Il documento programmatico di bilancio conferma i numeri della Nadef su maggior disavanzo e stime di crescita. Un aumento delle risorse arriva dall’inasprimento del prelievo sulle imprese. Mentre del reddito di cittadinanza si sa ancora ben poco.
I numeri
Il governo ha presentato il documento programmatico di bilancio che definisce con maggior precisione gli interventi della prossima manovra finanziaria. Non ci sono grandi novità rispetto a quanto già annunciato nella Nota di aggiornamento al Def, ma c’è qualche chiarimento, per lo meno per quanto riguarda le coperture.
I numeri complessivi restano del tutto inalterati rispetto alla Nadef; il governo vuol aumentare il disavanzo dell’1,2 per cento del Pil il prossimo anno (cioè, 22 miliardi), da cui si aspetta una crescita del prodotto interno lordo dello 0,6 per cento in più: dallo 0,9 all’1,5 per cento. All’articolata analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che non ha validato queste stime perché ritenute troppo ottimiste, il governo risponde in poche righe, ribadendo che il moltiplicatore di impatto dello 0,5 su cui basa i propri conti è plausibile. Non c’è alcuna risposta ai singoli rilievi dell’Upb (stime troppo ottimistiche su esportazioni e investimenti, moltiplicatore troppo alto sui consumi, effetti limitati degli investimenti, tempistica eccessivamente rapida degli effetti della manovra sui comportamenti e altro ancora) né alcun commento sulle preoccupazioni che l’impatto espansivo della manovra possa essere controbilanciato dagli effetti sul credito dell’incremento dei tassi di interesse.
Il giudizio della Commissione
Siccome i numeri non cambiano, non può cambiare neanche il giudizio della Commissione europea. Per le ragioni spiegate altrove, respingerà quasi certamente la manovra, rimandandola per modifiche al Parlamento, il quale – è quasi altrettanto certo – la approverà così com’è.
È probabile che la decisione formale della Commissione arrivi tra un paio di settimane, cioè dopo che si saranno espresse le principali agenzie di rating, per evitare di dare l’impressione di volerne condizionare i giudizi. Dalle agenzie di rating ci si aspetta un ulteriore declassamento del debito pubblico italiano, ma si dovrebbe rimanere ancora un gradino sopra il non investment grade, quindi con effetti limitati sullo spread. Se invece i giudizi delle agenzie di rating fossero più severi, gli impatti sui tassi di interesse sarebbero forti e immediati.
Per quanto riguarda il comportamento della Commissione, l’unica vera curiosità residua è se farà partire la procedura di infrazione per debito eccessivo a novembre di quest’anno o se aspetterà la prossima primavera, quando cioè saranno disponibili i dati consuntivi sul 2018. Siccome non è mai successo che la Commissione bocci a priori la manovra di bilancio di un paese, o faccia partire una procedura di infrazione sulla regola del debito, non si sa bene che succederà dopo, in termini di sanzioni o adempimenti. Del resto, non è neanche mai successo prima che un governo non riveda i conti dopo che il proprio ufficio fiscale non li ha validati; anche questo viola le normative.
Le coperture
Il documento di programmazione di bilancio dà qualche chiarimento in più sulle coperture, cioè le risorse che servono, oltre al maggior disavanzo, per finanziare le nuove spese.
Razionalizzazione delle spese di ministeri e posticipo dei trasferimenti a vari enti dovrebbero fruttare circa 4 miliardi; un po’ più di 2 miliardi dovrebbero arrivare da inasprimenti fiscali vari su banche e assicurazioni e altri 2 miliardi dal mondo delle imprese in genere, tramite il differimento di deduzioni e svalutazioni crediti ai fini di Irap e Ires. L’abolizione dell’imposta sul reddito imprenditoriale, una facilitazione che avrebbe dovuto entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2019, dovrebbe fruttare altri 2 miliardi.
In sostanza, la manovra si finanzia in buona parte inasprendo il prelievo sulle imprese. Per esempio, secondo le stime del governo, l’abolizione dell’Ace più che compensa la riduzione dell’aliquota Ires sui profitti reinvestiti, tant’è che l’effetto netto sui conti pubblici dell’intervento è valutato positivamente per circa duecento milioni. Naturalmente, l’accresciuta pressione fiscale sulle imprese (al netto dell’intervento marginale sulle partite Iva per le imprese di piccole dimensioni, che dovrebbe valere solo 600 milioni nel 2019) rende ancora più dubbi gli effetti positivi sulla crescita ipotizzati nella manovra.
I nuovi programmi di spesa
Se poi qualcuno si aspetta dal documento chiarimenti sui principali nuovi programmi di spesa del governo, rimarrà deluso. Per esempio, al di là degli annunci, non si sa ancora sostanzialmente nulla sul reddito di cittadinanza. Non si sa se il sussidio sarà uniforme o differenziato sul territorio nazionale, se permanente o temporaneo, con quali criteri verrà elargito, in che misura sostituirà o sarà di complemento al reddito di inclusione e così via. Il governo presumibilmente presenterà un articolato preciso in un documento di accompagnamento alla legge di bilancio.
Siccome non si sa nulla sui dettagli dell’intervento, è difficile esprimersi sulla sua efficacia o sulla sua compatibilità con le risorse attribuite. C’è, tuttavia, qualche curiosità. Per esempio, sulla base delle dichiarazioni del governo, il reddito di cittadinanza (a differenza delle pensioni di cittadinanza) dovrebbe entrare in vigore ad aprile dell’anno prossimo, cioè valere solo per nove mesi. E tuttavia la spesa prevista per il 2019 (6,5 miliardi di euro, a cui dovrebbero aggiungersi i 2,5 miliardi di euro circa del reddito di inclusione) è uguale a quella prevista per il 2020 e 2021, quando il provvedimento dovrebbe valere per dodici mesi. Come questo sia possibile, resta un mistero.
