Il decreto Salvini prevede l’abrogazione quasi totale della protezione umanitaria in Italia. Il provvedimento ha chiare finalità propagandistiche. Restano perciò aperti vari interrogativi sulla sua legittimità ed efficacia e sulle sue conseguenze.
La protezione umanitaria non è un’anomalia italiana
Nei giorni convulsi dell’elaborazione della legge di bilancio che dovrebbe cominciare ad adempiere le promesse elettorali, si vara il decreto-legge sulla protezione dei rifugiati (non sull’immigrazione come si legge, riproducendo una perniciosa confusione). Era stato annunciato già a luglio dal ministro Salvini, ma poi sembrava essersi incagliato per le perplessità del Movimento 5 Stelle. Ora, nell’ambito delle trattative sui provvedimenti da finanziare, è arrivato il via libera, contestualmente a un’altra importante concessione politica che dovrebbe spianare la strada all’introduzione di una forma di reddito di cittadinanza: la limitazione della platea dei beneficiari ai soli cittadini italiani. Il governo quindi, ancora una volta, trova un accordo sulla base della chiusura verso immigrati e rifugiati, anche a costo di innescare un conflitto con le istituzioni europee e con gli organi di garanzia nazionali, Corte costituzionale in testa.
È opportuno partire da qualche chiarimento. Matteo Salvini ha più volte dichiarato che la protezione umanitaria è un’anomalia italiana, ossia una sorta di perversione buonista, e che i rifugiati meritevoli di protezione internazionale sarebbero un’esigua percentuale, intorno al 5 per cento.
Mancano cifre precise, in realtà, sul volume effettivo delle richieste di asilo accolte dopo i vari gradi di giudizio. Si sa che presso le commissioni prefettizie il tasso di accettazione delle istanze si colloca poco sotto il 40 per cento, ma Monia Giovannetti (Cittalia-Anci) ha recentemente stimato che circa il 65 per cento dei richiedenti asilo alla fine, tra commissioni e ricorsi in tribunale, riesca a ottenere in Italia una forma di protezione legale. La più utilizzata è per l’appunto quella della “protezione umanitaria”, che sul piano giuridico è la più limitata e discrezionale. Nel 2018 il 28 per cento delle richieste di asilo presentate sono state accolte con questa veste legale. Va ricordato che sono passati più di sessant’anni dalla convenzione di Ginevra, frutto della guerra fredda e della necessità di accogliere ristrette élite di dissidenti politici e intellettuali, perseguitati individualmente per le loro opinioni e in grado di provare il loro status di vittime. Nel tempo le convenzioni internazionali hanno riconosciuto la necessità di introdurre altre forme di protezione a tutela di chi fugge da conflitti armati, pulizie etniche, persecuzioni di minoranze religiose.
La dizione “protezione umanitaria” è tipicamente italiana, ma permessi analoghi sono previsti in 22 paesi dell’Ue: sostanzialmente in tutta l’Europa occidentale. Sono utilizzati in modo flessibile e con una certa discrezionalità per concedere uno status legale a persone che non riescono a dimostrare di aver subito una persecuzione, ma provengono da paesi molto instabili e pericolosi, oppure vivono ormai da anni sul territorio, hanno sviluppato legami affettivi e familiari o si sono inseriti nel mercato del lavoro. Si distinguono nelle politiche migratorie paesi come quelli dell’Europa meridionale che hanno regolarizzato gli immigrati mediante sanatorie di massa (nel nostro caso sette in 25 anni, più altre minori o nascoste) e paesi che preferiscono invece provvedimenti di regolarizzazione individuali, caso per caso. L’equivalente appunto della protezione umanitaria. Ultimamente, fra l’altro, anche Spagna e Grecia si sono allineate su questa impostazione.
Il decreto Salvini
Il decreto Salvini prevede invece l’abrogazione quasi completa della protezione umanitaria, e quindi della possibilità di fornire una tutela ai richiedenti asilo che presentino serie condizioni di vulnerabilità: per esempio, madri sole con minori o persone che correrebbero seri rischi per l’incolumità se rimandate in patria. Nel decreto resta in piedi soltanto la possibilità di concedere permessi per gravi motivi di salute o per chi arriva da paesi colpiti da catastrofi naturali, o per chi ha compiuto atti di particolare valore civile nel nostro paese.
La linea dell’indurimento passa inoltre attraverso il raddoppio del tempo di trattenimento nei centri di detenzione, da 90 a 180 giorni, nell’aumento dei fondi per i rimpatri (500 mila euro nel 2018, 1,5 milioni nel 2019 e altrettanti nel 2020), nella possibilità di prevedere la detenzione alla frontiera o comunque in strutture diverse da quelle previste normalmente, nell’allungamento della lista dei reati che precludono la possibilità di ottenere asilo in Italia.
