Nel 2017 sono aumentati fatturati, ricavi e redditività lorda delle imprese italiane. Si sono ridotti i debiti finanziari ed è cresciuto il capitale proprio. Però gli effetti di una nuova crisi finanziaria su investimenti e occupazione sarebbero pesanti.
Il caldo autunno e i conti delle imprese
Il raffreddamento dell’economia atteso in autunno, insieme alle incertezze che gravano sullo scenario internazionale e sui mercati finanziari, rischiano di compromettere il lungo e faticoso processo di uscita dalla crisi delle nostre imprese.
Un’analisi di Cerved su un ampio campione di bilanci d’esercizio 2017 indica diffusi miglioramenti, favoriti dalla fase positiva dell’economia italiana. I fatturati delle imprese esaminate hanno accelerato, crescendo a tassi record rispetto agli ultimi dieci anni. Anche la redditività lorda è aumentata, ma meno dei ricavi. L’andamento favorevole degli oneri finanziari, in discesa grazie soprattutto alla politica espansiva della Banca centrale europea, ha permesso alla redditività netta di proseguire il suo recupero: il Roe, l’indice che sintetizza il ritorno sul capitale investito dagli investitori, è tornato per il gruppo di imprese esaminato oltre il livello del 2007 (9,9 per cento contro 9,4 per cento).
Figura 1

Il miglioramento dei conti economici è stato accompagnato da progressi, ancor più consistenti, sul fronte della stabilità finanziaria. La crisi ha spinto fuori dal mercato le aziende più fragili. Quelle sopravvissute hanno ridotto l’ammontare di debiti finanziari e aumentato il capitale proprio, portando la leva finanziaria su livelli storicamente molto ridotti. Anche il rapporto tra oneri finanziari e Mol è al di sotto del livello del 2007, grazie soprattutto ai benefici della politica monetaria.
Figura 2

Gli effetti di una crisi finanziaria
Cosa potrebbe succedere nel caso esplodesse una nuova crisi finanziaria? In base a un altro recente report di Cerved, in cui sono stati simulati gli effetti sulle imprese dello scenario macroeconomico negativo utilizzato da Eba (European Banking Authority) per gli stress test delle banche, gli effetti potrebbero essere consistenti.
Questo scenario è particolarmente interessante, perché simula una crisi di fiducia sui mercati finanziari e una stretta creditizia simile a quella che l’Italia ha sperimentato nel 2011. In base ai modelli, le imprese italiane potrebbero perdere 11 punti percentuali di ricavi e 16 punti percentuali di redditività lorda al 2020, rispetto a uno scenario di base di lieve rallentamento del quadro economico.
Nonostante gli effetti molto negativi, la probabilità di una nuova ondata di fallimenti come quella osservata dopo la crisi finanziaria del 2011 è contenuta: molte delle aziende con fondamentali fragili sono già state espulse dal mercato e quelle sopravvissute sono oggi mediamente meno indebitate e più solide.
Gli effetti più negativi però si manifesterebbero sugli investimenti delle imprese, la componente che ha più tardato a correggere la rotta dopo la crisi. Gli investimenti hanno iniziato a evidenziare i primi segni di inversione di tendenza nel 2016, accelerando nel 2017 grazie anche agli incentivi di Industria 4.0.
L’esperienza scioccante della crisi è ancora attualissima: è plausibile che gli imprenditori siano molto prudenti e che le loro intenzioni di investimento siano particolarmente sensibili alla percezione di (in)stabilità finanziaria. Nei prossimi mesi la nostra economia affronta uno snodo importante. I segnali sui mercati non sono incoraggianti: lo spread viaggia intorno ai 300 punti base, le quotazioni di borsa sono in discesa. Pur avendo imprese più solide e più preparate a reggere l’urto di una nuova crisi finanziaria, gli effetti su investimenti e occupazione di un’impennata prolungata degli spread sarebbero pesanti. Interrompere il percorso di ripresa potrebbe precipitare il paese in recessione. Auguriamoci di non dover testare la tenuta del nostro sistema economico di fronte a un nuovo giro sulle montagne russe: abbiamo già ballato abbastanza.
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Professore di economia alla LUISS e research fellow all'EIEF. Si interessa di economia industriale e del lavoro, focalizzandosi in particolare su produttività e demografia d’impresa. I suoi lavori recenti considerano gli effetti della struttura dimensionale e proprietaria sulla performance delle imprese. In precedenza ha insegnato presso l'università di Cagliari. Dal 1998 al 2006 ha lavorato al Servizio Studi della Banca d’Italia, dove è stato responsabile dell’Ufficio Analisi Settoriali e Territoriali dal 2004. Ha conseguito il Ph.D. in Economia presso la Stanford University e la laurea e il dottorato presso l’Università Bocconi. È fellow dell’Einaudi Institute of Economics and Finance (EIEF), dell'IGIER e del CEPR. I suoi saggi sono stati pubblicati su riviste internazionali e nazionali. Redattore de lavoce.info.
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