più facilmente un lavoro se hai fatto un corso di CAD che se hai una laurea.

    • Pietro

      Salve,

      sono molto daccordo con quello che ha scritto, viviamo un complesso di inferiorita’ verso il modello anglosassone, che e’ invece un disastro. Si pensi a creare lavoro prima, non ad abbassare il livello di istruzione in maniera sostanziale – come e’ successo nei paesi anglosassoni – svilendo i percorsi univesitari. Moltissimi lavori che venivano svolti da periti sono oggi svolti da ingegneri laureati, serve gente brava, non laureati.

  3. Salvatore Bragantini

    I dati sono interessanti, e assai negativi. Questo è un lato del problema, se vogliamo quello della “offerta”. Dal lato della “domanda”, ci sono le imprese, le quali evidentemente si accontentano di questa offerta; o forse, la determinano? Non si sa quale sia la causa e quale l’effetto, ma è chiaro che alle nostre imprese questo basta, altrimenti andrebbero a cercare all’estero il personale qualificato che in Italia scarseggia. Imprese collocate dunque sulle fasce basse della catena del valore, evidentemente, a parte i noti campioni del “quarto capitalismo”, che sono bravi ma pochi e ancora troppo piccoli nel quadro globale.

  4. FRANCESCO FERRANTE

    Ritengo molto opportuno questo richiamo al problema della mobilità sociale in Italia. Credo però che la causa prima sia il funzionamento del mercato del lavoro a non favorire la mobilità, soprattutto attraverso i meccanismi di accesso alle professioni. Non dimentichiamo che sono anche le prospettive occupazionali a determinare le scelte formative delle famiglie. Non a caso, la selezione sociale aumenta notevolmente col passaggio dalle laurea triennali a quelle magistrali che, tipicamente, conducono alle professioni. Inoltre, i dati sulle lauree professionalizzanti, basate su definizioni convenzionali, non riflettono la vera natura dei percorsi in termini di professionalizzazione. Basta citare il caso per l’Italia delle lauree infermieristiche. I calcoli andrebbero fatti sulla base dell’occupabilità dei laureati al termine della triennale.

  5. Marco

    Presumo che la barra della Figura 1 abbia il colore sbagliato.
    Non è chiaro se la tabella 1 si riferisce a tutti i laureati o solo a quelli con laurea accademica. Nel primo caso, quali sarebbero i risultati del confronto internazionale senza considerare le lauree professionalizzanti?
    Sarebbe inoltre interessante disaggragare i dati per zone geografiche.
    Grazie

    • Marco

      Grazie per la correzione della figura. Per le altre curiosità che avevo ci saranno delle risposte da parte degli autori?

  6. davide445

    Mi ricordo quando hanno introdotto la laurea breve con l’obiettivo di fare una laurea professionale.
    Il risultato è stato che hanno semplicemente diviso i corsi di laurea esistenti, rendendo la laurea breve del tutto inutile in quanto di fatto corrispondente ad una preparazione teorica propedeutica agli anni successivi, in un corso di laurea che già di suo è più teorico di quello in università estere.
    Come in tante altre cose se non cambiano teste ed incentivi non cambierà nulla.

  7. Chiara Fabbri

    Un elemento che manca all’analisi e’il ruolo dei costi universitari nella scelta della scuola superiore e successivamente di non frequentare l’universita’. Se provengo da una famigia di non laureati a basso reddito e so che scegliere il liceo non mi consentira’di accedere direttamente al mercato del lavoro a 18 anni e la mia famiglia non e’in grado di sobbarcarsi il mio mantenimento durante un corso di laurea, e’una scelta del tutto razionale che io preferisca andare in un istituto tecnico e non veda un futuro nell’universita’. Per cambiare le cose bisognerebbe creare un sistema di borse di studio universitarie serie, che diano realmente la possibilita’alle famiglie di scegliere il percorso di studio dei propri figli sulla base dei talenti e non delle condizioni economiche di partenza, ma sperare che questo avvenga solo cambiando i corsi di laurea mi pare del tutto irrealistico.

  8. Giovanni Rossi - Docente ed Ingegnere da 35 anni

    Insegno da 34 anni negli istituti tecnici, e da altrettanto svolgo attività professionale, sono un Ingegnere, figlio di un operaio e di una casalinga, ” vittima ” alle scuole medie della solita insegnante di lettere, che nonostante il mio “distinto”, essendo figlio di operaio, ha scritto sul libretto : si consiglia ” istituto tecnico o professionale “; questo esempio a mio parere è il paradigma ideale che aiuta a capire perché l’ascensore sociale non solo si è bloccato, ma è sceso a vari piani più in basso. Prima di incrementare il numero degli ITS farei funzionare meglio gli istituti tecnici e professionali; in questi ultimi anni, le varie “riforme” hanno picconato l’istruzione tecnica e professionale; in modo particolare la coppia – Tremonti – Gelmini; ma il lavoro “sporco ” della destra non è stato interrotto dalla sinistra e dalla sua ” buona scuola “. Da decenni le scuole tecniche hanno laboratori fatiscenti o inesistenti, la formazione degli insegnanti è inesistente, anche la gestione dell’ alternanza scuola lavoro, positiva ed auspicabile nel merito, è a macchia di leopardo, con risultati eccellenti al nord, decenti al centro ed inesistenti al sud. L’orientamento scolastico è “drogato” da un vizio culturale che vede i figli dei professionisti e/o dei ceti più abbienti scegliere i ” licei ” per censo !, i risultati sono sotto gli occhi di tutti : esiste una vera e propria ” segregazione scolastica ” tra i figli dei ricchi e quelli dei poveri, che non si incontrano più

  9. Henri Schmit

    Mi piace molto questo articolo e alcuni commenti, in particolare i due ultimi. A vedere i dati comparativi mi viene a esclamare Vive la France! dove decenni fa ho fatto l’università e potuto notare un discreto sostegno agli studenti svantaggiati. Penso che questo paese guadagnerebbe molto se rinunciasse agli eccessi nella stesura dei cv, un evidente metodo di chiusura nei confronti di chi menziona meno titoli, riconoscimenti e incarichi pubblici, e si concentrasse invece su quello che più conta, la sostanza, il contenuto. Un ottimo giornalista senza laurea ha rovinato la propria carriera con un titolo fasullo, un professore parla regolarmente alla televisione invocando una cattedra inglese ma non pronuncia correttamente un termine chiave del gergo finanziario, un altro professore candidato premier rivendica numerosi titoli stranieri conseguiti lo stesso anno in vari paesi ma nell’università menzionata nessuno ha mai sentito parlare di lui … è questa l’Italia, tanto fumo, poco arrosto.

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