La discussione sul reddito di cittadinanza è polarizzata tra chi parla di misura meramente assistenzialista e chi la osanna come panacea di tutti i mali. Però, uno strumento simile esiste in tutti i paesi europei, benché in misura meno generosa.
Come funziona il reddito di cittadinanza a 5 stelle
Il reddito di cittadinanza, da sempre baluardo della proposta elettorale del Movimento 5 stelle, dovrebbe costituire uno dei punti cardine della legge di bilancio per il 2019. Molto si discute in questi giorni circa il suo costo e le eventuali coperture, ma ancora i dettagli esatti non sono disponibili e questo rende quindi più nebulosa la discussione.
La proposta del Movimento 5 stelle (illustrata ufficialmente per la prima volta nel Ddl 1148/2013 e modificata più volte nel tempo) prevede un trasferimento pari alla differenza tra la soglia di povertà e il reddito familiare effettivamente percepito. La misura, alla quale secondo i dati riportati sul Def sono stati dedicati 9 miliardi, usa l’indice di povertà monetaria individuato da Eurostat nel 2014, che corrisponde al 60 per cento del reddito mediano netto (in Italia 780 euro per un adulto single), ponderato poi per la composizione del nucleo familiare. In concreto, si individua un reddito minimo a seconda della numerosità del nucleo. Se un individuo o una famiglia non arriva alla soglia, lo stato versa la differenza.
La condizione per ricevere il trasferimento è l’iscrizione a un centro per l’impiego, a dimostrazione della ricerca attiva di un lavoro. E chi rifiuta più di tre offerte di impiego, perde il diritto all’erogazione. Nel frattempo, sono obbligatorie 8 ore di lavoro gratuite di pubblica utilità.
Non si tratta quindi di un reddito di cittadinanza tradizionale, ossia una misura universalistica erogata a prescindere da qualsiasi valutazione reddituale o patrimoniale di un individuo, ma si tratta di un vero e proprio reddito minimo garantito, ossia di una misura selettiva che subordina la concessione del sussidio ad accertamenti su reddito e patrimonio di chi lo riceve. Nel contratto di governo è stato specificato che non sarà una misura destinata a tutti i poveri, ma solo ai cittadini italiani poveri. Nonostante il fatto che il rischio di povertà sia molto più alto tra gli stranieri e che ci siano evidenti problemi costituzionali nella proposta.
I sostenitori della misura affermano che il reddito di cittadinanza, nella forma di reddito minimo garantito pensata dal M5s, è presente in tutti i paesi europei. Solo in Italia, a loro dire, mancherebbe questa forma di sostegno al reddito. È utile quindi fare chiarezza su come gli altri paesi europei si siano attrezzati nella lotta alla povertà.
Il reddito minimo garantito in Europa
Effettivamente, quasi tutti i paesi europei si sono dotati di un reddito minimo garantito, sebbene lo abbiano fatto in forme diverse per importo, obblighi di chi lo riceve e durata.
Gli unici paesi che non hanno questo strumento sono la Grecia e l’Italia. Che hanno comunque introdotto rispettivamente il reddito sociale di solidarietà e il reddito di inclusione, strumenti di lotta alla povertà simili a un reddito minimo, ma non paragonabili per platea di beneficiari e importo.
L’adozione di un reddito minimo garantito è stata anche annoverata tra le priorità politiche della Commissione europea nei suoi pilastri europei dei diritti sociali.
Il minimo comune denominatore tra i vari paesi è che la concessione del sussidio è legata a doppio filo alla ricerca attiva di un lavoro. Nella maggior parte dei casi è previsto l’obbligo di partecipazione a programmi di qualificazione offerti dai centri per l’impiego. In ben 22 paesi vige l’obbligo di accettare la prima offerta di lavoro, in alcuni qualsiasi essa sia, in altri purché appropriata al profilo lavorativo. Infine, in quattro paesi si richiede di prestare servizi di pubblico interesse nell’attesa di trovare un lavoro.
Tabella 1– Gli obblighi da rispettare nei paesi Ue per ricevere il reddito minimo garantito
Fonte: Osservatorio conti pubblici italiani
Anche l’importo del sussidio varia molto (figura 1), perché deve tenere conto del livello dei prezzi e della soglia di povertà, che sono molto diverse nei vari paesi europei.
