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Quegli indicatori di Bes che non scaldano i cuori

Il Def 2018 fa un passo avanti verso l’utilizzo di indici che possano misurare il benessere dei cittadini in senso ampio. Ma se devono servire per valutare e influenzare le decisioni di politica economica, la strada da percorrere è ancora lunga.

Indicatori di benessere equo e sostenibile nel Def

Il Documento di economia e finanza 2018, approvato qualche giorno fa dal Consiglio dei ministri, contiene un’importante novità: per la prima volta sono infatti presenti tutti i dodici indicatori di benessere equo e sostenibile (Bes) che servono ad arricchire il ciclo di programmazione economica del nostro paese, cercando di fotografare in maniera più ampia rispetto ai tradizionali indicatori macroeconomici il benessere degli italiani.
Il dibattito pubblico purtroppo non sembra essersi accorto dell’interessante innovazione, rispetto alla quale l’Italia è leader nel mondo: siamo infatti l’unico paese tra le economie sviluppate ad aver dato, con la legge di riforma del bilancio dello stato del 2016, valore ufficiale a questa tipologia di indicatori. I grafici che seguono, tratti dalla versione ufficiale del Def, mostrano i principali risultati.

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Una fotografia del paese

Cosa ci dicono nel complesso questi indici sulle condizioni in cui versa il paese? Certamente mostrano un contesto di perdurante difficoltà per gli italiani. Anche se la crescita è tornata, la disoccupazione è scesa e il disavanzo pubblico diminuisce, la crisi non è passata. Rispetto a prima della grande contrazione, la povertà assoluta è drasticamente aumentata, specialmente tra i più giovani, le disuguaglianze sono aumentate e il reddito disponibile nelle mani degli italiani è ancora significativamente inferiore. Certo, si intravedono lievi segnali di miglioramento negli ultimi 3-4 anni, ma trovare lavoro è ancora molto più difficile rispetto al primo decennio del secolo, la giustizia è ancora inefficiente e l’abusivismo edilizio è esploso. Occorre dire, però, che il quadro non ha solo tinte fosche: in alcune dimensioni non monetarie della vita dei cittadini si sono fatti progressi. Istruzione e speranza di vita in buona salute, in primo luogo, mostrano segni di miglioramento.
La situazione però resta grave se si guarda in particolare alle profonde differenze che dividono il Nord e il Sud. Sembra di parlare di due paesi diversi: non una, ma due Italie differenti.
Ricchezza, disuguaglianza, disoccupazione, abusivismo, formazione, salute: tutti gli indicatori per i quali è disponibile la disaggregazione territoriale mostrano come le condizioni del Mezzogiorno siano fortemente peggiori di quelle del Settentrione. In un simile contesto può dunque essere molto fuorviante ragionare in termini di dati e medie nazionali

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Prospettive e orizzonti

Il Def di quest’anno rappresenta un altro significativo passo avanti verso l’utilizzo di indici che possano misurare il benessere dei cittadini in senso ampio e in maniera quantitativa e coerente con gli schemi di ragionamento della politica economica. Molto resta però da fare. Sebbene formalmente sia terminata la fase sperimentale, gli indici di Bes sono ancora lontani dall’avere un effetto concreto sul dibattito pubblico (anche quello specializzato) e sul ciclo di programmazione economica. L’allegato al Def che li contiene sembra limitarsi a svolgere una semplice funzione “decorativa”: in ambito giornalistico, mediatico, parlamentare non si è acceso un dibattito sui temi toccati. Non si è aperta, per esempio, una discussione che riguardi l’adeguatezza dei livelli di benessere riassunti dagli indicatori: abbastanza alti oppure troppo bassi? Coerenti con le aspettative o invece deludenti? All’interno dello stesso documento, inoltre, sembrano mancare analisi e nessi causali che aiutino a comprendere il perché dell’evoluzione degli indicatori. Soprattutto, non vi sono chiari legami (se si eccettua qualche timido accenno nell’ultimo paragrafo del testo) tra gli indici di Bes e le scelte di politica economica prese negli ultimi anni.
Nel Def 2018 sono anche assenti obiettivi programmatici da raggiungere nei prossimi anni in termini di Bes: probabilmente, però, ciò è dovuto alla particolare natura del Documento di economia e finanza di quest’anno che, trovandosi nel guado tra due esecutivi, contiene solo un neutrale quadro della situazione a legislazione vigente.
Infine, rimane da capire se i dodici indicatori scelti dalla commissione tecnica all’interno della rosa di 130 indici elaborati dall’Istat siano in grado di rendere in maniera efficace e sintetica la situazione degli italiani. Dunque, se gli indici di Bes devono servire a valutare meglio le decisioni di politica economica (e non solo) e a indirizzarne i futuri sviluppi, la strada da fare è ancora molta.

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  1. Savino

    Il problema del rapporto con le aspettative è rilevante.
    Il rancore degli italiani adulti deriva sovente da aspettative troppo alte che essi nutrono sul proprio futuro finanziario.
    Le famiglie, che hanno tesoreggiato nel tempo, sono fin troppo cariche di risorse.
    I giovani, che affrontano anche lavoretti con 4-5 datori diversi mensilmente, fanno fatica a scollinare le soglie di povertà.
    Le aspettative dei giovani e delle loro famiglie di provenienza sono ben diverse.
    Chi ha 70 anni vuole continuare ad avere la cassaforte piena e mantenere le redini economiche di tutta la famiglia.
    Chi ha 30 anni vuole avere un futuro dignitoso e vuole poter sfamare le bocche anche dei nuovi nati.
    L’economia del benessere va riporogrammata anche in base a questo

    • Carlo Tasciotti

      Non scaldano il cuore perché sono stati messi in modo che non hanno “detto” tutto. Una cosa è un dato posto a livello nazionale ( per cui lo si dovrebbe confrontare con altri Paesi) ed altro è a livello locale; quindi gli indicatori vanno completati a livello territoriale, dove nascono le aspettative che non devono essere deluse dalla politica.
      Poi del vestito di Arlecchino colorato dagli indicatori , ma da tutti e 130, va fatta una sintesi, ossia trovata una loro misura classificatoria unica e composita. Solo allora gli indicatori “parlano” e scaldano la discussione.
      Noi statistici avevamo provato a farlo, ma dalla dirigenza del MEF hanno “Non ci interessa”.

  2. Carlo Tasciotti

    Il documento del governo sul DEF, nel quale sono stati introdotti i 12 indicatori statistici sul Benessere Equo e Sostenibile, per uno statistico dice poco, poichè non è “programmazione economica” l’esporre solo i trend dei vari fenomeni e solo con previsioni elaborate dal MEF fino al 2021sul Reddito medio disponibile aggiustato pro capite, sull’Indice di disuguaglianza del reddito disponibile e sul Tasso di mancata partecipazione al lavoro. Per essere programmazione economica le previsioni dovevano essere elaborate per tutti gli indicatori. Inoltre gli indicatori trattano questioni territoriali, ma i dati nazionali senza almeno i confronti in ambito almeno U.E., si riferiscono solo a dati nazionali o nelle tre macro aree di Nord, Centro e Mezzogiorno.

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