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Sulle pensioni d’oro una gran confusione nella maggioranza

Il disegno di legge sulle “pensioni d’oro” fa scelte inadeguate o incoerenti. Per uscire dal pasticcio della correzione attuariale, alcune componenti del governo indicano ora la via del contributo di solidarietà. Che però comporta altri problemi.

Le pensioni d’oro sono quelle d’anzianità

Nessuno può dire di aver concluso un “affare d’oro” sol per averne ricavato molti soldi. Infatti, la convenienza non dipende dal ricavo ma dalla differenza rispetto al costo. Meglio ancora, dalla differenza percentuale (rapportata al costo stesso) che definisce il rendimento reso dai soldi investiti. Le “pensioni d’oro” devono essere definite secondo questa linea di ragionamento.

A 58 anni non ancora compiuti, nel 2018 possono andare in pensione d’anzianità i nati nel 1960 che hanno cominciato a lavorare dopo l’obbligo scolastico. Le componenti retributive delle loro pensioni sono maturate nei 36 anni che precedono la riforma Fornero in forza di contributi versati nella misura ‑ si può al più sostenere ‑ del 33 per cento delle retribuzioni tempo per tempo percepite. Saranno erogate per 27 anni nella misura del 72 per cento della retribuzione pensionabile ‑ molto simile all’ultima ‑ mentre nella misura del 43 per cento saranno percepite dai coniugi superstiti per altri 13. Ne scaturiscono rendimenti astronomici che configurano affari d’oro.

Gli stessi affari sono invece disastrosi per la “controparte”, cioè il sistema pensionistico, che, per mantenere il bilancio in pareggio, deve remunerare i contributi in base alla crescita del Pil. Le differenze fra i rendimenti effettivi e quello “sostenibile” costituiscono premi ingiustificati che avranno fine sol quando il sistema contributivo sarà a regime, e le pensioni d’anzianità saranno abbattute da coefficienti di trasformazione inferiori a quello usato per la pensione di vecchiaia.

Come intervenire

Il premio si attenua man mano che cresce l’età al pensionamento. Per contrastarlo, si può usare la correzione attuariale proposta, per più ampi scopi, sia dallo scrivente (Commissione tecnica per la spesa pubblica, Nota n. 10/1996) sia da Tito Boeri e Agar Brugiavini. In particolare, la componente retributiva della pensione d’anzianità può essere moltiplicata per il quoziente fra il coefficiente di trasformazione dell’età al pensionamento e quello dell’età di vecchiaia. Semplificando, si può dire che, in tal modo, l’importo complessivo di una pensione d’anzianità è ricondotto a quello di una pensione di vecchiaia di pari importo.

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Cosa vuole il governo?

Il governo non è preoccupato dalle pensioni d’anzianità. Anzi, vuole rilanciarle riducendo a 41 anni il requisito contributivo per accedervi. Si preoccupa invece delle pensioni alte nonostante siano “meritate” per le ragioni discusse su Il Sole-24 Ore del 28 luglio (cui si può aggiungere la maggiorazione contributiva dell’1 per cento oltre il primo tetto). Una di esse è l’età alla decorrenza elevata. Infatti, i destinatari delle pensioni alte svolgono attività lavorative gratificanti che tendono a protrarre fino all’età di vecchiaia. Senza contare che per alcuni di loro (magistrati e professori universitari) quest’ultima supera l’età standard delle altre categorie.

Il maggior partito di maggioranza ha lungamente proposto di assoggettare la componente retributiva delle pensioni alte al ricalcolo contributivo. Perciò stupisce che il disegno di legge depositato alla Camera il 6 agosto cambi del tutto musica proponendo la correzione attuariale sopra auspicata per le pensioni d’anzianità solo quando esse superino il limite di 80 mila euro annui lordi. La proposta è difficilmente interpretabile. Certo è che le pensioni alte sono colpite nei pochi casi in cui sono d’anzianità, e non nei molti in cui sono di vecchiaia. Senza contare che il provvedimento cambierà i comportamenti azzerando del tutto i casi del primo tipo.

Gli effetti retroattivi

Il disegno di legge stabilisce che la correzione attuariale sia anche “retroattiva”, cioè riguardi non solo le pensioni future, ma anche quelle in essere il 1° gennaio 2019. Tuttavia, nel secondo caso le pensioni superiori a 80 mila euro lordi sono colpite se decorse da età inferiori a un benchmark che, a partire dall’età di vecchiaia del 2019 (67 anni), decresce a ritroso nel tempo in base all’aspettativa di vita. Perciò anche le pensioni di vecchiaia possono essere destinatarie della correzione. Ad esempio, lo è una liquidata nel 2010 a un uomo di 65 anni perché il benchmark di quell’anno è stabilito nella misura di 66. La correzione attuariale è basata sul quoziente fra il coefficiente dell’età al pensionamento e quello del benchmark.