* Massimo Bordignon è membro dell’European Fiscal Board. Le opinioni espresse nell’articolo sono personali e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.
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Savino
Nella sua confusione, la direzione in cui va il documento appare, purtroppo, tanto netta quanto sbagliata, per le reali esigenze e criticità dell’Italia. Secondo il Governo, facendo il deficit, la crisi si risolverebbe con l’assistenzialismo di Stato, il prepensionamento (col trucco) soprattutto degli statali ed il lassismo antiproibizione di chi chiude tutti e due gli occhi in materia fiscale. Fare la “felicità degli italiani” con “la manovra del popolo” significa nascondere la realtà in favore di aspettative non sempre legittime e morali. Il concetto di povertà (così come quello di “imprenditore vessato”) non viene definito con precisione e, comunque, non corrisponde con quello della Caritas o di altre associazioni. Il reddito di cittadinanza che “abolisca la povertà” è la bufala del secolo, in un’Italia non preparata culturalmente per certi strumenti di welfare. La tassa piatta è il condono, in un’Italia non preparata culturalmente per certe imposte. Il tentativo di cancellare la Legge Fornero può provocare un effetto “ponte Morandi” sulla previdenza e sul bilancio statale e risulta antiquata alla luce della composizione demografica della popolazione e dell’aspettativa di vita. Il tutto viene condito da gaffes inaudite, dall’abolizione del numero chiuso a medicina, all’ultima polemica sulla “manina”. I poster degli uomini del ventennio e dei vampiri del debito e della svalutazione degli anni ’70-80 (di cui Savona ha nostalgia) abbondano alle pareti di Salvini e Di Maio.
Henri Schmit
Noto che l’upB – istituito nel 2012 ma effettivo solo dal 2014, non per libera decisione delle autorità italiane, ma perché “suggerito” dalle autorità internazionali, in particolare dai rapporti dell’OCSE sulle procedure pubbliche di budgeting (disponibili online, molto critiche nei confronti dell’Italia) e dalla commissione UE – ha dimostrato la propria indipendenza. Bravissimi! o: Meno male! L’indipendenza dell’agenzia non basta però per estirpare il vizio italico: non avendo poteri coercitivi formali il parere dell’upB vale poco più della carta sulla quale è scritto. Negli altri paesi non funziona così: se un’autorità (autorevole, indipendente) esprime un parere critico non vincolante, gli effetti sono comunque simili a quelli di un’autorità con poteri di decisione, perché l’opinione pubblica non tollera che i poteri formali (il governo) agiscano violando le condizioni minime condivise garantite appunto dalle agenzie indipendenti. Dopo il parere dell’upB l’opinione pubblica (giornalisti, esperti, accademici) avrebbe dovuto insorgere contro la NADEF. Questo non è avvenuto perché in questo paese tutto è (da decenni) ridotto ad una guerra fra fazioni senza alcun rispetto per principi e valori presunti condivisi; è la logica iper-maggioritaria e populista e l’arroganza dei governanti che tramutano il consenso delle elezioni, dei sondaggi e della piazza in verità, o quanto meno in scelta pubblica al di sopra di ogni discussione.
Riccardo
Quasi quasi, sarebbe un bene un declassamento immediato di due gradini da parte delle agenzie di rating.
Lo tsunami sullo spread trasformerebbe molto rapidamente questa manovra in carta straccia….o il piano B di Savona, fate voi, ma voglio sperare Mattarella non lo permetterebbe mai.
Michele
Noto che i deficit del 2,4% anno e superiori dei governi Letta/Renzi/Gentiloni – così procrescita che in un quinquennio hanno prodotto una aumento del GDP di ben 1% – venivano giudicati in modo molto più benigno. Forse perché servivano a finanziare i 20 mld in incentivi alle assunzioni trasformatisi in dividendi, oppure i 20 mld per salvare le banche e i loro vertici
marco
1) Il deficit 2019 doveva seguire il trend di discesa iniziato dal 2015. Il problema rispetto agli altri paesi è lo stock del debito accumulato ….
Come per una impresa, se vai a chiedere prestiti senza debiti o pieno di debiti, il trattamento cambia.
2) Il dilemma far fallire le banche (sol. A) / o salvare i risparmiatori e sostenere le imprese debitrici (sol.B)? cosa sarebbe stato meglio per un sistema economico? una scelta deve proporla come alternativa, se boccia la (A).
3) l’affermazione sugli “incentivi alle assunzioni” non è commentabile
Henri Schmit
Mi si conceda un secondo commento: alla domanda dell’UE come mai il governo ha presentato una Nadef bocciata dall’upB il Presidente del Consiglio da avvocato di mestiere avrebbe risposto che in Italia questo genere di parere non è vincolante, ma permette al governo di passare oltre motivando. 1. È così in tutti i paesi e per tutte le agenzie indipendenti consultive; 2. Altrove il peso morale del parere indipendente è spesso maggiore di quello di una bocciatura formale da parte di un organo politico, e si capisce facilmente perché è così; 3. In Italia invece trionfa il formalismo, che è una presa in giro, soprattutto se utilizzato dal responsabile politico supremo; 4. L’uoB è stato creato su spinta esterna, Ocse, Commissione, etc per aiutare/ costringere i governi nazionali (dei paesi inadempienti) a promuovere politiche fiscali convergenti e virtuose. Questo passaggio, il fatto che il governo può ignorare le critiche dell’upB, illustra i vizi più profondi del paese: il formalismo, il cinismo, l’inaffidabilità …