Figura 1– Soglia di povertà e reddito minimo garantito, 2016
Nota: per l’Italia come reddito minimo garantito si considera il reddito di cittadinanza
Fonte: Osservatorio conti pubblici italiani
Solo in Italia, però, il reddito minimo garantito sarebbe uguale alla soglia di povertà, perché andrebbe a integrare pienamente il divario con il reddito percepito (calcolato con metodo Isee e non considerando il reddito monetario, come nella proposta originaria). Per esempio, l’importo diminuirà se il beneficiario è proprietario di un immobile.
Un altro elemento da considerare è poi la durata del sussidio. Il nostro reddito di cittadinanza, così come avviene in Germania, Danimarca e Regno Unito, avrebbe durata illimitata (mentre il Rei ha durata massima di 18 mesi). Va comunque sottolineato che il divieto di rifiutare un numero determinato di offerte di lavoro di fatto rende il sussidio limitato nel tempo (perlomeno laddove vi siano centri per l’impiego che funzionano). Inoltre, in molti paesi esiste una revisione periodica dei benefici, che prevede la verifica dei criteri da soddisfare per l’integrazione al reddito.
Ci sono quindi paesi più o meno generosi. Il reddito di cittadinanza italiano, se fosse effettivamente introdotto, per importo, durata e obblighi previsti per i beneficiari, sarebbe la misura più generosa d’Europa.
Quattro esempi europei di reddito minimo
In Germania esiste un complesso sistema di sostegno alle categorie più svantaggiate, tra cui rientra l’Arbeitslosengeld II, ossia un sussidio per i disoccupati o per chi ha un reddito molto basso. Una volta verificate le condizioni patrimoniali, lo stato garantisce un reddito minimo per un periodo illimitato ai cittadini tedeschi ed europei e ai rifugiati politici. L’importo si aggira intorno ai 400 euro, ma prevede maggiorazioni se ci sono figli, e si integra (non si sostituisce) con altre misure di welfare. La misura si ispira al principio “fördern und fordern”, ossia sostenere e pretendere: chi riceve il sussidio deve essere alla ricerca attiva di lavoro e partecipare a corsi di formazione professionale.
La Revenu de solidarité active(Rsa) francese, invece, consiste in un assegno mensile di tre mesi (rinnovabile) che parte da una base di 400 euro e aumenta nel caso in cui si abbiano figli a carico. In cambio, i beneficiari si devono impegnare a partecipare a programmi di formazione professionale e devono dimostrare di essere alla ricerca di un’occupazione (soltanto un’offerta di lavoro può essere rifiutata, pena la perdita dell’assegno). Esistono inoltre requisiti anagrafici che la persona deve soddisfare: più 25 anni di età e la residenza in Francia da almeno cinque anni. È importante notare che per evitare effetti distorsivi sull’offerta di lavoro, il reddito continua a essere erogato anche nel caso in cui si trovi un lavoro che non garantisce un salario mensile sufficientemente alto. All’aumentare del reddito da lavoro, il sussidio diminuisce.
Nel Regno Unito le misure contro la povertà e l’esclusione sociale sono meno generose. L’Income support è la misura base ed è stata attivata a sostegno dei disoccupati e di coloro che lavorano meno di 16 ore a settimana, non percependo quindi un reddito sufficiente al sostentamento. Consiste in un assegno mensile illimitato che parte da una base minima di circa 228 sterline e aumenta nel caso in cui si abbia una famiglia a carico. Vi si aggiunge la Jobseeker allowance della quale godono coloro che sono iscritti a una lista di disoccupazione e che dimostrano l’attiva ricerca di un posto di lavoro recandosi ogni due settimane a un centro per l’impiego. Tuttavia, è in corso una transizione a un nuovo schema, lo Universal credit, che semplificherà il sistema di trasferimenti. Inoltre, la principale novità sarà la riduzione dell’aliquota marginale effettiva dal 100 al 65 per cento se i poveri lavorano: se dunque il reddito di un lavoratore dovesse aumentare e oltrepassare la soglia di povertà gli sarà tolto solamente il 65 per cento dell’aumento e non la totalità. In questo modo si cerca di rendere conveniente lavorare anche per i poveri.