Pur tralasciando le dirimenti questioni di legittimità costituzionale, confusamente affrontate nella Relazione Illustrativa, colpiscono alcune scelte inadeguate o incoerenti. Solo tre esempi. In primo luogo, non sono salvaguardati i soggetti espulsi nell’ambito di programmi di esodo. Ad esempio, non lo sono i funzionari e i medici mandati in pensione d’anzianità dalla “legge Brunetta” sul pubblico impiego. In secondo luogo, la scelta di un benchmark indistinto per genere sfavorisce le donne, la cui età di vecchiaia è stata storicamente inferiore a quella degli uomini. Infine, la correzione attuariale esclude le pensioni ai superstiti in essere, mentre quelle future non potranno esserlo perché derivanti da pensioni dirette che hanno subito la correzione in precedenza.

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Il contributo di solidarietà non può essere un’alternativa

Dopo averlo sottoscritto, una parte della maggioranza vuole dissociarsi dal pasticcio della correzione attuariale indicando la via del contributo di solidarietà. Temo, però, che possano profilarsi problemi d’altra natura.

Primo, il susseguirsi dei contributi di tal genere rischia di ledere il principio della “temporaneità” che la Corte costituzionale chiede di osservare.

Secondo, la legittimità del contributo deve essere anche valutata alla luce della sua destinazione. La “pensione di cittadinanza” è uno slogan ancora da riempire. Occorre farlo ricordando che l’integrazione al minimo fu abolita dalla riforma Dini. Continueranno a beneficiarne le pensioni miste, mentre non ne avranno più diritto quelle interamente contributive. Fu una scelta giusta perché lo stato non deve assistere i pensionati soltanto, bensì la generalità dei cittadini. Lo strumento per farlo fu chiamato “assegno sociale”. È importante che questo quadro non sia rimesso in discussione. Se si vuole aumentare l’assegno, le risorse devono venire dalla fiscalità generale e non dalle tasche dei pensionati.

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19 commenti

  1. Fabrizio

    Detto più semplicemente, una pensione alta non è sinonimo di contributi non versati. E il regalo è nella differenza tra contributi versati e assegni corrisposti. Ma pensioni d’oro fa più effetto !

  2. roberto enrico

    Caro Gronchi, vorrei due chiarimenti. Il suo esempio dei nati nel 1960 riguarda persone che hanno iniziato a lavorare a 15 anni (!!!) e hanno lavorato per 42 anni. Se dovesse essere applicato a loro il pensionamento di vecchiaia dovrebbero andare in pensione avendo lavorato 50 anni. Le sembra realistico?
    Sempre lo stesso esempio indica una pensione pari al 72% dell’ultimo stipendio: ma questo penso sia valido solo per pensioni di importo basso. Se la persona, pur avendo iniziato a lavorare a 15 anni, avesse fatto una carriera stellare come dirigente e avesse conseguito retribuzioni oltre i 100.000 euro non avrebbe una pensione retributiva di tale importo per effetto della varie legge dopo Dini. Almeno mi pare. In ogni caso il vantaggio maggiore del retributivo, come dimostrato da molti studi si accentua per gli importi medi più che per gli importi elevati. Condivido la considerazione che il governo se è messo in un pasticcio, purtroppo utilizzando in modo inadeguato i suggerimenti, a mio parere a volte troppo accademici e attuariali e poco politici, provenienti anche da autorevoli ispiratori di questo sito.

    • Sandro Gronchi

      Il commento mi offre l’occasione per approfondire due aspetti:
      1) Chi non vuole lavorare 50 anni avendone già lavorati 42, neppure può pretendere molto più di quanto ha versato. Perciò la proposta gli attribuisce una pensione annualmente inferiore a quella di chi, avendo subito periodi di inoccupazione giovanile o frammentazione della carriera, non escluso il lavoro nero, deve attendere l’età di vecchiaia lavorando altrettanto a lungo.
      2) E’ vero che le pensioni d’anzianità elevate sono meno ‘immeritate’ perché la durata della prestazione è contrastata, nel loro caso, dall’abbattimento dell’importo dovuto al tetto flessibile e le minori aliquote di rendimento. Invece, il DdL colpisce solo quelle.