Il decreto, ancora una volta, ha chiare finalità propagandistiche, rivolte all’opinione pubblica interna. Restano aperti vari interrogativi rispetto alla legittimità, all’effettività e alle conseguenze. Si prevede un’ampia messe di ricorsi alla Corte costituzionale, un aumento del contenzioso giudiziario, un paradossale incremento del numero d’immigrati in condizione irregolare sul territorio.
Il giro di vite sulla protezione umanitaria farà infatti scendere la quota di rifugiati accolti, ma non è affatto certo che l’allungamento della detenzione e l’aumento dei fondi per i rimpatri producano un corrispondente incremento delle espulsioni. Occorre riuscire a identificare con precisione i richiedenti asilo diniegati, capire da dove provengono, ottenere l’assenso dei loro governi al rimpatrio, affittare gli aerei e organizzare i voli per deportarli. Tutte condizioni da soddisfare caso per caso. Sotto i governi Berlusconi, quando i tempi di detenzione erano stati portati a 18 mesi, l’Italia non riusciva a espellere neanche la metà degli immigrati irregolari detenuti nei Cie (centri di identificazione ed espulsione). Anche per il “cattivismo” di governo, spesso il diavolo si nasconde nei dettagli. Nel frattempo, l’immagine internazionale dell’Italia paga un altro prezzo alle strategie del consenso dei suoi governanti.
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bruno puricelli
Nulla è “giusto” in assoluto. La ragione indica la convenienza. In natura, la vita s’è sviluppata per convenienza e per caso più che per la ragione. La ragione suggerisce la convenienza che, nel tempo, la può sostituire. Le nostre sensibilità vengono forgiate dagli eventi e ci orientano verso traguardi propensi al benessere più che alla sofferenza. Le sofferenze sono utili, talvolta necessarie per costruirci meglio e per costruire meglio il gruppo, la società in cui viviamo. I nostri usi, abitudini e leggi tendono a conservare la speranza di certezza e benessere. Se accade un fenomeno come quello migratorio che produce un disagio inconfutabilmente forte (per alcuni potrà essere sopportabile o addirittura doverosamente accettabile) e anche danni aggiuntivi evidenti all’integrità materiale/morale dei cittadini occorre intervenire a proposito. Già secoli fa Malthus individuò nella sovrappopolazione un nemico per le società a crescita incontrollata. Il problema s’è aggravato anche per le cure e le assistenze che si donano ai paesi poveri col risultato che li si abitua ad attendersi aiuti ed aumentando di numero, aumenterà il bisogno e la spinta ad emigrare senza imparare a sostenersi da soli. Non vediamo che una certa ideologia ci egualglia al “popolo” degli Gnu?
Fiorenzo Parziale
Nell’argomentazione che lei fa in merito alla teoria di Malthus, ci sono due aspetti non convincenti.
La prima è che un sistema economico con più persone non porta necessariamente a un deficit, perché questo stesso sistema si allarga in funzione di una maggiore base produttiva. La teoria di Malthus su questo punto si è rivelata debole. In ogni caso – e vengo alla seconda obiezione – anche se ammettessimo che la teoria di Malthus sia giusta, ci sarebbe un dato di cui tener conto. Esso consiste nel fatto che gli arrivi nel 2017 (ultimo dato ufficiale e definitivo) sono stati 134.000 circa, un numero pari a poco più di un quarto delle nascite in Italia nel 2016 (474.000 circa: dati Istat).
Se noi avessimo invece di 474000, 606000 nati, non grideremmo alla sovrappopolazione (ci lamentiamo, giustamente, che si fanno poco figli). Invece ora la somma di 474000+134000 la spaventa, quando i secondi (134000) sono in buona parte persone in età di lavoro, cioè nuova forza lavoro che può servire a contribuire al nostro sistema fiscale (e pagamento pensioni, etc.). Lei dirà che sarà difficile trovare lavoro per tutti (nonostante il tasso di occupazione maggiore degli stranieri, nonostante molti di loro vogliano andare in Paesi differenti dall’Italia, magari per ricongiungersi a familiari). Eppure, anche se fosse così, quelle 134000 persone in più da sfamare non le farebbero paura, se fossero nuovi nati in Italia. La bocca cambia a seconda della provenienza?
Savino
Tutta polvere in faccia all’elettorato, per coprire le difficoltà economiche e sociali in cui versa il Paese e che i due pivelli non sanno (perchè non sanno) come affrontare. Allora, c’è bisogno di crearsi un nemico ogni volta per compattare il popolo dei social network.
Alberto Baldessari
Il numero di rifugiati è ai massimi storici. E noi chiudiamo le porte. Che orrore.
Come negli anni trenta, quando le democrazie respingevano gli ebrei in fuga dalla Germania nazista.