In Danimarca, paese simbolo della flexicurity che si distingue per la vastissima rete di politiche attive a sostegno del lavoratore disoccupato, il reddito minimo condizionato (Kontanthjælp) consiste in un assegno illimitato che parte da una base di 1.300 euro al mese. Anche in questo caso, aumenta quando ci sono familiari a carico. Per poterlo percepire, le persone devono partecipare a programmi di formazione e devono iscriversi a una lista di disoccupazione: a differenza di quanto previsto in molti altri paesi, si possono rifiutare le offerte che non sono in linea con il proprio curriculum. Si vuole così evitare il rischio che, per non perdere l’assegno, lavoratori preparati siano incentivati ad accettare offerte di lavoro non in linea con le loro competenze e con salari troppo bassi. Di converso, la legge prevede un sistema sanzionatorio per colpire coloro che si assentano dal lavoro o dai corsi di formazione.
La realtà europea dimostra quindi che il reddito minimo garantito è lo strumento più utilizzato per la lotta alla povertà. Tuttavia, la discussione sul tema si è sempre più polarizzata su posizioni ideologiche e di bandiera, che si scontrano sia nella forma – quando si chiama reddito di cittadinanza un reddito minimo condizionato – sia nella sostanza – quando non si tiene conto che tutta Europa ha uno strumento simile contro la povertà (per quanto siano in media meno generosi della proposta pentastellata).
Rimane il fatto che fino a che non si riforma il sistema dei centri per l’impiego, sarà difficile introdurre un reddito di cittadinanza efficace, che non si limiti a essere quindi una misura esclusivamente assistenzialista.
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Matteo D'Emilione
Un aspetto su cui si dovrebbe focalizzare maggiormente l’attenzione è il livello di take up delle misure citate. Sia in Inghilterra che in Francia ad esempio, da anni si discute sul perchè nonostante le trasformazioni apportate ai diversi strumenti di contrasto alla povertà siano moltissime le persone elegibili che di fatto ancora non ricevano quanto spetterebbe loro (moltissimi non fanno domanda di accesso alla misura). I motivi sono vari ma uno in parrticolare andrebbe tenuto in considerazione sia per il REI sia per il futuro Reddito di cittadinanza: la difficoltà di accesso alla misura. Il combinato disposto di Centri per l’impiego da riformare/rafforzare e difficoltà di compilazione /comprensione dell’ ISEE rappresenterà un serio ostacolo. Lasciamo da parte le considerazioni sui lavori di pubblica utilità che rappresentano una sorta di dumping sociale realizzato dallo Stato che di fatto assolve alle funzioni di pubblica utilità attraverso ‘manodopera a basso costo’.
Michele Magno
Complimenti agli autori del testo: chiaro e completo.
Claudio Martinelli
Vi spiego perche’ a mio avviso il meccanismo della condizionalita’ collegato al rifiuto/accettazione di una cosiddetta offerta di lavoro non funzionera’. Il mercato del lavoro ricerca persone che abbiano tre caratteristiche: 1) onesta’ 2) motivazione 3) competenze. Non esiste nella realta’ un “offerta di lavoro” in astratto. Esistono datori di lavoro che cercano persone con le caratteristiche di cui sopra. Dando per scontato la 1 e la 3 (ma e’ un artificio per spiegare la mia idea), un datore di lavoro non formulera’ un “offerta” alla persona che non ha motivazione. Inoltre, nella realta’, le tre caratteristche sono spesso mescolate nella stessa persona. Ipotizzando che il datore di lavoro formuli una proposta al lavoratore non motivato, che di conseguenza rifiutera’, ebbene ecco che il datore di sara’ invischiato in un procedimento amministrativo formale, che potrebbe concludersi con il ritiro del sussidio al lavoratore (dopo un contenzioso formale). Quale datore di lavoro vorra’ essere parte di tale procedimento formale? Per non parlare di prevedibili litigi non formali ma molto pesante. Infine, e’ necessario ricordare che la i Centri per L’Impiego sono al collasso.
Luca05
Se il lavoro non c’è non lo creano certo i centri per l’impiego….
Poi i centri per l’impiego non danno il lavoro non sono loro che hanno il potere di collocare i lavoratori in aziende PRIVATE….al massimo possono offrire semplici annunci di selezione di personale…..
Quindi questa concezione salvifica dei centri per l’impiego è davvero fuori dalla logica
Savino
Questo provvedimento rimarrà nella storia d’Italia come il classico esempio di soldi pubblici buttati nel cestino.