    • Sandro Gronchi

      Il commento mi offre l’occasione per approfondire due aspetti:
      1) chi non vuole lavorare 50 anni avendone già lavorati 42, neppure può pretendere molto più di quanto ha versato. Perciò la proposta gli attribuisce una pensione annualmente inferiore a quella di chi, avendo subito periodi di inoccupazione giovanile o frammentazione della carriera, non escluso il lavoro nero, deve attendere l’età di vecchiaia lavorando altrettanto a lungo.
      2) E’ vero che le pensioni d’anzianità elevate sono meno ‘immeritate’ perché la durata della prestazione è contrastata, nel loro caso, dal tetto flessibile e le minori aliquote di rendimento. Invece, il DdL colpisce solo quelle.

      • Savino

        Toccava e tocca alla Corte Costituzionale fare chiarezza su cosa è diritto acquisito e cosa non lo è, su cosa è immeritato e superfluo e cosa non lo è, tenendo presente che, dal 2012, l’articolo 81 della Costituzione prevede finalmente l’obbligo del pareggio di bilancio dello Stato. La Corte, allora presieduta da Criscuolo, investita della questione, fu pilatesca e demotivata (chissà perchè?) nell’intervenire ed il suo presidente fu quasi polemico.

  3. Savino

    Gli italiani si sono fissati con la pagliuzza della caccia alle streghe dei presunti privilegi e non vedono la trave di un’economia che non va, non si rendono consapevoli che qui sta per crollare tutto. Il fallimento del governicchio fasullo gialloverde è anzitutto il fallimento di un popolo frustrato e rancoroso.

  4. marco mazzi

    analisi giusta salvo il fatto che non considera quelle categorie che ,per legge, hanno una pensione di vecchiaia diversa come per esempio i dirigenti ed ufficiali delle forze dell’ordine e delle forze armate , che sulla base di leggi di salvaguardia della specificità del servizio, vanno in pensione a 60/63/65 anni in funzione del grado e che con il progetto di legge 5 stelle vedranno tagliate le loro pensioni, anche di molto, senza poter far nulla nonostante gli alti contributi versati anche ben oltre i 40 anni ma soltanto in ragione del differenziale stabilito dal progetto di legge , che prende in considerazione i limiti stabiliti dalla legge Fornero , che non si applicano alle predette categorie .

  5. Gabriella

    Oltre ai soggetti espulsi nell’ambito di programmi di esodo, mi permetto di evidenziare che non sono salvaguardati i soggetti che, interrotto il lavoro volontariamente, sono stati autorizzati a versare i contributi volontari allo scopo di raggiungere i requisiti per la pensione di anzianità e/o per aumentare l’importo della pensione.

  6. Savino

    Per rappresentare la casta dei privilegiati nell’Italia di oggi non c’è un personaggio migliore di Luigi Di Maio

  7. salvatore

    Con il metodo di ricalcolo proposto non si tiengono in considerazione tutte quelle categorie che per ordinamento dell’amministrazione di appartenenza vanno in pensione di vecchiaia a 60, 63 e 65 es. forze dell’ordine e forze armate. E’ costituzionale una modifica retroattiva di tale ricalcolo? Non era e non e’ attualmente possibile andare in pensione oltre questi limiti. come si puo’ proporre oggi il rapporto con 67 e 7 mesi? Grande iniquità

  8. Michele Carugi

    Il calcolo attuariale sull’età è una pensata folle e malevola e non guarda nella maniera più assoluta alla congruità della pensione ricevuta nell’aspettativa di vita con i contributi versati nella vita lavieatica. Chi lo propone dovrebbe vergognarsi

  9. antonio

    e si continua a dare contro i nati del boom demografico!! Sono gli stessi che con i loro contributi di oltre 40 anni di lavoro pagano i baby pensionati o i “tromboni” universitari ,politici o magistrati con stipendi favolosi fino a oltre 80 anni!! ( ma perche non lasciano il posto mai???). In realta non si vogliono togliere quelli che sono non diritti ma privilegi acquisiti per chi ha sfruttato e ancora sfrutta leggi e leggine che difendono interessi di una parte piccola ma molto potente della popolazione ( vedi dirigenti pubblici).
    Chi da anni gode di privilegi che le prossime e future generazioni non vedranno mai tende a spostare sempre sugli altri le soluzioni per non perdere i propri vantaggi.
    Per chi non lo sa ( o non vuol sapere!) Le aziende oggi vogliono liberarsi dei “vecchi over 50” e le strategie che attuano sono sempre piu subdole. Se non si da la possibilita a chi ha lavorato e versato per 40 anni di accedere a pensioni giuste e giustificate si creeranno grossi squilibri sociali.
    altra questione e’ la faccenda dell aspettativa di vita …sempre messa nei conteggi e simulazioni. In realta si sta assistendo, specie per le generazioni nate negli anni 60 a una riduzione della stessa.
    Pertanto credo che il mantenimento della situazione attuale “forneriana” faccia gioco solo a chi gode attualmente di privilegi passati che i baby boomers degli anni 60 continuano a pagare.

  10. Paolo Trevisan

    ma se il problema è l’eticità della cifra incassata non sarebbe più equo assoggettare le pensioni d’oro ad irap, magari nella versione maggiorata al 9% che pagavano le PA all’inizio? In fondo quando fu introdotta l’IRAP sostitì anche la tassa sulla salute, imposta che pagavano tutti, anche i pensionati, con una imposta che pagano solo imprese e dipendenti per via indiretta con gravame sui loro datori di lavoro, mentre i pensionati retributivi vecchia maniera ne sono rimasti esentati. Hanno ottenuto dalla riforma Dini, salvaguardia del metodo di calcolo più favorevole e pure esenzione dalla Tassa Salute che fino al 96 si pagava, ovvero botte piena e moglie ubriaca……..oh no?

  11. alberto

    Signor Gronchi, mi può dire qualcosa di una contribuzione di 25.000 euro circa da versare nella gestione separata INPS da parte di un 78enne pensionato ma ancora in attività?
    Quando mai potrò riprendere quei soldi attraverso il supplemento? Non ritiene che per gli ultra 70/75 anni già in pensione, sarebbe più equo prevedere un contributo fisso di solidarietà se pur rapportato al reddito e comunque non superiore a 5.000 euro?
    Grazie se vorrà darmi un riscontro. Alberto

    • Sandro Gronchi

      Gentile Alberto, perché vuol tassare la pensione che già percepisce con un ‘contributo di solidarietà’ ? Invece, i supplementi dovrebbero essere liquidati a intervalli molto brevi (tanto di più quanto più elevata è l’età) e i coefficienti di trasformazione non si dovrebbero fermare a 70 anni. Quello della sua età sarebbe molto alto così da darle il tempo di recuperare i suoi soldi. Insomma, il problema non sono i contributi che deve pagare ma l’impossibilità di averli indietro (maggiorati della crescita del PIL). Questa è solo una delle tante disfunzioni del malconcio sistema contributivo italiano che nessun governo si è mai preoccupato di ‘mettere a posto’.

  12. Henri Schmit

    L’articolo è molto preciso, ma il problema rimane complesso. Secondo me spetta agli analisti preparati e capaci formulare le regole che governano o dovrebbero governare una soluzione razionale ed equa. Non e facile quando bisogna rispettare numerosi paletti disomogenei. La differenza fra algoritmo e norma è che il secondo è complesso perché completo, mentre le regole esprimono la stessa soluzione scendendo dal generale verso il particolare. Vogliamo capire gli assiomi massimi della dovuta riforma; il giudizio sarà prima sui principi, poi sul trattamento soddisfacente di tutti i casi particolari.

    • Savino

      Il problema è molto meno complesso di ciò che appare, al netto di tutte le promesse elettorali: la spesa pensionistica era e rimane esorbitante, sproporzionata ed iniqua, nonchè dannosa per i conti pubblici. La tanto bistrattata Prof.ssa Fornero, con la sua legge, ha realizzato l’azione più riformista e riformatrice degli ultimi 30 anni almeno, in condizioni di difficoltà estrema e con poco tempo a disposizione, mettendo in salvo l’Italia. E’ evidente a tutti che, date le condizioni demografiche e l’aspettativa di vita di oggi, quella riforma non possa essere rivista nel senso di ritornare indietro alle condizioni di 10 anni fa o, addirittura, a quelle pre-contributivo, modificate dal 1995. Chi dice il contrario nelle campagne elettorali dovrebbe essere indagato per il reato di voto di scambio, così come chi promette danari facili col reddito di cittadinanza.

      • Henri Schmit

        D’accordo sulla Fornero, la ministra ha dato il nome e fatto i calcoli, il merito invece è al 99% di Monti. Oggi parliamo di altro. Non si deve ovviamente tornare indietro, ma questo non vieta di perfezionare: ridurre le pensioni “eccessive” non coperte da contributi e garantire meglio i più deboli, a prescindere dai contributi. Mi convince chi risponde a queste (presunte) esigenze.

  13. Carlo Lauletta

    Curioso: si attaccano i pensionati perchè riceverebbero somme eccessive, mentre con la flat tax si aumenteranno gli stipendî dei calciatori, che evidentemente Di Maio giudica troppo bassi,

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